L’orrore elevato a bellezza: “I fiori del male” di Kamimura e Okazaki

L’orrore elevato a bellezza: “I fiori del male” di Kamimura e Okazaki

Tra perversione, sadismo e denuncia, un’opera di Kazuo Kamimura e Hideo Okazaki che dietro il suo aspetto “maledetto” offre importanti e attualissimi spunti di riflessione.

i-fiori-del-male coverC’è una sensazione comune a molti: quella di restare attratti, calamitati da ciò che dovrebbe provocare repulsione, dalla mostruosità, dalle repellenti deformità. Provarne orrore eppure non riuscire a smettere di osservarlo, di guardare. Ci chiediamo perché ci attiri tanto, dove stia questo fascino indiscreto dell’orrido.
Finché tale orrore è soltanto esteriore però ci si sente in qualche modo assolti. Lo si vede dall’esterno, come un qualcosa che non ci appartiene, e forse proprio per questo ci incuriosisce. Noi sani, noi normali, stiamo da dall’altra parte del cancello. Ci sentiamo in colpa per la nostra normalità? Forse sì, un pochino.
Ma la nostra distanza ci tiene comunque al sicuro.

Le cose però cambiano quando l’orrore che ci tocca osservare non è più solo esteriore, quando la deformità è dentro l’anima e nasce dall’abbandono più estremo alle pulsioni più basse. E la situazione si aggrava quando quella deformità interiore corrisponde a un’esteriorità tutt’altro che orrida, ma esteticamente bellissima, perfetta, una forma d’arte.

È da qui che forse nasce il profondo turbamento che si prova durante la lettura de I fiori del male, corposa opera del maestro Kazuo Kamimura, qui in coppia con lo sceneggiatore Hideo Okazaki, datata 1975 e pubblicata in Italia da J-Pop che da qualche anno a questa parte sta portando avanti un interessante – e necessario – percorso di riscoperta dei grandi maestri del fumetto giapponese.

La storia è quella di Rannosuke Hanayagi, un giovane e bellissimo uomo a capo della più importante scuola giapponese di ikebana, l’arte della composizione dei fiori.
All’inizio del racconto lo troviamo al banco degli imputati in un’aula di tribunale, accusato di aver torturato, violentato e ucciso più di 800 ragazze che frequentavano la scuola. Hanayagi non nega, anzi si vanta dei suoi delitti, fiero della sua arte e sicuro dei suoi indissolubili agganci politici, che immancabilmente lo salveranno dalla condanna.

IMG_2388Scopriamo dunque che la sua antica scuola di ikebana è una sorta di “scrigno dell’orrore e della bellezza”, a cui tutti i più potenti uomini del Giappone attingono senza alcuna riserva, per dare sfogo alle loro fantasie più turpi.

Protetto e tracotante, subito dopo la scampata condanna, Hanayagi continua le sue efferatezze come nulla fosse, sceglie le ragazze più belle, le rapisce, le tortura, le stupra, le uccide creando delle vere e proprie composizioni artistiche. I corpi delle giovani diventano come i fiori dell’ikebana, recisi e artisticamente ricomposti in figure tanto perfette quanto raccapriccianti. L’orrore e la bellezza dunque si fondono, diventando un’opera d’arte creata da un genio del male puro, un male che non trova giustificazioni, assoluto, fine a sé stesso. Un male repellente e al contempo affascinante. Un male di fronte a cui verrebbe da coprirsi gli occhi ma che non riusciamo a smettere di contemplare. Un male “esteticamente perfetto”, come l’orrore che suscita.

Qualcosa sembra cambiare quando entra in scena la bellissima Sayuri, ingenua ragazza ancora vergine in procinto di sposarsi. Al solo vederne una foto Hanayagi se ne innamora perdutamente, la fa rapire, la trasforma prima nell’opera d’arte principale della sua personale “esposizione”, ma invece di ucciderla ne fa la sua sposa, regina del suo regno del male.

Ed ecco il focus della storia spostarsi su Sayuri, che dopo l’inevitabile terrore si ritrova anch’ella parzialmente corrotta dall’impero del male di Hanayagi. Come noi lettori, nemmeno lei riesce a smettere di guardarlo, anche Sayuri ne resta in qualche modo coinvolta, contagiata, diventando capace di cose che mai avrebbe immaginato. Eppure siamo tutti con lei, ci appare chiaro che dal suo ingresso qualcosa è destinato a cambiare.

Hanayagi è una sorta di re Mida al contrario, tutto ciò che tocca diventa corrotto, malvagio e velenoso. Ecco dunque il senso del titolo di baudeleriana memoria: i “fiori del male” sono non solo le piante allucinogene e venefiche che Hanayagi coltiva nelle sue piantagioni, ma sono anche le stesse ragazze della scuola di ikebana, avvelenate da questi fiori in piccole e sopportabili dosi, fino a divenire delle amanti letali, utili per perpetrare omicidi “di favore” ordinati dai numerosi amici potenti di Hanayagi. Sayuri con la sua bellezza fuori dall’ordinario diventa l’ossessione erotica di Hanayagi, il soggetto prediletto di ogni sua nuova crudeltà. Il lettore segue con apprensione le vicende della ragazza, restando disturbato dalla sua costante ambiguità tra vittima predestinata e neofita del male.

Le oltre 700 pagine del volume non sono dense di dialoghi e quelli presenti sono semplici e piuttosto scorrevoli, eppure gli eventi narrati sono così “forti” da richiedere una lettura lenta. Ogni capitolo riesce infatti a spingersi un po’ più in là, un po’ più truculento, più perverso, più umiliante anche se (quasi) mai gratuito, e questo richiede a chi legge un tempo di assestamento emotivo, fosse anche per tornare a vivere in una realtà dove menomare i genitali di una bella ragazza non è esattamente una cosa all’ordine del giorno.

Lo stile di disegno utilizzato da Kamimura è cruciale, la mancanza di “poesia” nel testo è compensata dalla resa delle numerose scene macabro/erotiche in una sorta di visione lirica, facendo pienamente tesoro dell’assoluto divieto nipponico di ritrarre le parti più intime. E così la più oscena delle penetrazioni è raffigurata con uno o pochissimi tratti su un fondo bianco, mentre il sesso femminile è sempre, insistentemente, un fiore destinato a essere contemplato, amato e violato.

Kamimura trova delle soluzioni grafiche efficaci e suggestive non solo per “coprire” la pornografia, ma anche per raccontare gli stati d’animo: meravigliosa la sequenza in cui la terribile consapevolezza di Sayuri di essere incinta diventa un’ondata di foglie che sembra spazzare via la ragazza e travolgere il lettore.

Per quanto riguarda i riferimenti culturali, essi sono molteplici ed evidenti, alcuni esplicitati come il Baudelaire del titolo, Junichiro Tanizaki, l’ukiyo-e giapponese e l’arte cristiana occidentale (quest’ultima protagonista assoluta di uno degli episodi più disturbanti e sordidamente blasfemi del volume), e altri non detti ma comunque chiari come l’efferatezza del Marchese De Sade mista al lirismo erotico alla Yukio Mishima. Kamimura riesce dunque ad assimilare, fondere e ricreare, diversi tipi di immaginario, per ricombinarli armonicamente (potremmo dire come una composizione ikebana) nella sua personale visione di Eros e Thanatos.

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I fiori del male uscì in Giappone negli anni ’70; ripubblicarlo e rileggerlo oggi qui in Occidente, in tempi di grande dibattito sul sessismo e sul femminicidio, può apparire coraggioso, se non provocatorio. Senza dubbio obbliga a fare una riflessione sui personaggi femminili all’interno di una storia come questa, soprattutto se messi in relazione con un certo maschilismo insito nella cultura giapponese tradizionale (anche se, per carità, quanto a maschilismo radicato ci sarebbe molto da dire anche su altre culture, compresa la nostra).

Paradossalmente questo mettere in scena una donna-oggetto che diventa una donna-oggetto-da-distruggere, questo raccontare di ragazze bellissime felici di immolarsi tra le mani di un artista/mostro come Hanayagi, appare come una critica anche feroce all’idea della donna come ineluttabilmente sottomessa al maschio. Una sottomissione che rappresenta una norma sia per gli uomini che per le donne stesse. Kamimura pare rifiutare questo assunto, anzi sembra volerci ribadire che una donna che “si offre” in tal senso non fa altro che annullare la propria identità, diventando un magma da ricomporre a discrezione di un killer-demiurgo. Ovviamente maschio.

L’unica a porsi diversamente è Sayuri, e in lei vediamo il vero punto di vista dell’autore sull’intera vicenda. Sayuri è l’unica a esercitare un “potere” – seppur limitatissimo – su Hanayagi, ma questo basta a riportarci coi piedi per terra, soprattutto quando vediamo che, pur essendo ormai invischiata nell’impero dei fiori del male, continua a trovare la forza di reagire. La sua difficoltà, l’impossibilità, di liberarsi fisicamente e psicologicamente dalla grande villa dell’orrore, pare quasi riflettere la difficoltà femminile a emanciparsi in un mondo fallocratico.

Da queste riflessioni appare chiaro come I fiori del male si possa considerare un’opera piuttosto peculiare nel panorama del gekiga erotico e macabro: non si limita alla “solita” discesa nelle pieghe più recondite dell’umana perversione, ma suona allo stesso tempo come una denuncia politica e sociale, una denuncia disarmante, a tratti persino insostenibile.

Eppure non riusciamo a smettere di guardare.

Abbiamo parlato di:
I fiori del male
Kazuo Kamimura e Hideo Okazaki
Trad. di Tommaso Ghirlanda
J-Pop, novembre 2019
710 pagine, brossurato, bianco e nero – 19,00 €
ISBN 9788832759075

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