Il “Topo” di novembre 2023
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Il “Topo” di novembre 2023

Bentornati su Lo Spazio Disney!
Senza troppi giri di parole, novembre è stato un mese piuttosto complicato e negativo.
Questo su molteplici livelli: dopo i primissimi giorni, quando in concomitanza col Lucca Comics parte della Toscana è stata colpita da un violento nubifragio, è subentrato l’ennesimo caso di femminicidio con la drammatica vicenda di Giulia che, per alcuni connotati narrativi, ha avuto un forte boost mediatico e un coinvolgimento emotivo particolarmente intenso, capace di riportare all’attenzione popolare una tematica purtroppo drammaticamente protagonista nella cronaca nera e nella quotidianità.
Una storia che difficilmente lascia indifferenti e che effettivamente ha colpito molto anche me.
A livello lavorativo, poi, è stato per me un mese particolarmente impegnativo, che mi ha concesso poco tempo libero per leggere gli acquisti lucchesi e anche per occuparmi di scrivere e di gestire Lo Spazio Bianco, il Papersera e questo blog.
Sono riuscito a concedermi sabato 25 a Cartoomics, ma anche in quell’occasione per motivi personali il weekend è stato funestato da un imprevisto che ha ribaltato un po’ di piani.
Insomma, è con non poca soddisfazione che mi lascio alle spalle questo infausto novembre, sperando che il mese natalizio per eccellenza porti invece un po’ di tranquillità e serenità.
Intanto è però d’uopo concentrarsi su quanto ha offerto Topolino in queste recenti settimane 😉 e considerando che diverse storie erano pensate per essere lanciate col volano di Lucca Comics, le cose da dire non mancano!

Novembre 2023: le storie da Topolino

La partenza è ovviamente dedicata a Topolino e la profezia del cavaliere scarlatto, di Marco Nucci e Cristian Canfailla (nn. 3545-3546-3547), nuovo capitolo della saga della Spada di Ghiaccio dopo il rilancio di un anno fa, anche stavolta per mano dello stesso team autoriale che ha raccolto l’importante eredità devitiana.
La storia ahimè non è niente di che, un blando fantasy molto basico a base di profezie prive di elementi che le sostengano, di un classico viaggio degli eroi, di un generico more of the same rispetto a quanto già visto nel ciclo e di un finale tanto ad effetto e stuzzicante sulla carta, quanto claudicante, facile e gratuito se ci si sofferma sopra post-lettura.

Il pregio di Nucci è che sa scrivere: conosce le finezze che possono rendere accattivante il racconto e sa come gestire cliffhanger e atmosfere. Ma stavolta nemmeno questo salva un plot piuttosto risicato e che gioca tutti i suoi elementi di interesse sul ribaltone finale, che in qualche modo di primo acchito funziona per quello che era il suo obiettivo (again, lo sceneggiatore conosce bene il mestiere)… ma a mente fredda potremmo dire che si vedono i fili.
Anche i personaggi risultano scritti in maniera un po’ artificiosa, e alcuni segnali di stile come le didascalie che si rivolgono direttamente al lettore e il tormentone di Topolino che fa il countdown alla lunga diventano leziosi.

Sempre in palla invece Canfailla, con i suoi echi devitiani classicheggianti senza rinnegare uno stile personale che storia dopo storia sembra trovare sempre più una propria identità. Qualche scivolone su alcuni personaggi, forse, ma le ambientazioni e la costruzione delle tavole sono veramente convincenti.

Le avventure del giovane Top de Tops – Lo sguardo della (s)fortuna, di Giorgio Pezzin e Davide Cesarello (n. 3545), lo dico subito, è l’episodio meno convincente di questo revival della serie, e di conseguenza della serie nel suo complesso. Non ho trovato quell’aura di sottile inquietudine che permea le storie migliori del ciclo e, anche se la parte centrale si rivela solida, nel complesso il racconto mi è parso poco unitario e un po’ dispersivo. Il mistero archeologico alla base del plot, peraltro, rimane un po’ in disparte ed esiste come motore degli eventi, ma senza possedere elementi di interesse di per sé.
Scongiurati quindi i timori della vigilia di un ipotetico Young De Tops – la storia è perfettamente integrata nelle Tops Stories standard, che del resto non hanno mai seguito un ordine cronologico – ci troviamo per le mani un’onesta storiella d’avventura che mi ha però lasciato poco.
Anche Cesarello mi è sembrato meno ispirato rispetto alle due prove precedenti e al lavoro immenso fatto su Gli Evaporati: non siamo dalle parti delle tavole di raccordo del Classico Disney sulle Tops Stories, per fortuna, ma ho notato un maggior indugio verso uno stile underground che ha stretchato troppo la fisionomia di alcuni personaggi.

PK: Rinascita, di Tito Faraci e Lorenzo Pastrovicchio (n. 3545), finisce immediatamente ai piani alti della mia personale classifica di storie di PK preferite, tra quelle uscite dal 2014 ad oggi.
Un grandissimo ritorno di Faraci, con una forma smagliante che non era per nulla scontata, visto che negli ultimi anni si è concentrato su storie brevi e prettamente umoristiche e che, anche quando si è dedicato ad avventure più lunghe, ha mantenuto un registro ben diverso da quello pikappico.
Ci voleva ancora una volta l’entusiasmo di Lorenzo Pastrovicchio per riportare sul personaggio uno storico sceneggiatore e per sfidarlo a farlo in grande spolvero: anche se sono passati molti anni e questo Tito non è più certo quello di fine anni Novanta, l’autore ha saputo trovare la chiave giusta per riprendere in mano PK e uno spunto adatto a quello che PK rappresenta, con una voce molto vicina a quella di un tempo con in aggiunta un po’ di esperienza in più.

Il risultato è un’opera roboante, potente, coinvolgente e capace di toccare diverse corde e generi, cosa che è sempre stata nel DNA della serie.
Non è solo un sequel indiretto di Trauma, come facilmente si potrebbe ridurre l’intera operazione per via del ritorno di questo antagonista, del Pozzo come ambientazione, di Gorthan e financo degli incubi paperineschi: Faraci riprende sì questi elementi ma li rielabora in quello che potrebbe essere benissimo il pilot di un nuovo sub-plot, grazie a una storia corposa, ben ritmata e a un nuovo comprimario molto efficace e intrigante, perfetto contraltare del protagonista e dotato di un carisma coinvolgente.

La scelta di staccarsi da elementi di continuity recente paga, devo dire.
Apro a tal proposito una parentesi perché mi pare sempre più che tra i pkers rivesta un’importanza eccessiva l’attenzione al fatto che ci siano cose lasciate in sospeso in passato, elementi da chiudere, situazioni da chiarire. Si badi bene, da bravo nerd anch’io sono sensibile a questo approccio e mi piacerebbe che ciò che è rimasto aperto trovi una sua chiusura, ma riconosco anche i limiti che il progetto PK ha oggi, tra pubblicazione discontinua e scarsa coordinazione tra redazione e autori e tra i singoli autori tra loro. Alessandro Sisti ha provato a rimettere ordine con la sua run sul Fuoriserie, concludendo alcune cose e al contempo aprendo ad altre, ma i risultati sono stati altalenanti, anche per via del formato su cui si è trovato a lavorare.
La mia conclusione, attualmente, è quindi quella che sia preferibile far vivere il personaggio di avventure spot, certamente mantenendo la memoria di quanto successo in passato e dello status quo di determinati passaggi che possono sempre essere ripresi (e in quel caso va fatto coerentemente con quanto raccontato precedentemente), ma senza l’ossessione di tirare le fila o di dare una chiosa a determinate sottotrame.

In quest’ottica Faraci ha operato per me bene: ha realizzato una sana e robusta avventura di PK che si pone in un momento X post Orizzonte degli eventi e che funziona in sé e per sé. Ora che PK torna sul “Topo” con un ritmo blando e aperiodico, direi che questa rimane la soluzione migliore per gestirlo, ancora meglio delle saghe-evento dello scorso decennio.
Io qua mi sono divertito, emozionato e gasato, anche per via del fatto che tutto appariva spontaneo, oltre che per la suggestione di avere Paperinik lontano da tutto e da tutti a cavarsela in una situazione ostile.

E poi c’è Pastro, che qui si è preso benissimo come ai tempi della run di Francesco Artibani, e si vede! Tratto energico, pose plastiche, grande cura del dettaglio, un modo sempre chiaro di rappresentare anche le scene più concitate, un character design fantastico per le new entry del cast, un Pikappa magistrale e una costruzione delle tavole sempre dinamica e intelligente. Che gli vuoi dire, se non che non vedo l’ora di godermi il tutto in grande formato?
Pollice convintamente in alto, quindi.

Ritorno a Ducktopia, di Francesco Artibani, Licia Troisi e Francesco D’Ippolito (nn. 3546-3547-3548-3549), si riassume con un bene ma non benissimo.
Inutile girarci attorno: Ducktopia era una storia gradevole ma che ha funzionato alla grande per via di quel preciso twist posto in quel preciso punto della narrazione. Giocata alla grande questa trovata, il rischio era che il worldbuilding creato non fosse però sufficientemente solido di per sé per reggere eventuali sequel. Al netto delle creature che lo popolano, infatti, il reame di Ducktopia non aveva chissà quali elementi che lo distinguessero da un qualunque scenario fantasy, e L’ombra di Ducktopia dello scorso maggio aveva già mostrato i limiti del voler portare avanti la saga.

Questo Ritorno a Ducktopia funziona per fortuna meglio di quel breve intermezzo, ma siamo sicuramente un paio di spanne sotto la prima stagione. L’elemento a sorpresa stavolta è molto meno sorprendente e decisamente più convenzionale, il che depotenzia subito il tono generale. Lo spunto iniziale, con Deposito di Paperone e commissariato di Topolinia spediti a Ducktopia e conseguente reciproco travaso di elementi tra le due realtà, era di fatto molto intrigante ma non è stato ben approfondito se non verso la fine, e questo è un peccato.

Poi per fortuna c’è la sapiente scrittura di un fuoriclasse come Artibani e un’esperta di fantastico come Troisi, per cui la storia si mantiene ben al di sopra della sufficienza e porta peraltro a un ultimo episodio emotivamente molto forte e con una mossa a sorpresa interessante, per quanto piuttosto gratuita e uscita un po’ dal nulla.
Ma resta un retrogusto leggermente amaro e la sensazione che stavolta le cose siano filate meno lisce rispetto al debutto di questo universo narrativo.

Dal punto di vista estetico però c’è ben poco da recriminare: D’Ippolito dona vitalità ai personaggi, che nelle linee sinuose e nella recitazione ricordano a più riprese le loro versioni animate. Magnifica è anche la cura con cui raffigura gli abiti “ducktopiani” del cast e le ambientazioni immaginifiche: ci sono alcune splash page e spread page che mostrano in tutto il loro splendore gli scenari fantastici descritti in sceneggiatura e che sono una vera gioia per gli occhi. Discorso analogo per quanto riguarda le creature di Ducktopia, anche se mi sarebbe piaciuto vederne di più e meglio.
Sotto il profilo della griglia, invece, Dippo si scatena… anche troppo! Come già in K – Diari del Klondike, anche in questo caso l’artista stravolge diverse tavole dimostrando l’encomiabile volontà di movimentare il ritmo di lettura, ma in taluni casi risulta sacrificata la chiarezza della lettura e la consecutio delle vignette, compromettendo quindi quella chiarezza e pulizia espositiva che dovrebbe rimanere un punto fermo primario nella narrazione disneyana per immagini. Rispetto a K qui accade con meno frequenza, ma la tendenza ricorre e mi spiace notarla; spero che in futuro il disegnatore riesca a trovare il giusto equilibrio tra gabbia libera e perfetta leggibilità della storia, perché gli manca veramente poco per attestarsi come uno dei migliori talenti della sua generazione.

Viaggio attraverso l’impossibile, di Bruno Enna e Alessandro Pastrovicchio (n. 3546), è il sequel diretto di Viaggio nella luna, proseguendo il progetto degli autori atto a trasporre due pellicole seminali di Georges Melies.
C’è continuità diretta tra le due storie, non solo nella tematica e nei protagonisti: la vicenda prende infatti avvio dal finale della precedente, con la “lunare” Brigitta sulla Terra a spasimare per Paperone e con la volontà di trovare il portentoso minerale ricercato nella precedente avventura sul Sole dell’altra dimensione.
Non solo: si fornisce retroattivamente un dietro le quinte rispetto a questo materiale, fornendo così una perfetta chiusura del cerchio che rende questo Viaggio attraverso l’impossibile non solo un seguito, ma un vero e proprio “secondo tempo” di Viaggio nella luna.

Anche in questo caso la fantascienza giocosa, fantastica e surreale la fa da padrona, con un Enna quanto mai divertito e coinvolto nell’assurdo viaggio. Ammetto però che mi sono sentito meno coinvolto rispetto alla prima avventura, forse per il senso di inedito che portava con sé. Al netto dunque di trovate magnificamente bizzarre come il treno a vapore dimensionale o la storia di questo contraltare di Filo Sganga, nel complesso mi è piaciuta di più la precedente.

Sul piano grafico, invece, non colgo distinzioni tra le due avventure: il lavoro di Alessandro Pastrovicchio risulta altrettanto sontuoso e raffinato, tanto nei personaggi quanto negli sfondi e nei mezzi. Tutto appare curato e grande attenzione viene rivolta ai dettagli, compresa la colorazione attenta e adatta al contesto. Sempre d’effetto le pagine che simulano l’effetto del bianco e nero, idea ancora una volta validissima per il suo doppio binario: sensata narrativamente e al contempo azzeccato omaggio al b/n dei film originali.

Cornelius – La fattoria dei bambini, di Alessandro Sisti e Simona Capovilla (n. 3547), segna già una fase di stanca in questo ciclo,dopo un ottimo esordio e un secondo episodio leggermente più debole ma ancora valido. Purtroppo questa nuova tappa del viaggio del giovane Cornelius Coot ricalca fin troppo il plot della precedente, con il protagonista e i suoi amici che si trovano a contrastare dei delinquenti con il solo ausilio della propria astuzia. Sisti scrive bene come sempre e porta avanti la trama orizzontale in maniera lineare e interessante, facendo perdere di volta in volta compagni di viaggio a Cornelius (e sarà interessante la prossima volta vedere come se la caverà senza spalle), ma le singole avventure, fatta salva la prima, non sembrano più così interessanti, nonostante l’ambientazione abbia sempre un certo appeal.
Apprezzo la raffinata citazione a Il tamburino e i tre soldi del destino, uno dei più bei Racconti attorno al fuoco di Nonna Papera ad opera di Rodolfo Cimino: Cornelius incontra infatti un anziano fattore di nome Tom che, da alcuni aneddoti sulla sua giovinezza, sembrerebbe essere lo stesso protagonista di quella commovente storia. Questo elemento non confligge con l’avventura ciminiana, giacché possiamo immaginare che Coot racconti in futuro di questo incontro alla nipote Elvira e che lei lo tramandi come uno dei suoi racconti.

Simona Capovilla prosegue il suo percorso di crescita e, benché siano ancora lontani i risultati ottenuti da Ivan Bigarella nella prima storia della serie, mi sono ritrovato con tavole dallo stile molto piacevole, forse un po’ legnoso nel raffigurare alcuni personaggi secondari ma efficace negli sfondi. Noto comunque più sicurezza rispetto all’episodio precedente e questo mi fa molto piacere!

Qua e i Bumpers – Un arduo compito, di Giorgio Salati e Mattia Surroz (n. 3548), segna un po’ a sorpresa il ritorno sulle pagine di Topolino della band di Qua.
Rispetto infatti alle esperienze calcistiche delle grandi competizioni e al mondo nerd di Area 15, la realtà musicale di Qua e dei Bumpers (ex Rintronati) era finita un po’ in disparte dopo la saga Musicalisota di un paio d’anni fa, che aveva visto il gruppo impegnato in un vero e proprio tour.
Il microcosmo musicale del nipotino in verde, comprensivo dei compagni musicisti, aveva del potenziale e sono lieto che torni alla ribalta, sempre per mano di un esperto della materia come Joe Sal… ehm, Giorgio Salati 😉

Stavolta si tratta di una storia più intima, dedicata alla bassista Brianna e ai suoi problemi scolastici e di relazioni sociali.
La trama è scritta con mestiere e abilmente riunisce i tre elementi che la compongono in un finale lineare e riuscito.
I patemi preadolescenziali della ragazza non sono forse dei più originali, così come non lo è il finale che apre gli occhi alla giovane sull’utilità della matematica nella sua passione musicale, ma nel numero di pagine a disposizione il tutto trova un suo equilibrio e un suo perché, oltre a consentire di focalizzarsi in maniera più accurata su un personaggio che altrimenti rischiava di essere semplicemente un elemento x della band, senza troppa personalità. Sarebbe bello che in futuro anche gli altri membri godano dello stesso trattamento, ovviamente.

Sempre interessante vedere come lo sceneggiatore riesca a inserire concetti tecnici della musica e del modo di suonare uno strumento o di stare su un palco senza risultare pesante o inappropriato, ma calandoli in maniera naturale all’interno della narrazione.
Mattia Surroz alle matite fa un gran bel lavoro: l’artista eredita il character design dei nuovi personaggi da Nico Picone e li fa propri, rimanendo fedele al loro aspetto ma infondendo il proprio stile in alcuni dettagli e nella recitazione, oltre che nel modo di gestire la tavola.

Minni, Pippo e il mistero del Topoldo, di Marco Nucci e Davide Cesarello (n. 3549), si rivela a sorpresa una storia veramente riuscita, nella sua semplicità e nel suo essere quasi “su commissione”.
L’avventura della strana coppia Minni-Pippo si svolge infatti a Brescia, in un tour artistico-culturale che tocca diversi palazzi e monumenti della città lombarda sulle tracce di un presunto mistero disseminato dal pittore Topoldo, versione disneyana del Savoldo, il tutto come viatico per parlare di Brescia quale capitale capitale italiana della cultura 2023 (insieme a Bergamo) e con tanto di articolo di approfondimento a corredo.

L’esito poteva essere noioso o perlomeno claudicante, come avvenuto per alcuni episodi del ciclo della Basilicata di Artibani, invece Nucci trova la chiave giusta per parlare di un argomento “educativo” in modo interessante, costruendo la storia come una caccia al tesoro seguendo indizi disseminati dall’artista in diverse sue opere e luoghi in cui è stato durante la sua esistenza.
Un approccio “alla Dan Brown”, se vogliamo, ma dosato nella giusta maniera per rendere il tutto sufficientemente accattivante, unitamente all’idea di rendere Pippo spalla di Minni e non di Topolino, una volta tanto, mettendo in scena le doverose differenze di approccio e creando un’alchimia inedita.
Ottimo qui Cesarello, che ritrova maggior equilibrio nel tratto senza rinunciare alla sua cifra stilistica, realizzando vignette molto buone nelle quali spiccano gli scorci di Brescia, rappresentati con perizia.

La lunga notte della Numero Uno, di Maya Astrup e Andrea Freccero (n. 3548), è una egmontiana di lusso: ai testi l’apprezzabile Astrup, sceneggiatrice assai promettente che ho già avuto modo di lodare alla luce di alcune sue cose apparse su Almanacco Topolino, e ai disegni il nostro Andrea Freccero, che è sempre più raro vedere alle prese con le tavole di una storia.
Maya Astrup si approccia lateralmente alla materia paperoniana, in questo caso, della quale già si è dimostrata magistrale cantrice: il punto di vista è infatti quello della Numero Uno, che per una serie di circostanze viene sballottolata per tutta Paperopoli finendo tra le grinfie dei Bassotti, nella cintura di Paperinik e nel becco di Gennarino. Di coincidenza in coincidenza, la monetina tornerà al legittimo proprietario in maniera improbabile ma suggestiva, e a guardare nel complesso questa storia quasi sperimentale non si può che apprezzare l’inventiva dell’autrice.
Freccero dal canto suo si diverte a seguire una sceneggiatura atipica come questa e a rappresentare una certa varietà di personaggi: bellissimo il suo Paperone, per esempio, anche se compare poco, ma sono decisamente riusciti anche Paperinik e Amelia.
Lodevole la volontà di supervisionare personalmente il colore per l’edizione italiana, regalando tinte e ombre sicuramente più curate e d’effetto rispetto alla coeva versione nordeuropea.

Maya Astrup è di scena anche con un’altra avventura, benché meno gradevole: Paperino, Qui, Quo, Qua e i sensazionali ingressi dimensionali, di Maya Astrup e Giorgio Cavazzano (n. 3549), tenta di fare goffamente del metafumetto ma in maniera poco ispirata e originale, muovendo i protagonisti in maniera ingessata e per nulla credibile, quasi artefatta.
Il risultato è una trama sconclusionata e deludente, accompagnata dai disegni di un Cavazzano ahimè spento, che tanto nei personaggi quanto nelle ambientazioni sembra lo spettro di sé stesso, contribuendo così alla sensazione di star leggendo qualcosa di trascurabile.

Credo di aver detto tutto.
Grazie come sempre a chi mi ha letto, e alla prossima!

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