Lucca Comics 2017: Costantini, Rizzo e il graphic journalism

Lucca Comics 2017: Costantini, Rizzo e il graphic journalism

Reportage da Lucca Comics 2017 dall’incontro dedicato al graphic journalism, in cui Gianluca Costantini e Marco Rizzo hanno raccontato le proprie esperienze.

Si è tenuta mercoledì 1 novembre a Lucca presso lo Stand La Repubblica-  Robinson, a Castello di porta S. Pietro, la conferenza dal titolo Il graphic novel impegnato: il graphic journalism. Il giornalista Luca Raffaelli de La Repubblica ha intervistato due tra gli autori italiani che maggiormente si sono spesi in quest’ambito, seppure con un approccio differente, Marco Rizzo e Gianluca Costantini.

L’incontro è stato introdotto da Raffaelli partendo da alcune considerazioni sul ruolo del “disegnatore di notizie”, responsabile di un lavoro complicato che può essere realizzato fondamentalmente in due modi: andando sul campo – come fanno ad esempio autori come Joe Sacco – o facendo ricerche bibliografiche e storiche su argomenti da raccontare dopo averli investigati a fondo, senza per forza recarsi sui luoghi in oggetto.

Sono stati poi introdotti i due autori e i loro lavori, più o meno recenti. Gianluca Costantini ha realizzato per BeccoGiallo un volume, Fedele alla linea (di cui Lo Spazio Bianco ha presentato un’anteprima qui) in cui ha raccolto materiale realizzato in oltre dieci anni di lavoro: un libro definito dall’autore come “complesso, difficile”. La prima parte di queste storie infatti sono state realizzate inconsapevolmente, senza sapere che sarebbero diventate graphic journalism. Costantini ha raccontato che, all’epoca della realizzazione, tutto era in divenire in quanto l’autore utilizzava stili diversi per raccontare i suoi viaggi e le esplorazioni di luoghi. In seguito, un po’ alla volta, si è iniziato a strutturare qualcosa, a crearsi man mano delle fonti, un viaggio “salgariano” nella notizia, cercando le persone giuste, le storie giuste.
L’autore ha affermato che per assurdo, quando si hanno le fonti appropriate, a volte anche solo stando online (per esempio, tramite Twitter) si possono raccontare storie più reali che recandosi, per citare un posto, a Gaza di persona: la realtà virtuale fa parte del vero e, anche se complesso, è fattibile creare delle relazioni forti con le proprie fonti e renderle attendibili.

Raffaelli ha chiesto se questi fumetti vengono poi ricontrollati dalla fonte. Nel rispondere affermativamente, Costantini ha rimarcato l’importanza della documentazione e delle verifiche, facendo l’esempio della storia degli attentatori di Charlie Hebdo, pubblicata online da Internazionale, che aveva anche delle note a margine, poiché tutto doveva essere verificato. Si viene a configurare dunque, secondo Costantini, quasi un giornalismo documentario, più che da inviato. Anche la testata riveste una sua importanza, poiché è giusto che i quotidiani o le riviste abbiano un pubblico molto attento ed esigente.

Raffaelli ha introdotto poi Marco Rizzo, chiedendogli di raccontare il suo metodo e le eventuali differenze rispetto a quello di Costantini. Rizzo ha rimarcato di avere una formazione da giornalista e di aver trovato nel fumetto un modo di lavorare che univa entrambe le sue passioni. L’autore siciliano ha ricordato di essersi occupato di vicende ormai storiche, come quelle di Ilaria Alpi e Mauro Rostagno, ma in alcuni casi anche di storie raccontate quasi in presa diretta, come lo sbarco di alcuni immigrati in Sicilia e anche un altro volume ancora in lavorazione, che uscirà in primavera per Feltrinelli Comics.
L’esempio della storia su Rostagno è particolarmente calzante, a parere di Rizzo, sia per motivi editoriali che per motivi giudiziari, poiché legato a un lavoro di ricerca e di indagine postuma, a vent’anni di distanza dagli eventi, raccogliendo le testimonianze, anche per ricostruire l’omicidio che ancora doveva giungere in tribunale. Ne è venuto fuori un racconto che è stato poi uno specchio di quanto riportato nei tribunali e nella sentenza: alcuni dei nomi citati in tribunale erano gli stessi fatti nel libro.

Secondo Rizzo anche in questi eventi lontani negli anni è dunque doveroso, sia verso la testata giornalistica che verso i protagonisti delle vicende e i loro familiari, fare chiarezza.

Luca Raffaelli ha citato il caso del volume dedicato a Pantani e altre biografie, anche per capire le eventuali differenze rispetto agli esempi già fatti. Rizzo ha ricordato che il libro Gli ultimi giorni di Marco Pantani è l’adattamento di un omonimo romanzo- inchiesta di ricostruzione giornalistica realizzato da Philippe Brunel. Nel caso di Jan Karski. L’uomo che scoprì l’Olocausto invece c’era pochissimo materiale a disposizione quando è iniziata la lavorazione del graphic novel; mentre gli autori ci lavoravano è stato tradotto in Italia il libro di Karski , La mia testimonianza davanti al mondo: storia di uno stato segreto, a cura di Luca Bernardini (Adelphi), e quest’ultimo ha fornito delle consulenze molto importanti per il lavoro da svolgere.

Nel caso di Peppino Impastato, Rizzo ha affermato di aver cercato di distaccarsi il più possibile dalle fonti già note (libro e film), per cercare uno sguardo differente sulla vicenda.

Raffaelli ha posto poi l’attenzione sul tempo di lavorazione di un fumetto, che a volte può impiegare anni prima di vedere la luce. Rizzo ha affermato che mediamente si ritiene che il disegnatore faccia gran parte (circa due terzi) del lavoro complessivo in termini di tempo: nel caso del graphic journalism, tra selezione, raccolta e documentazione, il lavoro dello sceneggiatore è molto più lungo. A volte, se non esiste una verità giudiziaria, spetta al narratore e giornalista valutare cosa è attendibile di quelle fonti e fare dei controlli incrociati tra eventuali racconti differenti. Ad esempio, su Ilaria Alpi ancora oggi il Governo promette di desecretare alcuni fascicoli che potrebbero far luce sulla faccenda e cambiare le ricostruzioni fatte finora. È insomma un lavoro lungo, complesso, di grande responsabilità.
Rizzo ha affermato di non lavorare su troppi progetti contemporaneamente, preferendo anzi concentrarsi su un’unica storia per volta.

Il lavoro svolto da Costantini invece è differente, fatto in tempi più stretti per storie più brevi (9/10 pagine). L’autore ha affermato di essere sempre stato affascinato dal fumetto breve e che una delle cose che più gli interessano è riuscire a raccontare nell’istante tutto quello che si sa di quella notizia, entro pochi giorni.

Riguardo all’attualità di storie già pubblicate da tempo, Raffaelli ha posto il quesito circa quelle ripubblicate nel libro Fedeli alla linea, se hanno subito modifiche legate al tempo intercorso. Costantini ha affermato che nel libro le storie sono state rieditate con delle introduzioni che attualizzano e contestualizzano gli avvenimenti.

Costantini ha poi raccontato l’esperienza con il giornale Pagina 99, durata circa un anno: cinque o sei giorni prima della pubblicazione gli veniva fornito il tema e lui cercava di stare nei tempi. Il metodo di lavoro era legato a una profonda conoscenza tra l’autore e l’editor della testata, che già sapeva cosa chiedergli. Costantini ha spiegato che solitamente, una volta saputo il tema da trattare, incomincia a scrivere ai suoi contatti sul campo, anche per verificare la veridicità dell’informazione, poi cerca le biografie online e studia l’immaginario fotografico trovato sul web. In seguito inizia la verifica delle fonti e delle foto, prima di riutilizzare queste ultime per ridisegnarle per la storia. Nel caso di Pagina 99, veniva poi fatto l’editing delle storie e nell’arco di una settimana circa il tutto andava in stampa.

È intervenuta poi Elettra Straomboulis, chiamata a interloquire con gli autori, la quale ha confermato innanzitutto quanto il tempo impiegato dallo sceneggiatore per la rielaborazione delle fonti sia molto più lungo di quello speso dal disegnatore. Pagina 99 come testata forniva un’esperienza anche visiva molto particolare, a suo parere interessante perché schiodava il luogo comune della storia disegnata in modo regolare, lineare, cercando un modo di lettura diverso dal solito, “un’esperienza coraggiosa”.

Luca Raffaelli si è poi soffermato sul quesito dei criteri di scelta del disegnatore. Rizzo ha affermato che spesso le case editrici ormai cercano insieme lui e Lelio Bonaccorsi, disegnatore con il quale ha grande sintonia ed è molto versatile, in grado di passare da atmosfere sognanti a storie molto realistiche. Altra collaborazione positiva è stata quella con Giuseppe Lo Bocchiaro per Mauro Rostagno. Prove tecniche per un mondo migliore (co-sceneggiato con Nico Blunda), dove il disegnatore è stato molto bravo a definire gli scorci delle scenografie (grazie anche alla sua esperienza come architetto). Tornando a Bonaccorsi, Rizzo ha affermato che stanno lavorando insieme anche al prossimo libro in uscita, poiché ognuno conosce i punti di forza dell’altro.

Altro capitolo aperto su spunto di Raffaelli è stato riguardo al rapporto empatico con le storie realizzate. Rizzo ha affermato che la freddezza anglosassone del giornalista è un po’ un mito da sfatare e che seguirla pedissequamente ci avrebbe impedito nel tempo di leggere storie come quelle di Oriana Fallaci. È vero anche che dopo aver studiato per un anno la storia di una persona, è difficile rimanere distaccati. Si cerca sempre di essere imparziali, per quanto possibile, anche se non sempre ci si riesce. Nel caso di Pantani, l’autore ricorda bene come il ciclista fosse stato mitizzato dopo la sua morte e poi rapidamente smontato. Era dunque necessario cercare di farsi una propria idea, basandosi un po’ sul libro di Philippe Brunel. Inoltre, era una storia in cui difficilmente si riuscivano a trovare “buoni e cattivi”, come invece nelle storie di mafia.
Anche per i personaggi verso cui si prova un totale disprezzo, c’è comunque un coinvolgimento empatico, secondo Rizzo. In ogni caso, a un certo punto della lavorazione di una storia, emerge sempre la sua formazione da giornalista, che lo porta a cercare il vero e il verosimile, alla ricerca di una fonte primaria e attendibile. L’autore ha dichiarato inoltre di ritenere che con il coinvolgimento empatico la storia possa solo guadagnarci. Rizzo ha poi ricordato di aver riscritto le pagine in cui veniva narrato l’omicidio di Peppino Impastato diverse volte e su alcune pagine di sceneggiatura ci sono le lacrime di Lelio Bonaccorsi mentre le leggeva.

Costantini ha affermato di avere un coinvolgimento diverso rispetto a Rizzo: quando realizza una storia, rimane freddo, didascalico, anche quando deve raccontare “il male”. Quando però ci si documenta, un po’ di quello che l’autore scopre gli rimane dentro. Indagando sul terrorismo, si arriva a sentirsi un po’ come un personaggio delle serie tv, a sapere già dove avverranno gli attentati.

Una tavola tratta da Il giorno della conoscenza, testi di Elettra Stamboulis, disegni di Gianluca Costantini (dal libro Fedele alla linea, Edizioni BeccoGiallo, 2017).

Stamboulis ha poi raccontato i retroscena e le esigenze narrative di alcuni dei racconti a cui ha lavorato con Costantini, come una storia su uno degli episodi dello stragismo internazionale che più l’avevano colpita negli anni, ovvero la strage di Beslan con i bambini ostaggio dei terroristi ceceni. Gli autori in quel caso hanno scelto di narrare la storia in un modo diverso, con una voce narrante e una forma narrativa quasi poetiche. Varie persone che provenivano dall’area dell’ex Unione Sovietica hanno ammesso in seguito di aver pianto dopo aver letto la storia: lì l’obiettivo era mantenere una memoria, dunque i mezzi scelti per raccontare la vicenda erano diversi.

Una domanda dal pubblico ha aperto il discorso su un’opera come Maus di Art Spiegelman, chiedendo se possa essere interpretata come un esempio di graphic journalism ante litteram.
Costantini ha risposto categoricamente in maniera negativa, poiché si tratta principalmente di un libro autobiografico, simbolico, come del resto altre opere quali Persepolis o Il grande male.

Raffaelli ha approfondito il tema della presenza del narratore, affermando che anche in quello che fa Joe Sacco, c’è una componente autobiografica.
Costantini ha affermato di non essere intenzionato a svolgere quello che nel fumetto lui stesso considera un “trucchetto”, in altre parole diventare un personaggio di un proprio fumetto (qui viene citato Zerocalcare quale esempio).
Rizzo ha aggiunto che a volte parla di “giornalismo a fumetti inconsapevole”, ovvero storie che raccontano temi personali di interesse pubblico (come hanno fatto Marjane Satrapi, Art Spiegelman e Guy Delisle). Però in questi casi manca la missione giornalistica, l’idea di informare qualcuno su qualcosa: lì lo scopo è gettare luce su alcuni fatti personali.

Nonostante tutto ciò, gli autori hanno concordato sul fatto che sia tutto nuovo nel graphic journalism, tutto ancora da strutturare e definire. La cosa da sottolineare, ha concluso Rizzo, è constatare che ogni volta che si fa graphic journalism viene richiesto di aggiungere delle note a margine, quasi che l’autore non sia accreditato come una fonte credibile in assenza di una nota aggiuntiva.

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