Il “Topo” di marzo 2024
Bentornati su Lo Spazio Disney!
Marzo da dimenticare, personalmente: complicato, pesante e nervoso, soprattutto nella sua seconda parte. E non che nel mondo sia andato meglio, tra violenza, estremismi, attentati e destabilizzazioni globali.
Quindi la faccio più breve del solito e, con una Pasqua in tono minore alle spalle, propongo di passare direttamente all’analisi del nostro caro “Topo”, rifugio sicuro dallo scranfo quotidiano.
Marzo 2024: le storie da Topolino
I pionieri del volo – De Topis e l’infinita scommessa volante + Topolino e Gancio in: La vita è un’acrobazia, di Sergio Cabella e Luca Usai (n. 3563-3564), sono i due episodi che chiudono il breve ciclo ideato da Cabella e dedicato agli albori dei mezzi volanti.
Iniziata l’anno scorso con una storia piuttosto deludente per ritmo e impostazione, la miniserie si riscatta parzialmente ora con le due avventure finali, grazie a un paio di intrecci piuttosto gradevoli.
Il progetto è antologico, per cui senza continuità tra un racconto e l’altro, e questo perlomeno garantisce una certa varietà, anche nei comprimari che affiancano il protagonista, Orazio in un caso e Gancio nell’altro.
Sul fronte delle sceneggiature tutto fila bene, senza chissà quali idee ma senza nemmeno tonfi pazzeschi, senza annoiare e con un lavoro compatto e funzionale; paradossalmente quello che ho trovato meno – soprattutto rispetto all’esordio della serie – è la componente educational sugli esordi del volo, che in questi due casi è poco esplorata: certo la voglia di volare e di investire nell’evoluzione dei mezzi aerei è sempre il motore delle vicende, ma mi sembra che sull’onda lunga dello sviluppo resti un po’ in secondo piano, a favore di trame che si evolvono anche a prescindere da ciò.
Non mi lamento però, perché questo va a favore del lavoro narrativo nel complesso.
Un lavoro meglio riuscito anche sotto il profilo estetico: Fabrizio Petrossi, mostruoso quando a briglia sciolta, con la storia dell’anno scorso risultò un po’ ingessato e col freno a mano tirato, contribuendo a un risultato poco ispirato.
Usai, al contrario, offre tavole molto ben congegnate, scardinando efficacemente la gabbia in taluni frangenti e graziando i personaggi con uno stile morbido e accattivante.
Anche la sfida del ritrarre diverse ambientazioni, diverse fra loro e spettacolari, appare decisamente vinta portando a vedute che trasmettono molto bene il contesto in cui atterrano i protagonisti, in questo caso anche grazie agli ottimi colori di Manuel Giarolli.
La ciurma del Sole Nero – Profondo blu, di Marco Gervasio (n. 3565), costituisce il penultimo capitolo della saga spaziale di Gervasio, che per il rush finale si occupa anche dei disegni “scalzando” Christian Canfailla impegnato in altre opere.
Devo dire che mi sarei aspettato di più, arrivati a un passo dalla conclusione, invece si tratta di un’avventura sulla falsariga delle precedenti, con l’ennesimo pianeta misterioso su cui Topolino Tomorrow e i suoi compari approdano incappando in problemi, rischi e imprevisti.
Si demanda quindi tutto all’ultimo episodio, sperando che sia sufficiente per dare una conclusione interessante all’intreccio generale.
A livello di plot questa Profondo blu non mi ha coinvolto, soprattutto per il pericolo da fronteggiare: degli anonimi dinosauroni che altro non fanno se non ruggire e inseguire. È anche e sicuramente un mio problema, che ho scarso feeling con questo genere di creature, ma comunque mi è sembrata una trama con vari giri a vuoto. L’autore però è riuscito a sorprendermi con un ribaltone inaspettato che effettivamente ha dato una piccola spinta alla vicenda nel terzo atto.
Sul fronte disegni, Canfailla aveva dato un apporto gradevole e armonico che ritrovo molto meno ora nel tratto di Gervasio: i personaggi sono meno vitali, gli ambienti più spogli e anche l’effetto puntinato risulta meno integrato nelle tavole. Lo stacco estetico è notevole.
Topolino e i due volti della vendetta, di Francesco Artibani e Lorenzo Pastrovicchio (n. 3566), è il primo passo utile allo sviluppo del sub-plot ereditato dal finale di Ducktopia, che vedeva Gambadilegno diventare buono in seguito agli eventi vissuti nella suddetta saga fantasy.
Come forse ricorderete, sono rimasto abbastanza perplesso e scettico su questo risvolto, che avevo trovato poco giustificato nella sceneggiatura, soprattutto in virtù del peso specifico che possiede.
Mi posso in parte ricredere ora: il non-detto e la vaghezza con cui era stato trattato il tema trova ora ravvedimento in questo thriller, che nelle prime tavole ha modo di indagare più da vicino le emozioni e i pensieri di Pietro e Trudy, contestualizzando meglio le ragioni di tale comportamento.
Certo, ciò rende non più solo il singolo capitolo di Ducktopia non del tutto risolto in sé stesso, come facevo notare lo scorso mese, ma anche la stessa epopea nel suo complesso, dotata di un epilogo aperto: non che questo renda davvero monco un racconto, come giustamente faceva notare Artibani nella sua intervista da Fisbio, visto che letteratura e cinema sono pieni di finali aperti, ma diciamo che questa regola vale meno quando si ha a che fare con personaggi dalle caratteristiche consolidate alle quali tornano sempre, nel patto non scritto della disneyanità.
Ma è ormai evidente che negli ultimi anni siamo di fronte a un approccio nuovo e stimolante per buona parte delle storie di punta di Topolino, di cui “l’operazione Gambadilegno” è ad oggi l’apice, dal momento che una determinata storyline passa agevolmente dal fantasy al thriller in scioltezza e perfetta coerenza.
Insomma, al netto dei dubbi iniziali, con I due volti della vendetta mi trovo ad abbracciare con maggiore convinzione questa volontà, apprezzandone la visione d’insieme nonostante questa sia veramente comprensibile solo a un certo punto avanzato del percorso.
Per quanto attiene la storia in sé, non è nuovo lo spunto di un Gamba apparentemente redento e che ottiene successo e rispetto ripulendosi la fedina penale. Artibani è però intelligente nel giocare con questo cliché facendone essere consapevole lo stesso Topolino ma motivando le ragioni per cui stavolta le cose sono diverse, grazie per l’appunto a quanto costruito in Ducktopia.
Chiaramente il lettore ha sempre l’impressione che il vecchio Pietro c’entri qualcosa con l’inghippo creatosi, che vede prima Topesio e poi lo stesso Mickey incastrati da video e prove come ipotetici ricettatori, ma la sceneggiatura è abilissima nel tenere in piedi questo nuovo contesto per tutto il tempo.
L’inserimento di un vecchio villain appare inoltre perfettamente naturale, come già fu quando venne ripreso anni fa da Casty, oltre che funzionale nel continuare ad allontanare ogni sospetto da Gamba… il tutto a favore di un thriller sincopato e dove niente è ciò che sembra: dai personaggi che vediamo agire alle loro intenzioni, dagli obiettivi dietro quanto accade agli stessi frutti miracolosi che hanno fatto la fortuna di Gambadilegno.
In bilico tra i migliori gialli di Casty e le trame alla MMMM, Artibani confeziona un meccanismo perfettamente oliato che apre naturalmente a un seguito, ma ormai ho capito le regole del gioco e ho deciso di accettarle.
Pastro alle matite offre un lavoro non sempre impeccabile, per quanto mi riguarda: alcune vignette risultano meno curate nella resa del tratto, in certi momenti troppo sintetico.
Anche le scene più d’azione patiscono una resa non ottimale, un po’ ingessata e con alcune scelte di inquadratura e di gestione degli spazi migliorabili.
Quello che però funziona molto sono la recitazione dei personaggi, sempre efficace ed espressiva, e le fattezze di Topolino: il suo aspetto particolarmente giovanile e sbarazzino lo differenzia dal solito ma permette di renderlo credibile in una trama noir d’altri tempi. Approvo anche la mise, con quel giacchetto che il disegnatore ha già usato in passato (ad esempio in Darkenblot).
Bene così, dunque, e aspetto con moooolto interesse il seguito, già annunciato e in dirittura d’arrivo.
Zio Paperone e la terribile Banda Bassotti, di Vito Stabile e Carlo Limido (n. 3565), è una delle migliori storie dello sceneggiatore campano da un paio d’anni a questa parte.
Slegato dall’impostazione di Pianeta Paperone o dall’esigenza di creare le basi di una saga come in Il corsaro, Stabile ha l’agio e il margine di manovra per scrivere una storia più genuina che, pur ponendosi un obiettivo ambizioso come quello di ridare credibilità ai Bassotti, riesce a farlo approcciando la sceneggiatura non come qualcosa di “definitivo” ma come una normale avventura standard, nella quale riscoprire e ritrovare il gruppo di antagonisti più iconici del fumetto Disney in maniera rilassata, semplicemente andando a guardarne l’essenza.
Ancora una volta la pietra di paragone è quindi Carl Barks, e Vito centra in pieno il bersaglio nel momento in cui ci ripresenta i Bassotti come dei magnifici trolloni che danno il tormento a Zio Paperone: la strategia di fingersi innocui ma di lanciare sottili elementi inquietanti al povero magnate, rendendolo paranoico e di fatto rovinandogli intere giornate, affetti e affari, è molto in character e restituisce una dignità alla banda, troppo spesso negli anni banalizzata come un semplice gruppo di ladruncoli e non come un effettivo incubo per lo Zione.
Il riscatto di Paperone per far fronte a questa “rinascita” viene forse trattato in maniera un po’ blanda e semplicistica, ma appare chiaro il senso della trovata e a livello di personalità il protagonista ne esce benissimo: basti pensare all’ultima vignetta, perfettamente esplicativa!
Carlo Limido dà quella spinta in più: si tratta di una storia dove occorreva una certa sensibilità verso i dettagli per comunicare efficacemente i ghigni dei Bassotti e le espressioni di puro smarrimento e vessazione provate da Paperone, il disegnatore lo ha capito ed è riuscito a rendere ottimamente il tutto su carta. Il suo PdP è veramente sontuoso, non c’è che dire, ed è il coronamento di un’avventura scritta con grande maestria e consapevolezza.
Pianeta Paperino – L’appuntamento perfetto, di Vito Stabile e Marco-Stefano Rota (n. 3564), segna invece il secondo step del nuovo ciclo che Vito dedica a Donald.
Una breve tutto sommato innocua, nelle quale non si aggiunge comunque granché sul personaggio e che gioca molto sul colpo di scena legato alle reazioni deluse di Paperina, che però si intuisce ben presto essere qualcosa di diverso dagli imprevisti sfortunati che capitano ai due durante l’appuntamento, motivo per cui il twist arriva un po’ smorzato (per quanto la circolarità della motivazione sia apprezzabile).
È un discreto Paperino in una trama un po’ annacquata; plaudo però alla simpatica citazione dell’abito di Mr. Duck steps out 😉
Per quanto riguarda i disegni di Rota, valgono le opinioni già espresse nei mesi scorsi.
Cavezza – Problema irrisolvibile, di Giuseppe Zironi (n. 3563), è il secondo tassello dell’affresco “equino” che Zironi sta realizzando per dare centralità e dignità al personaggio di Orazio. Rispetto al primo episodio del progetto, facciamo un salto in avanti bello vistoso: dimenticate quindi il post-adolescente che doveva capire che strada intraprendere dopo la scuola, qui agisce un Orazio apparentemente molto vicino a quello odierno, con la sua attività di riparazioni e la necessità di far fronte a vari inconvenienti tecnici “misteriosi”.
Mi confesso perplesso: l’avventura mette a confronto il buon aggiustatutto con un paio di inghippi che riesce sapientemente a sbrogliare, ma il tutto sembra privo di una vera e propria ossatura unitaria e di una direzione, il che si riflette ovviamente anche sulla serie nel complesso. I tormenti del protagonista, che sembravano essere la cosa che più poteva differenziare la trama dalla norma, qui vengono relegati alle ultimissime tavole nel dialogo con Clarabella e di fatto esco dalla lettura con un certo smarrimento sulle intenzioni dello Zironi per il personaggio e per questo ciclo, complice anche il fatto che non colga bene la scansione temporale degli eventi qui narrati.
In attesa del prossimo episodio, sperando che faccia un po’ più di chiarezza e che prenda una direzione più netta, mi compiaccio maggiormente dei disegni, nei quali stavolta non colgo le soluzioni un po’ strambe e disorientanti nella gestione delle vignette sul foglio riscontrate nella storia precedente, ma anzi tutto appare molto pulito e apprezzabile.
Lo stile ruvido, netto e sintetico che contraddistingue il lavoro grafico dell’autore mi è sempre piaciuto e negli ultimi anni ha trovato una quadra sempre più efficace: così è anche in questo caso specifico.
Papersera News presenta: Zio Paperone il Bretella gate, di Corrado Mastantuono (n. 3564), è un gran bell’episodio della serie giornalistica a cui il Masta ha dato nuova vita.
Come già in casi precedenti, l’autore fonde le situazioni che toccano personalmente i protagonisti con gli articoli da realizzare per il “Papersera”, mettendo in scena gustose convergenze tra il vissuto di direttore e redattori e il loro lavoro.
In questa dinamica è Zio Paperone ad essere il personaggi prediletto, specialmente tramite i suoi collegamenti con il suo mitico passato: così è anche stavolta, grazie alla reintroduzione del suo socio e amico di vecchia data Roy Bretella, che con il suo fare ambiguo permette all’autore di mettere in guardia i lettori dalle apparenze, che troppo spesso ingannano e che, se non adeguatamente verificate, possono portare a conclusioni affrettate ed erronee, in grado di rovinare intere reputazioni.
Argomento quanto mai calzante in una serie che mette il giornalismo al centro delle vicende, e dove la pubblicazione di un’accusa ha un peso non indifferente capace di assumere connotati negativi e disgraziati nel caso si riveli sbagliata.
Il microcosmo paperseriano di Mastantuono prosegue quindi in modo coerente, da una parte continuando a cementare la continuity che il fumettista ha ormai impostato – è presente un richiamo esplicito anche alla miniserie di Blue Peaks Valley – e dall’altra scrivendo una sceneggiatura molto riuscita: fresca, scorrevole, intelligente e dinamica.
Esteticamente il tratto disneyano del disegnatore sta conoscendo da alcuni anni a questa parte una seconda giovinezza, grazie a una sintesi del segno e al contempo a una rotondità dei paperi, che vivono molto delle loro espressioni sempre molto vive così come di una recitazione decisamente efficace nella sua voluta essenzialità.
Zio Paperone e l’inaspettato museo Ammazzamotori, di Davide Aicardi e Giulia La Torre (n. 3563), è quasi un “caso di studio” per la sua straordinaria ripresa a metà! L’avvio dell’avventura si pone infatti con uno spunto piuttosto fiacco, se non addirittura stantio, che prometteva un esito prevedibile e noioso. A sorpresa, invece, lo sceneggiatore è abile nello sfruttare quell’abbrivio per costruire un impianto che prende una strada completamente diversa da quella che si poteva immaginare, riuscendo a intrattenere brillantemente e addirittura ad approfondire una parte della psicologia di Zio Paperone, secondo un lato inedito o comunque poco esplorato.
Un esperimento davvero interessante e comunque non fine a sé stesso ma ben incardinato in una trama riuscita e ben gestita, per una storia urbana che funziona molto bene.
Deve essersene resa conto anche La Torre, che si scatena in quella che probabilmente è ad oggi la sua miglior prova disneyana: si vede senz’altro nella disinvoltura con la quale gioca con le tavole, che soprattutto nella parte centrale conoscono diverse soluzioni pensate, fresche e dinamiche che seguono bene il ritmo della sceneggiatura.
Molto buono anche il lavoro sulla fisicità dei personaggi, Paperone in testa.
Con Paperino Paperotto – Un magico mondo alla fattoria: La mappa del tesoro, di Davide Aicardi e Giada Perissinotto (n. 3565), Aicardi bissa la sua presenza mensile sul “Topo”. Stavolta si tratta di una breve piuttosto innocua che però ha dalla sua quella levità e quel candore delle migliori storie del Paperotto. Con uno stratagemma già visto in passato, il gioco che stanno facendo Paperino e l’amico Louis recitando nei panni di pirati “trasfigura” la realtà campagnola di Quack Town con gli occhi della fantasia che utilizzano i ragazzini nella loro avventura immaginaria, lasciandosi dietro urla e rimbrotti di Nonna Papera. Simpatica e indolore, l’ho trovata una piacevole lettura molto sognante, aiutata in queste atmosfere dai disegni di Perissinotto, che esprime il suo stile molto carezzevole per rappresentare al meglio l’aspetto bimbo dei due protagonisti.
Gli allegri mestieri di Paperino – Comparsa a scomparsa, di Tito Faraci e Enrico Faccini (n. 3563), è il nuovo episodio della miniserie faraciana nella quale il protagonista si cimenta in numerosi lavori, rimanendone drammaticamente vittima invece che primeggiando come capitava in varie storie di Carl Barks. Una variazione sul tema che ci sta tutta perché permette tanta ironia e un po’ di innocente satira. Non è questo il caso specifico, in realtà, giacché trovo questa storia una delle più deboli del ciclo, pur a fronte di un paio di battute azzeccate. Forse il lavoro di comparsa del cinema permette meno idee da sfruttare in chiave comica, perlomeno per come lo sceneggiatore ha impostato il progetto.
Paperino, Qui, Quo, Qua e il tesoro vichingo, di Arild Midthun (n. 3563), è la summa di buona parte della produzione Egmont: un bello spunto, in questo caso fortemente avventuroso, che deve però essere compattato in poche pagine rispetto a uno sviluppo più rilassato che avrebbe invece permesso un miglior esito complessivo.
Nemmeno Midthun, pur dimostrando di essere uno sceneggiatore molto capace, sfugge a questo destino e perciò la sua Tesoro vichingo (da non confondere con l’omonima storia di Barks!) è riuscita solo a metà, in particolare a causa di una parte centrale troppo compressa e sincopata. Peccato, perché le potenzialità c’erano tutte e perché nonostante questo handicap la storia è comunque piuttosto valida, ma le “regole d’ingaggio” hanno minato la riuscita complessiva, che poteva essere invece migliore.
Dal punto di vista dei disegni invece c’è solo da gioire: ho ritrovato il tratto elegante, pulito, dettagliato e cesellato che ho già imparato a riconoscere nelle precedenti storie tradotte per il nostro mercato. I suoi paperi sono adorabili, vicini all’estetica barksiana ma con un piglio e una vitalità proprie dell’autore, mentre per ambientazioni e interni c’è una perizia estetica non comune.
Peccato che il formato pocket penalizzi un po’ la dovizia di particolari presente nelle tavole… forse questa storia nello specifico sarebbe stato meglio indirizzarla su Almanacco Topolino perché potesse beneficiare di dimensioni più generose e consone al tipo di disegno. Ma tant’è.
Archimede e l’amico improbabile, di Francesco Vacca e Danilo Barozzi (n. 3566), lascia un po’ di amaro in bocca. È come se lo sceneggiatore l’avesse pensata tutta nella sola e unica funzione di approfondire il lato “drammatico” di Intellettuale -176, il Bassotto più scientifico e acculturato, identificandolo come solo nella sua genialità e grato del confronto con qualcuno suo pari che dimostra di apprezzarlo e capirlo, quasi di essergli amico. Non mi si fraintenda, è uno spunto che personalmente non deploro, ma il problema è che Vacca non sembra averlo inserito all’interno di una stesura chiara, interessante e coinvolgente, ma piuttosto in un intreccio apocalittico che si aggancia all’apposito redazionale scientifico ma che invero risulta spiegato non proprio benissimo, così come non risulta ben illustrata nemmeno la soluzione prospettata da Archimede e da Intellettuale -176.
I disegni di Barozzi, pur buoni, non contribuisco alla limpidezza dell’insieme, anzi, e così il risultato è un’avventura che poteva avere del potenziale che rimane però inespresso.
Paperina, Paperino & il club della racchetta, di Giulio Gualtieri e Marco Mazzarello (n. 3565), è una storia quasi anacronistica, per come la sua impostazione – soprattutto nella prima metà – sappia di vecchio.
Non me ne voglia Gualtieri, ma il prologo che spiega le regole-base del padel è una mattonata pesantissima e, pur comprendendo la ragione di introdurre questo sport anche a chi non ne sa nulla, trovo che sarebbe stato preferibile trovare una soluzione alternativa per informare i lettori.
Non che le cose vadano meglio superata questa intro: la carrellata di vari volti paperopolesi, tutti improvvisamente dediti al padel, stride e appare poco realistica, mentre la descrizione dei match o l’intermezzo di Paperino che deve trovare il compagno per la partita rallentano moltissimo il ritmo della narrazione.
L’unico spiraglio di interesse è il concetto per cui Paperino e Paperina non vogliono fare squadra, un’idea caruccia e portata avanti con criterio, per quanto leggermente penalizzata da un finale un po’ troppo smielato.
Non aiutano l’appeal i disegni di Mazzarello che, pur avendo ormai trovato un approccio senz’altro più piacevole di quanto appariva diversi anni fa, rimane un po’ lontano dai miei gusti: il segno è poco dinamico, leggermente ingessato e “fisso”, soprattutto negli sguardi dei personaggi.
Ahimè, una storia commissionata con ben poca attrattiva.
La grande mitologia papera – Gastone Giasone e il vello d’oro, di Luca Barbieri e Giampaolo Soldati (n. 3564), segna il secondo episodio di questa riscrittura dei miti greci in ottica disneyana. Tocca al racconto degli Argonauti alla ricerca del vello d’oro, e il protagonista è in questo caso Gastone.
Barbieri stavolta consegna una storia meno riuscita della precedente: come forse ricorderete, non ero propriamente impazzito per Paperina Didone, cionondimeno la sceneggiatura era scritta con la giusta attitudine e traspariva un certo gusto per la narrazione, complice il piano della protagonista.
In quest’occasione, invece, nonostante il mito di partenza sia altrettanto intrigante, l’adattamento papero non funziona alla stessa maniera e mi sono annoiato in più passaggi.
Fiore all’occhiello del progetto internazionale rimane comunque il comparto grafico, molto curato e contraddistinto da una colorazione accesa e sfavillante che, contrariamente ad altre opere di questo tenore, non risulta artefatta ma funzionale all’estetica impostata, facendo spiccare anche stili che normalmente trovo piatti o perlomeno fortemente standard.
Bene, credo di aver detto tutto.
Grazie come sempre a chi mi ha letto, e alla prossima!
Ciao!
Le storie sul volo non mi hanno colpita particolarmente, ma intrattengono, specialmente quella con Gancio, personaggio che ultimamente si vede pochissimo (putroppo aggiungerei, perché lui e Bruto mi sono sempre piaciuti).
Devo dire che “La ciurma del sole nero” mi è piaciuta sin dall’inizio, apprezzo i disegni sperimentali, i personaggi nuovi e il dilemma di Tomorrow. Le ultime storie però non mi sembano particolarmente originali. Peccato, aspetto comunque di leggere l’ultimo capitolo.
“I due volti della vendetta” è la storia che aspettavo, come tipologia di narrazione e genere poliziesco. Parte dalla premessa di una saga, Ducktopia, che non mi piace particolarmente (non sono fan del fantasy), ma sviluppa una trama ben congegnata, dei personaggi ben caratterizzati e il ritorno di alcuni personaggi (come Topesio, il villain -non spoilero- e Plottigat) che non si vedevano da molto tempo. Mi mancavano le matite di Pastrovicchio, qua non al suo meglio ma sempre particolare ed espressivo. Peccato per il finale continuamente sospeso, ma come dici tu queste sono le regole del gioco, e in casi meritevoli come questo si accettano di buon grado.
“La terribile Banda Bassotti” mi è piaciuta molto. Rompe in un certo senso la quarta parete con una critica implicita nelle parole di Nonno Bassotto a tutto un filone di storie che negli anni hanno impoverito questa banda di criminali. Mi piace molto lo sviluppo, i miei complimenti a Stabile.
Ci sono una serie di storie (quella di Intellettuale 176, Cavezza e altre) che testimoniano la crescente onda di fare introspezione nei personaggi. Gli esiti sono alterni, ma è un filone popolare oggi, un po’ come negli anni ’70 lo erano le cacce al tesoro di Paperone.
Concordo con te sulla storia del padel, somiglia a certe storie anni ’80 con la rottura della quarta parete e la spiegazione di turno. Non mi sono mai piaciute molto.
Il filone delle mitologiche non mi fa impazzire, e questa di Giasone è molto prevedibile. Ho preferito quella di Didone, almeno raccontava un episodio poco noto ai più.
Sono curiosa, qual è “Il tesoro vichingo” di Barks? Ti riferisci a “Il cimiero vichingo”?
Grazie come sempre per aver voluto condividere le tue impressioni sulle storie del mese appena trascorso, Korinna 😉
Per quanto riguarda la tua domanda, mi riferivo a quella che in originale si intitola “Luck of the North” del 1949, anche se noto ora che in realtà in italiano si chiamava “Il tesoro dei vichinghi” e non “Il tesoro vichingo” come quella di Midthun.
I malevoli lo faranno passare come il mio ennesimo “refusp” 😛
Ciao!
Grazie per la risposta Andrea!
Non ho letto “Luck of the North”, e a memoria non ricordavo altre storie barksiane che parlassero di vichinghi oltre alla splendida “Il cimiero vichingo”.
A presto!