Il “Topo” di febbraio 2024
Bentornati su Lo Spazio Disney!
Per gli appassionati di fumetto disneyano lo scorso febbraio si è distinto per l’inaspettata notizia della prima storia Disney pubblicata da Marvel Comics: Uncle Scrooge and the Infinity Dime, scritta dalla superstar Jason Aaron e disegnata da un pool di artisti ben noti al pubblico italiano, tra cui Alessandro Pastrovicchio e Paolo Mottura.
Se siete interessati ad alcune mie considerazioni a caldo, vi invito a recuperare questo mio post di qualche giorno fa.
Poi sì, parlando di febbraio c’è stato anche il Festival di Sanremo 😁
Ma ora torniamo al fumetto Disney italiano e vediamo cosa ci ha riservato il nostro amato Topolino.
Febbraio 2024: le storie da Topolino
Ducktopia – terza stagione, di Francesco Artibani, Licia Troisi e Francesco D’Ippolito (nn. 3558-3559-3560), rappresenta a quanto pare il capitolo conclusivo della saga impostata da Artibani e dalla regina del fantasy in Italia.
Dopo una prima stagione ottima per struttura e per l’idea spiazzante a metà, dopo un intermezzo un po’ vacuo e dopo il secondo capitolo che mi ha soddisfatto solo a metà, arriva a stretto giro il gran finale dell’epopea, pronto per portare a compimento il cliffhanger con cui ci eravamo lasciati a fine novembre, con Gambadilegno rimasto intrappolato in Ducktopia e assente da allora dalle pagine del settimanale.
Confesso subito la mia più grande perplessità in merito: le motivazioni di Pietro.
Se ricordate, una mia critica a Ritorno a Ducktopia era proprio su quella risoluzione: non tanto per l’aver voluto abbandonare il personaggio in quella dimensione, ma per il modo apparentemente ingiustificato con cui era stato messo in scena questo atto di eroismo, che sbucava letteralmente dal nulla.
Questo era un po’ il tallone d’Achille della seconda stagione per me, che a dispetto di quanto sostenevano gli autori me la rendeva meno compiuta di quanto intendessero: certo, di base avevamo un personaggio che si sacrificava per salvare la situazione, ma per quale motivo Gamba, da un momento all’altro, prende questa decisione senza nessuna avvisaglia?
Poco male, mi dissi: nella terza stagione si scoprirà la motivazione e tutto avrà senso.
Spoiler: non è stato così. Non viene espressa una ragione concreta e ben definibile di questa scelta, apparendo quasi più come un colpo di testa estemporaneo e senza troppi calcoli, forse con la vaga intenzione di poter delinquere in un mondo per lui vergine e senza impiastri intorno, ma mi sembra un po’ poco… e soprattutto non viene ben evidenziata neanche questa cosa.
Infatti quello che è accaduto a Pietro sembra essere stato incidentale, senza un vero e proprio piano. Si potrebbe obiettare che Gambadilegno non sia poi quel grande stratega, ma mi sembra comunque che la portata della sua mossa fosse tale da esigere una motivazione un po’ più specifica di quella che risulta dalla storia. Invece il gesto rimane ancora adesso piuttosto gratuito e giustificato più dall’effetto sorpresa in sé e per sé che da una vera strategia narrativa basata sul personaggio.
Al netto di ciò, ho trovato comunque questa stagione più godibile della precedente: la missione di recupero è intrigante e ben gestita, il ritmo ben dosato, i personaggi usati in maniera azzeccata.
Il tema del multiverso, che potrebbe apparire un po’ abusato negli ultimi anni per via del Marvel Cinematic Universe, rappresenta un terreno piuttosto nuovo per il fumetto Disney ed è stato utilizzato con il giusto piglio, a metà tra comprensibilità e atmosfera intrigante. Non solo, essendo in fondo Ducktopia stessa una dimensione alternativa a quella dei nostri beniamini, questo exploit non risulta avulso da quanto impostato precedentemente.
L’idea di far confrontare diversi Gambadilegno risulta quindi simpatica e avvincente, portando a uno scontro finale non privo di azione e decisamente ben giocato.
Solleva in me qualche perplessità, però, la scelta di rendere buono il nostro Gamba come conseguenza dell’avventura: anche questo è un elemento che penso troverà presto il modo di essere rimescolato per tornare al solito status quo, e infatti quel che lamento una volta di più non è l’idea o la novità impostata, quanto la mancanza di una vera e propria ragione di fondo. Perché Gamba dovrebbe cambiare vita? Perché ha visto che le sue altre versioni sono pessime e, come se si fosse visto allo specchio, decide che vuole essere migliore? Perché l’aria di Ducktopia ha avuto effetti benefici? Perché ha provato l’ebbrezza di vestire i panni dell’eroe e ha scoperto che gli piace quella sensazione? Tutto plausibile, beninteso, ma sono più impressioni mie che fattori desumibili dalla sceneggiatura. Per carità, sono un fautore del suggerire certe cose invece del doverle spiattellare a chiare lettere, ma c’è differenza tra il suggerire qualcosa di sotteso e non fornire gli strumenti per poter decifrare cambi di atteggiamento in un personaggio.
Francesco D’Ippolito compie un lavoro sontuoso ed egregio.
Sulla falsariga dei capitoli precedenti, presta il suo tratto plastico e veloce alla sceneggiatura di Artibani e Troisi, adattandosi perfettamente al ritmo della trama.
Il lavoro sui personaggi spicca in particolare per quanto riguarda la recitazione: le movenze, le pose e le espressioni sono sempre calzanti e curate, dando un valore aggiunto per quanto riguarda la credibilità degli attori in scena. Affascinanti gli sfondi, raffigurati con prezioso estro creativo… peccato solo per le poche creature, a ‘sto giro. Rispetto alla prima stagione, infatti, ci sono pochi animaletti bislacchi nuovi da mostrare.
L’impostazione della gabbia è probabilmente l’aspetto su cui ci sarebbe più da dire, e spero di poterlo fare presto in uno spazio appositamente dedicato: ricco di inventiva e di voglia di trovare nuove soluzioni rispetto alla tradizione, è sicuramente encomiabile, ma in alcune occasioni lo stravolgimento della tavola non favorisce la perfetta leggibilità del passaggio narrativo a livello grafico, rendendo forse poco chiara la scansione degli eventi. Ad esempio, sono interessanti le divisioni tra vignette composte da arbusti e altri elementi naturali, ma non sempre si distinguono immediatamente dai fondali della storia compromettendo vagamente la chiarezza espositiva.
Osservazioni che ho già fatto per le ultime opere del Dippo: l’artista sta evidentemente sperimentando molto i limiti del medium, e in tal senso ci sta che ci si possa scontrare con alcuni “passi falsi”. Se continuerà a testare i limiti della pagina a fumetti, potrò sicuramente aggirare determinati inciampi 😉
Topolino e l’incredibile Toshio, di Giuseppe Zironi (n. 3559), segna il ritorno di Topolino Giramondo, che torna stabilmente e interamente in mano all’ideatore di questo filone.
L’avventura si attesta sulla media del progetto, nella fascia tendente al buono: il pregio principale è nel modo in cui Zironi muove il protagonista, naturalmente curioso e aperto positivamente al mondo che lo circonda, anche quando culturalmente così lontano da lui.
Topolino accoglie col sorriso alcuni elementi caratterizzanti del Giappone, che siano relativi alle abitazioni o alla fauna locale. L’autore per buona misura lo fa incappare in un piccolo intrigo e lo cala addirittura in uno scontro con una specie di samurai, idea buona per vivacizzare un po’ di più la trama senza rinunciare all’intento da “diario di viaggio” con cui la serie è nata.
Zironi torna in grande spolvero anche con la matita: nel primo episodio di Cavezza ero rimasto un po’ perplesso da alcune cose, mentre stavolta ho solo complimenti per il tratto sfoggiato e per il disegno in generale. Oltre al suo Mickey, che personalmente ho trovato magnifico, notevole l’attenzione per le ambientazioni nipponiche e bucoliche mostrate, così come la vitalità che ha saputo infondere nella scimmietta che dà il titolo alla storia.
Area 15 – La signora della scogliera / Nel giardino d’inverno, di Marco Nucci e Mattia Surroz (n. 3561), è una delle migliori storie del ciclo di Area 15 e una delle più intense scritte da Nucci in generale nella sua carriera disneyana.
Un’opera con diversi livelli di lettura, che parte dal tema della paura della pagina bianca per uno scrittore o aspirante tale… argomento che può benissimo essere letto in maniera più ampia come la difficoltà a sbloccarsi anche in altre situazioni della vita.
Gli esercizi commissionati dalla romanziera Agatha Woolf (ovvia “fusione” tra Agatha Christie e Virginia Woolf, nel perenne gioco di rimandi della poetica nucciana) a Qua, Christopher e Vanessa forniranno tanti spunti utili per superare il blocco e assumono presto la forma di un percorso di formazione.
La mora Vanessa trova finalmente centralità nel cast, con una personalità che risulta approfondita e vincente: la sua vulnerabilità, unita però alla volontà di esprimere quello che ha dentro, la caratterizzano in maniera adorabile con immediatezza, facendo rimpiangere il fatto che nelle storie precedenti la meraviglia di questa ragazzina non sia mai emersa con tale forza.
Il plot twist nel contro-finale, in parte intuibile, viene però giocato con grande classe dallo sceneggiatore, riuscendo a coinvolgermi e commuovermi nel confronto tra i due personaggi centrali della storia.
Nucci ha potuto contare su disegni particolarmente adatti a questo tipo di narrazione: Mattia Surroz è evidentemente stato colpito dalla sceneggiatura e ha dato tutto sé stesso per renderla nel migliore dei modi su carta.
Ha così lavorato ulteriormente sul suo tratto: risulta evidente, per esempio, la cura con cui ha rappresentato Vanessa, donandole un’espressività intensa e dolente e relegandola volutamente ai margini delle vignette in diversi passaggi, a sottolineare il suo sentirsi esclusa e inadatta.
Anche Virginia Woolf risulta esteticamente molto calzante: austera, algida, signorile… questi tratti caratteriali, che emergono tramite i rapporti interpersonali e i dialoghi scritti da Nucci, arrivano al lettore in prima battuta grazie all’aspetto di questa figura. Alta, dallo sguardo tagliente sottolineato dalla forma del becco (piccolino e aggraziato), con un portamento da dama d’altri tempi (notate le mani, spesso intrecciate in grembo) e con un’ampia serie di abiti sfoggiati nel corso della storia, in un contesto – quello Disney – nel quale solitamente i personaggi hanno un vestito solo per tutto il racconto.
Infine, ottimo il lavoro sugli sfondi: l’ambientazione della scogliera su cui sorge la casa della scrittrice è resa in maniera veramente suggestiva, così come è incisiva la serra decadente che Woolf ha riadattato a studio.
Insomma, complimenti!
Zio Paperone e la cupidigia di Cupido, di Sergio Badino e Carlo Limido (n. 3560), è l’atipica storia scelta per celebrare la festa degli innamorati per eccellenza.
Invece di utilizzare coppie standard come Paperino-Paperina e Topolino-Minni, Badino decide di celebrare l’amore attraverso due che non l’hanno mai coronato: Zio Paperone e Brigitta, i quali arrivano addirittura vicino al matrimonio!
Se avete un senso di deja-vu rispetto a una certa storia firmata da Massimo De Vita nel 1984… be’, è comprensibile 😛 ma sappiate che lo sceneggiatore ha costruito una trama che arriva a quell’idea con tutt’altro percorso e ben altri presupposti.
C’è lo zampino di Amelia, in questo caso: anzi, tutto il primo tempo della storia verte proprio sul nuovo piano della fattucchiera per impossessarsi della Numero Uno, e solo nella seconda parte si entra nel vivo con l’incantesimo che dà il titolo all’avventura.
Badino riconferma, dopo gli exploit delle due stagioni di Siamo serie!, di aver tirato fuori uno smalto inaspettato che in passato non era mai emerso con tale forza.
La comicità che mette in scena è veramente spassosa e, anche quando cede a soluzioni volutamente un po’ “stupidine”, porge la battuta o la gag nel modo giusto per riuscire a centrare il bersaglio.
In questo caso, rispetto a Siamo serie!, ha anche spazio per momenti meno demenziali e dimostra di saper gestire benone anche quelli: il suo Paperone, nella prima parte, è caratterizzato in maniera fresca e riuscita, molto in parte, un piacere vederlo in azione in maniera così genuina.
Brigitta, poi, nelle mani dello sceneggiatore riguadagna una maturità e una profondità che qualche decennio fa si era tentato di darle ma senza continuità né convinzione, ricadendo troppo spesso nel solito stereotipo dell’innamorata disperata. Stavolta, pur mantenendo questo tratto caratteriale, lo si trasmette in maniera più cesellata e appassionata, facendo certamente un bel servigio alla bionda papera.
Il secondo tempo della storia conosce infatti una svolta piuttosto assennata che si dimostra apprezzabile e molto romantica, senza per questo risultare sdolcinata o retorica.
Non c’è Silvia Ziche ad accompagnare Badino, questa volta: ma Carlo Limido si rivela comunque una buona scelta, il suo tratto riesce ad essere perfettamente classico senza rinunciare a guizzi e vitalità, trovate grafiche che accompagnano nella maniera migliore una sceneggiatura movimentata, nella quale i personaggi si travestono, indossano abiti diversi dalla norma e visitano diverse location.
San Valentino torna anche in Coppia top, di Vito Stabile e Marco Mazzarello (n. 3560): si tratta di tre brevi storielle con Topolino e Minni protagonisti, intenti in situazioni quotidiane di coppia. Il pregio di questa operazione molto easy è proprio l’approccio naturale con il quale vengono raccontati i due fidanzati, fotografati in momenti comuni a qualunque coppia di innamorati. Quella del maglione è a mio parere la meno riuscita, ma mi sono goduto quella della gita con imprevisto. Nel complesso niente di indimenticabile e nemmeno qualcosa che risolleva le sorti del tribolato (o inesistente) filone delle storie di Mickey&Minnie, ma apprezzo lo sforzo di Vito nell’aver voluto inquadrare il tutto sotto un’ottica più concreta rispetto alla media.
Mazzarello fa il suo: non brilla e sembra qua e là tornato quello di qualche anno fa, ma tutto sommato per un’operazione come questa se l’è cavata.
Stabile torna anche con una doppietta papera: Pianeta Paperino – Il re delle frittelle (n. 3559) e Pianeta Paperone – Le gallette predilette (n. 3561), di Vito Stabile e Marco e Stefano Rota.
Nel primo caso abbiamo l’esordio della serie-gemella di quella che da qualche anno racconta aspetti specifici della personalità di Zio Paperone, dedicata però al nipote Paperino in occasione dell’anno in cui festeggia le 90 primavere: si parte con una breve avventura urbana nella quale il rinomato talento di Donald nel cucinare frittelle (tormentone nato decenni fa) viene notato da un’azienda dolciaria. Idea molto semplice ma sviluppata con tanto cuore, mi è piaciuta perché ci mostra un bel Paperino e offre anche una versione piuttosto spontanea dello Zione e di Qui, Qui, Qua.
Nel secondo caso si torna invece al ciclo dedicato a Paperone: anche stavolta è però il cibo al centro della trama, nella fattispecie le gallette di cui il miliardario va ghiotto in quanto nutrimento sobrio e soprattutto estremamente economico.
Vito immagina che l’incontro con questo alimento sia avvenuto nel Klondike tramite la conoscenza con il futuro produttore, di cui finanziò l’attività. Un retroterra simpatico e innocuo che porta a una storia ambientata ai giorni nostri nella quale emerge perfettamente la cocciutaggine di Paperone e la sua abilità di commerciante e imbonitore, nel momento in cui per salvare la produzione di gallette dovrà convincere i paperopolesi a comprarle nonostante la durezza e lo scarso appeal. Sviluppo vincente e coerente con l’anima del personaggio.
In entrambe le opere i Rota si assestano sulla media stilistica a cui siamo ormai abituati e di cui si è già ampiamente parlato su queste pagine: un tratto arcaico, appesantito da un’inchiostrazione spessa che non rende sempre bene nelle vignette. Il fascino vintage persiste e si sposa anche bene con l’atmosfera impostata da queste sceneggiature, ma in certi passaggi soffre un po’ come resa.
Topolino e l’ispettore Irk contro il criminale inesistente, di Tito Faraci e Giampaolo Soldati (n. 3562), rappresenta la terza storia con l’ispettore creato qualche anno fa da Blasco Pisapia e la seconda nella quale il personaggio è stato “ereditato” da Faraci, che deve aver visto in questa figura poliziesca un archetipo interessante per tornare a raccontare il “suo” commissariato di Topolinia introducendo dinamiche nuove… come accadde nel 1997 quando creò Rock Sassi.
L’agente che non vede di buon occhio la presenza di Topolino nelle attività della polizia non è idea completamente nuova: sempre Faraci aveva battuto quella strada con Sulla scena del crimine, facendo parzialmente il verso a C.S.I., ma in questo caso sembra che lo sceneggiatore lombardo voglia investire con continuità su Irk approfondendone le caratteristiche personali, anche in relazione con Mickey.
Questa Criminale inesistente funziona meglio della precedente Topolino fuori dai radar, che aveva alcune problematiche complessive e di ritmo: pur avendola personalmente apprezzata, riconosco che qualcosa nel complesso stonava.
Stavolta mi è parso che Faraci fosse già più sicuro nel ritorno al suo genere prediletto, e iniziasse a prendere meglio le misure di Irk: non è una figura semplice, deve mantenere una certa antipatia senza per questo risultare troppo respingente per il lettore, e al contempo la bontà di Mickey non deve risultare troppo leziosa. Il punto di caduta non è ancora stato trovato completamente, ma qui abbiamo una storia già più solida di quella uscita a inizio anno e una trama piuttosto intrigante e suggestiva.
Qualcuno dirà che ricorda moooooolto da vicino Memorie dall’invisibile, diciannovesimo albo di Dylan Dog scritto da Tiziano Sclavi e disegnato da Giampiero Casertano, e di certo l’ispirazione appare evidente: onestamente però non ci vedo un problema eccessivo in questo rimando. Per il pubblico più giovane si tratterà di un “adattamento” cucito a sua misura che gli permetterà di leggere un’avventura piuttosto intrigante nel plot di base, ben gestita anche grazie agli azzeccati “stacchi” con le tavole in cui il misterioso ladro parla in prima persona. Per i lettori più smaliziati, invece, può essere comunque interessante vedere come una stessa idea possa essere declinata in diversi modi, maniere e circostanze.
I disegni di Soldati mi hanno sorpreso in positivo: ho sempre considerato il disegnatore un valido mestierante, supportato da solida tecnica ma che non ha mai brillato. Tale considerazione può valere invero anche per questo caso, ma in questo caso se l’è cavata meglio di Casty e ha presentato un lavoro di tutto rispetto, non privo di qualche guizzo e di un certo dinamismo di fondo.
Paperino, Newton e l’effetto fisarmonica, di Francesco Vacca e Andrea Maccarini (n. 3562), presenta una nuova bislacca avventura del nipotino di Archimede, desideroso di mostrare le proprie doti allo zio.
Oltre ad alcune avventure delle GM, Vacca ha avuto modo di gestire il genietto in Newton Pitagorico e il rigeneratore soporifero del 2022, uno dei tie-in di Minaccia dallo spazio, che mi era piaciuta ma che avevo valutato come un po’ too much, sensazione per certi versi valida anche ora: lo sceneggiatore ha guardato con attenzione a quanto fatto da Marco Nucci sul personaggio, ma tende a esagerarne la caratterizzazione “autistica” e l’escalation che deriva dalle sue azioni.
L’effetto fisarmonica in effetti punta “in altissimo”, visto che viene addirittura annichilito il nostro intero universo per poi riformarlo: c’è da dire però che è tutto così ridicolo e volutamente sopra le righe che si riesce a prenderlo per com’è e a ridere della follia apparecchiata da Vacca, specialmente se si pensa che tutto è partito da un vaso rotto.
Mi è piaciuto che in tutto ciò vengano spacciati brillantemente concetti scientifico-spaziali come il Big Bang e il Big Crunch e anche i disegni di Maccarini funzionano particolarmente bene, grazie a un tratto “scapigliato” che si presta alla vicenda.
Zio Paperone e la mappa di Ermete, di Sergio Cabella e Mattia Surroz (n. 3562), è la storia che mi fa fare pace con Cabella: lo sceneggiatore, dopo un’ottima rentrée sul “Topo” nel 2020, aveva inciampato in più occasioni, ma stavolta centra perfettamente l’obiettivo.
Una classica caccia al tesoro di Zio Paperone con nipoti al seguito… e da quanto non se ne vedevano! Quante volte mi sono lamentato di questa assenza! L’autore rimedia e lo fa in maniera interessante, tramite una missione a tappe multiple, tutte apparentemente inconcludenti e fallimentari. Ovviamente non sarà davvero così e il finale offre una svolta che rende giustizia all’impianto e non delude; nel mentre il lettore si è goduto un’avventura tradizionale nel senso migliore del termine, con un buon uso dei personaggi in gioco e con belle dinamiche.
Surroz ai disegni spicca meno rispetto all’episodio di Area 15, diciamo che mantiene un profilo più standard: ma l’abilità di questo artista, in forte crescita nell’ambito disneyano, si riconferma anche in questa storia. La morbidezza del tratto, le espressioni che dipinge sul volto dei personaggi, le straordinarie vedute esotiche, il modo di comporre la scena sono elementi degni di nota e che appaiono sensibilmente migliori rispetto agli esordi dell’artista sulle pagine di Topolino.
Paperino, Paperoga e la notte dei cavalli a dondolo, di Rudy Salvagnini e Lucio Leoni (n. 3559), è un divertissement piuttosto riuscito, certo migliore di altre prove recenti dello sceneggiatore. Un pizzico di non-sense, l’entusiasmo contagioso di Paperoga, una trama che gioca al rilancio continuo e all’iperbole sono gli ingredienti della vicenda, che gira attorno al tema del cinema horror tanto caro a Salvagnini, appassionato del genere e della settima arte nel complesso.
Paperoga tenta una carriera in quell’ambito, trascinando ovviamente il cugino con sé, con esiti prevedibilmente fallimentari: proprio la bizzarra idea dei cavalli a dondolo del titolo risulta l’elemento più divertente, oltre che quello risolutivo nel sorprendente twist.
Leoni torna a disegnare una storia di Salvagnini e lo fa con il suo tratto dinamico e posato al tempo stesso, che ben si adatta a questo tipo di narrazione.
Chiudo con La grande mitologia papera – Paperina Didone e la pelle di bue, di Luca Barbieri e Emilio Urbano (n. 3560), primo tassello di un progetto che si articolerà in più episodi e che sarà accompagnato da una nuova iniziativa editoriale da edicola.
Il fulcro è ovviamente la mitologia greca classica, reinterpretata dai personaggi Disney: canovaccio piuttosto comune, che ha regalato soddisfazioni in passato ma che personalmente non mi ha mai preso molto. Troppo spesso si tratta infatti di storielle didattiche che si limitano a ri-raccontare i miti greci con qualche gag in aggiunta, e in effetti anche questa Paperina Didone e la pelle di bue non esula dal paradigma. Ma devo dire che Barbieri se l’è cavata molto meglio del previsto, anzi oserei dire che il risultato è anche migliore di altre sue prove disneyane! Sarà che non mi aspettavo granché dall’operazione o che lo sceneggiatore si è trovato particolarmente a suo agio con l’argomento, fatto sta che la lettura è trascorsa serenamente e senza drammi. Il tratto di Urbano, inoltre, si sposa bene con la narrazione e anche i colori vivaci hanno avuto il loro perché.
BONUS TRACK: FORSE NON SAPEVATE CHE…
dall’inizio del 2024 l’amico Fabio Del Prete è sbarcato su Twitch con il suo The Fisbio Show! Pur non abbandonando il canale YouTube che ha dato i natali al progetto, il Fisbione nazionale sta iniziando a sfruttare le potenzialità della piattaforma viola, in particolare per quanto riguarda le dirette streaming.
Questo ha portato una rivoluzione copernicana nell’appuntamento fisso con la recensione settimanale di Topolino, che non nasce più come video registrato ma viene realizzata in live il lunedì sera e successivamente editata in una versione per il Tubo.
Per quanto possa apparire impegnativo seguire la live rispetto all’asincronicità della registrazione, vi consiglio di provare a vedervi qualche recensione in diretta: la possibilità di interagire in tempo reale tramite commenti e la disponibilità di contenuti extra “post-credits” sono valori aggiunti non da poco.
L’appuntamento è ogni lunedì sera dalla 21:30 😉
Bene, credo di aver detto tutto.
Grazie come sempre a chi mi ha letto, e alla prossima!