Cos’è successo a Zio Paperone?
Bentornati su Lo Spazio Disney!
Quest’oggi una piccola riflessione estemporanea, che potrebbe tranquillamente essere figlia di una mia impressione puramente personale e in tal caso avere ancora meno valore generale di quanto non tentino di avere solitamente i miei post.
In soldoni, mi pare che nell’ultima quindicina d’anni gli autori italiani non sappiano bene cosa fare del personaggio di Zio Paperone.
Da qui il titolo dell’articolo, che richiama quello di una serie di illustrazioni commissionate dalla fanzine tedesca Der Donaldist a diversi autori Disney, a cui veniva richiesto di elaborare un disegno a partire proprio da questa frase:
Ehi, Daisy, whatever happened to Scrooge?
Si era tra gli anni Ottanta e Novanta, un periodo dove, contrariamente ad oggi, i fumettisti disneyani avevano maggiormente il polso di un personaggio vitale nel cast paperopolese ma che richiede una certa cura nel maneggiarlo.
Da un decennio abbondante, invece, le storie di rilievo con il miliardario protagonista, dalle quali emergano le caratteristiche che l’hanno reso una delle figure di spicco nel cast disneyano e il motore principale degli avventure dei paperi, si contano sulle dita delle mani: L’ultima avventura di Francesco Artibani e Alessandro Perina, L’identità perduta di Vito Stabile e Marco Rota, in piccola parte La sfida da 50$ e Fuga dal Natale di Giorgio Salati (coi disegni rispettivamente di Emilio Urbano e Giorgio Cavazzano), Il mistero del Monte Orso di Tito Faraci e Cavazzano, Il destino di Paperone di Fabio Celoni e la recentissima Prova di scozzesità di Stabile e Libero Ermetti, che con il loro ottimo lavoro sullo Zione hanno contribuito a questa riflessione.
Forse ne dimentico qualcun’altra, ma comunque non superiamo la ventina.
Per il resto, quando usato, Paperon de’ Paperoni viene secondo me appiattito, oppure reso ancillare negli eventi che vengono raccontati.
Si è deciso di attenuare drasticamente le intemperanze di un tempo, che effettivamente lo rendevano fin troppo ruvido, ma non si è stati in grado di ricalibrare la sua caratterizzazione con gli altri elementi che lo contraddistinguono. La giocosità del suo rapporto con il denaro, per esempio, o quella incapacità di modulare le proprie reazioni emotive, che portava a picchi di disperazione per una monetina perduta, sono tocchi di personalità preziosi che non si vedono quasi mai.
Non solo: elementi assolutamente eccezionali, e nati come straordinarie prove di umorismo paradossale, sono ormai così consolidati da essere dati per scontati e di conseguenza non si punta più sulle loro potenzialità: il Deposito, la Numero Uno, il fiuto per l’oro, la capacità di nuotare nel denaro, il tormento subito da “disturbatori” come i Bassotti e fantastici viaggi sulle tracce di tesori perduti… spunti geniali che ormai non sono più percepiti come tali, e non solo perché presenti da decenni nelle storie, ma anche perché non si è più capaci di metterli al centro delle trame.
Le storie con Zio Paperone sono ormai soprattutto di due tipi: quelle dallo schema trito e ritrito, quali le sfide al Club dei Miliardari o generiche difficoltà affaristiche di stampo urbano, e quelle sentimental-nostalgiche.
In questa seconda branca abbonda la volontà di concentrarsi sul mitico passato del magnate; soprattutto la nuova generazione di sceneggiatori, ammaliata dall’imponente e meritorio lavoro di Don Rosa, si è impegnata a riproporre con insistenza il setting del Klondike e della corsa all’oro, che da specifico episodio della sua storia e da simpatico tormentone dei racconti ai nipoti si è trasformato in un’ingombrante cliché che rischia di svilire il fascino di quel periodo della vita di Paperone, tanto viene sfruttato anche quando non strettamente necessario.
Manco a farlo apposta, proprio nel Topolino in uscita questa settimana esordisce una nuova serie con questa ambientazione!
Il confronto con quanto avviene parallelamente all’estero rende ancora più pesante tale considerazione: fumettisti come Kari Korhonen, Maya Åstrup, Arild Midthun, Jaakko Seppälä o Sune Troelstrup, infatti, hanno dimostrato in anni recenti di saper muovere in maniera mediamente più interessante il personaggio mantenendo intatte le sue vincenti peculiarità.
Korhonen, in particolare, con la sua serie dei Diari ha evidenziato come ci siano molti momenti sparsi lungo la biografia di Paperone utili per raccontare nuovi aneddoti, senza doversi fossilizzare sul Klondike.
A proposito dell’estero, è poi interessante prendere in considerazione l’animazione, visto che dal 2017 al 2021 Zio Paperone è tornato in auge in quel medium grazie al reboot della serie televisiva DuckTales: per quanto non sia stato sempre e comunque al centro degli episodi, la sua figura leggendaria giganteggia e guida il tenore dei racconti. Attraverso questa visione gli autori dello show hanno sicuramente dato prova di aver fatto loro il personaggio in alcune delle sue caratteristiche maggiormente “catchy” e intriganti, rendendolo vincente e convincente e evidenziando la straordinarietà di situazioni, comprimari e avversari che lo circondano.
Tra gli italiani, rimane a mio modesto avviso Rodolfo Cimino l’autore che meglio ha saputo cogliere l’essenza di questo magnifico personaggio: per quanto abbia declinato la sua carriera in una specifica tipologia di storie proposta in maniera incessante, ha spesso saputo inserire qualche tocco di stile e leggera variante in grado di dare un’identità a ciascun racconto.
Ma soprattutto, all’interno del meccanismo “caccia al tesoro” Cimino ha dato tridimensionalità a Zio Paperone, capendolo come pochi e restituendoci uno dei ritratti più genuini di una figura tanto particolare.
Non credo di dire un’eresia sostenendo che molti lettori della mia generazione e di quella precedente abbiano amato così tanto lo Zione anche grazie all’abbondante afflusso di storie ciminiane, in grado di codificare egregiamente i tratti salienti di un papero molto umano: non solo perché perfettamente e precisamente storicizzabile nel Novecento o perché c’è stata la possibilità di costruirgli attorno un insieme di legami famigliari molto sentiti, ma perché capace di entusiasmarsi come un bambino per piccole-grandi gioie, perché pieno di energia, perché carismatico e perché dotato di un’innata capacità di sbagliare, accecato dai propri obiettivi, finendo per trarre una morale del contrappasso che l’indimenticato sceneggiatore immancabilmente gli comminava.
Inducks alla mano, negli ultimi anni, oltre agli esempi citati a inizio articolo e a poche altre eccezioni più laterali (come le storie di Bruno Enna e Alessandro Sisti del “ciclo italiano”, sulle tracce di Raffaello Sanzio e Dante Alighieri), vedo solo storie “interlocutorie”, nelle quali il personaggio è lo spettro di sé stesso, reiterando stancamente certi stilemi che, senza essere rinverditi e “capiti”, diventano consunti stereotipi.
Una difficoltà nel gestire Zio Paperone che si vede anche a livello editoriale: certo, esiste un mensile a lui interamente dedicato che negli ultimi due anni “ci crede”, inserendo storie cult e articoli di approfondimento, ma che per l’80% è composto dalle storie post-2010 di cui sopra.
L’esempio principe di questo smarrimento è però lo scenario dei festeggiamenti per i 75 anni del personaggio, celebrati a fine 2022 con una serie di proposte che palesavano incertezza da una parte e tendenza al “riciclo sicuro” dall’altra: Il Klondike di Zio Paperone era un volume contenente una selezione assolutamente random per qualità e interesse, resa attraente più che altro dalla statuina allegata che, in quella versione con la base a cui agganciare il pupazzetto, si poteva trovare solo in quel contesto; la nuova ristampa del seminale Vita e dollari di Paperon de’ Paperoni sostanzialmente riproponeva a prezzo pompato la meritoria iniziativa del 2007, mentre l’ennesima riedizione de La $aga di Paperon de’ Paperoni di Don Rosa rappresentava il feticcio perfetto a cui ricorrere per l’occasione. Le ultime due proposte, tra l’altro, erano già state utilizzate rispettivamente per i 60 e i 50 anni del personaggio.
L’unica uscita dotata di un minimo di senso era Pianeta Paperone, raccolta dei primi quattro episodi dell’omonima serie antologica di Vito Stabile e Marco Rota nata con l’obiettivo di approfondire vari aspetti secondari, ma non per questo poco importanti, legati al magnate paperopolese: le storie sono gradevolissime e proprio per la loro natura perfette per celebrare il personaggio, quindi si prestavano particolarmente bene allo scopo. Ovviamente sono uscite altre puntate del progetto, dopo questa pubblicazione, quindi si spera che possano conoscere lo stesso destino per non rendere il volume una meteora fine a sé stessa, ennesima spia di una mancanza di progettualità nelle proposte da libreria.
Dal mio punto di vista, insomma, Zio Paperone in Italia sta attraversando da lungo tempo una fase complessa, nella quale viene se non equivocato perlomeno banalizzato o dato per scontato, livellandone le caratteristiche che l’hanno reso così iconico.
Sceneggiatori e fumettisti capaci però non mancano, e di alcuni ho fatto nomi e cognomi durante questo pezzo: è a loro che affido la speranza per il Paperone futuro, che possa ritrovare sempre più convintamente i lati vincenti della propria identità, e perché possano ispirare i propri colleghi a seguire la strada meno facile ma sicuramente più virtuosa per scrivere questo personaggio.
Scrooge McDuck deve tornare a essere visto come una sfida da parte di chi lo scrive.
Una riflessione interessante. Credo che dopo il lavoro di Rosa, definitivo e che non concedeva repliche, gli autori abbiano trovato piú vicino al loro modo di essere un personaggio come Paperino. Marco Gervasio, di cui sono allievo, ha cercato di riprendere il Paperone Donrosiano nell’ultima avventura che ha dedicato a Fantomius, il ladro gentiluomo. Lí troviamo un Paperone ruvido, perché Paperone è ruvido ed è il suo bello, è ció che lo distingue e lo rende il piú simpatico dei personaggi Disney. Ma Don Rosa ha consacrato Paperone come pioniere quasi rendendolo un personaggio storico, addirittura immaginando la sua morte. Nessun autore Disney si era mai spinto cosí lontano, e ci voleva il genio di Rosa per farci mangiare la minestra. Non so se mi spiego. C’è un timore quasi reverenziale nei confronti di Rosa. Saluti e complimenti.
Il lavoro di Don Rosa su Zio Paperone è sicuramente diventato una pietra di paragone, forse fin troppo ingombrante, per i fumettisti disneyani di tutto il mondo dagli anni 2000 in poi. Il problema è subentrato nel momento in cui la libertà narrativa che aveva l’artista del Kentucky non poteva averla nessun altro e nel recepire quella lezione estremizzando determinati elementi (come il Klondike, il romanticismo, la nostalgia, le reference geek ecc).
Don Rosa era, rimane e sarà un riferimento imprescindibile per chi scrive Paperone, ma occorre coniugarne la poetica con quella di altri Maestri del passato (anche prossimo) che hanno preso strade diverse, ibridando le varie istanze con il pensiero sempre fisso alle caratteristiche che hanno reso lo Zione quel gigante del fumetto universale a partire da Carl Barks. Non è facile, certamente.
Grazie per il tuo commento!
Salve, ho scoperto solo ora questo sito che sembra interessantissimo ad un ormai ahimé cresciutello fan dei fumetti Disney che ancora tiene in bella mostra sulla libreria il pupazzo di Scrooge Mc Duck che era allegato al volume Zio Paperone dei primi anni 70. E che pensa che Barks e Gottfredson giochino nella stessa categoria di Mark Twain. Premetto che ho sempre considerato la produzione italiana molto divertente ma inferiore ai modelli originali.Anche a Don Rosa, per quanto quest’ultimo sia un po’ troppo retorico e propagandista per i miei gusti. Il problema di Zio Paperone é che ora pare necessario che i prodotti per bambini siano privi di spigoli, asprezze, contraddizioni, eccessi e senza quelli il personaggio non esiste. Io ad esempio odio Cavazzano ed i suoi paperi plasticosi, bonaccioni e sorridenti, ma so di essere una minoranza
Salve e benvenuto! Spero che tu possa tornare da queste parti in futuro e di riuscire a interessarti nuovamente. Intanto puoi spulciare tra quanto già pubblicato in questi anni 😉
Tornando a Zio Paperone, una delle cause di quanto ho analizzato può senz’altro ritrovarsi nel mutato contesto sociale e narrativo, che ha portato a semplificare un personaggio che aveva tra le sue caratteristiche quelle di alcuni eccessi. Eppure ritengo che anche rimanendo in zone “safe” si possa scrivere un Paperone più carismatico, centrale e catalizzatore di eventi rispetto a quello che appare da un po’ d’anni a questa parte.
Per parte mia, con la scuola italiana ci sono cresciuto: diciamo che ogni “corrente” ha i suoi pregi e difetti, sicuramente i padri fondatori dei comics disneyani USA hanno dato un’impronta imprescindibile, ma abbiamo avuto Maestri fondamentali anche da noi.
Grazie per il tuo commento, e (spero) a presto!
uno dei problemi di fondo dell’appiattimento del personaggio è dato anche dalle pesanti politiche aziendali che tendono a censurare praticametne tutto ciò che caratterizzava il personaggio.
Già solo il fatto di avergli tolto spingarde e cannoni toglie un 50% delle gag che lo vedevano protagonista.
E questo non risparmia nemmeno le ristampe!
Tempo fa fu ristampata una sua storia uscita una decina di anni fa e fu eliminato il fucile in ogni vignetta dove compariva.
In una scena sparava un colpo sforacchiando il cappello di uno dei bassotti e, nella ristampa, il cappello è stato “risanato”, il fucile cancellato e i dialoghi a riguardo modificati.
Non è più un mistero che gli autori (e i disegnatori) abbiano degli enormi paletti da seguire (c’è chi dice siano imposti direttamente dagli USA chi parla di un censore nostrano) che limitano pesantemente le trame.
Purtroppo al netto della tua puntuale ed interessantissima disamina, credo ci sia un altro problema che è più grave e permeante rispetto alla scelta narrativa di uno sceneggiatore piuttosto di un altro: il fatto che i personaggi Disney da qualche anno a questa parte non possono mostrare più determinati tipi di comportamenti, come se non fossimo tutti cresciuti con gli scatti di ira dello zione con Paperino affetto da una pigrizia nefasta etc etc etc.
E sono queste indicazioni (che probabilmente non arrivano nemmeno da Disney Italia, almeno non direttamente) che a mio avviso rovinano molti dei personaggi che abbiamo e ancora amiamo tutt’ora.
Che bellissimo articolo, che mi trova pienamente d’accordo. Il mio parere è che gli autori moderni si attengono troppo scrupolosamente ai codici comportamentali calati dall’alto col falso pretesto che i personaggi siano digeribili dai bambini. Anche Paperino soffre di questo appiattimento (sulla sfortuna e sulla povertà per esempio). Invece se c’è una lezione che Il Creatore, sua maestosità, Carl Barks insegna è che per creare grandi storie serve una certa dose di anarchia, oltre che una grande cultura e conoscenza del romanzo d’avventura. Finché le storie saranno basate su una autoreferenzialità così marcata cadranno nella piu sconsolante banalità.
La faccio breve; l’analisi è sacrosanta e personale. quello che credo è che i personaggi Disney meritino una evoluzione dal punto di vista stilistico ed “umano”, quindi anche il nostro Zione ha avuto la sua parte in questo processo.
Ogni decennio ha lettori nuovi ed “evoluti”. che questa cosa piaccia o meno, beh credo vada digerita. La bellezza dei personaggi di Topolina e Paperopoli è anche questa, chi li ama, ama anche gli autori che mettono del loro in questo processo.
Riflessione ineccepibile.
Aggiungo un elemento a mio parere fondamentale.
Il declino non si nota solo nelle trame e situazioni, ma anche nell’aspetto linguistico e comportamentale.
Zio Paperone che fa un podcast con consigli di affari e dice “Tutto ok” al tecnico del suono, facendo un thumbs up è una violazione profonda dell’identità del personaggio.
È anche grazie alle sue colorite intemerate che abbiamo appreso già leggendo i fumetti Disney l’esistenza di diversi registri linguistici. Un aspetto essenziale dell’educazione linguistica.
Dove sono i vari “Me tapino!” “Infingardi!” “Mangiapane a ufo!”?
Mia figlia tra un paio d’anni sarà in età giusta per Topolino, e vorrei tanto delle raccolte complete e non diseguali dei fumetti che lessi da bambino negli anni ’90, perché oggi Topolino è illeggibile e vapido come qualunque altro prodotto culturale che si è rassegnato non a sfidare e incuriosire i propri lettori/spettatori, ma semplicemente a cullarli nell’accettazione dello status quo.
Pensa che verso la metà degli anni ’60 una settimana ci fu una storia in cui PdP raccontava ai nipoti di quando, ad Hong Kong, contrabbandava oppio, dentro delle arance. “C’erano le arance e quelle che pesavano il d’oppio” (circa).
Avrò avuto 8/9anni