Il Messaggero contro il gender ambiguo dei fumetti
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Il Messaggero contro il gender ambiguo dei fumetti

A volte capita che un giornalista poco informato confonda i nomi di due supereroi, reinventi le date di creazione di un dato personaggio o ne reinterpreti le origini. Nulla di gravissimo, per carità, viviamo un’epoca in cui l’informazione corre veloce e non sempre all’interno di una redazione è presente (o disponibile) una figura esperta su ogni argomento dello scibile umano.

Così può capitare che a riempire un buco dell’ultimo minuto con un titoletto da clickbaiting come “Garfield è maschio o femmina? L’America si divide sul sesso dei fumetti” ti trovi il capo servizi esteri de «Il Messaggero», Riccardo De Palo, una firma raramente associata al fumetto che improvvisa nel suo articolo un’evoluzione del transgenderismo nella storia dei comics americani.

Senza alcun intento polemico, vorremmo offrire ai lettori un parere informato sulla materia, andando a correggere alcune imprecisioni presenti nell’articolo in questione a partire da alcuni estratti.

“Garfield non è certo l’unico personaggio a fumetti dalla sessualità indefinita. Taluni supereroi sono ambigui per definizione, come Robin, il compagno d’avventure di Batman, che in un albo è comparso addirittura in gonnella. Per spazzare via le ambiguità, ed evitare che il personaggio diventasse una icona gay, nel 1956 è apparsa anche una Batwoman. Con un unico scopo: smentire le voci di una love story tra l’uomo pipistrello e il suo aiutante preferito.”

In realtà, dal 1939 sulle pagine di Batman si sono succeduti molti Robin, ma la prima spalla in gonnella a cui fa probabilmente riferimento il giornalista è Carrie Kelley, personaggio inventato da Frank Miller nel suo capolavoro: Il ritorno del cavaliere oscuro, miniserie datata 1986 e collocata nel tempo della storia in un futuro alternativo distopico.

Bisognerà attendere il 2004 prima che Stephanie Brown succeda a Tim Drake (il terzo Robin) come primo Robin al femminile della serie regolare. Nessuna ambiguità quindi, anche perché a vestire i panni seduttivi della femme fatale ci pensava già Selina Kyle (nota ai più come Catwoman) dal 1940.

Va inoltre ricordato che in un paese che ha abolito le leggi razziali nella seconda metà degli anni ’60 e in cui l’attività sessuale tra adulti consenzienti dello stesso sesso è stata considerata legale a livello federale soltanto nel 26 giugno 2003, sarebbe stato davvero arduo (e letteralmente rivoluzionario) proporre ai lettori una qualsiasi forma di riferimento all’omosessualità.

E figurarsi nei fumetti! Nel 1954 era stata istituita la Comics Code Authority (se volete approfondire ce ne parla qui Simone Rastelli), un organo di censura sotto cui dovevano passare tutti gli albi prima di essere pubblicati e che: “proibiva la raffigurazione di sangue, violenza e sessualità; richiedeva inoltre che le autorità non fossero mai ridicolizzate e che i buoni dovessero sempre vincere; censurava inoltre la presenza di vampiri, licantropi, zombi e simili; il codice proibiva anche la presenza di liquori, tabacco, coltelli, esplosivi, pin-up nude o poco vestite e «prodotti intimi di natura discutibile».” (Un’ottima sintesi estratta da wikipedia)

“Ci sono poi altri che cambiano sesso (o razza) a piacimento. Sono spuntate versioni femminili di Deadpool e di Captain Marvel; esistono delle Spider-Woman, delle Supergirl. Una volta Stan Lee, il decano del genere, ha voluto lanciare anche una She-Hulk: il suo personaggio diventava una specie di body-builder dalla pelle verde dopo avere subito una trasfusione sbagliata.”

Sorvolando sull’infelice termine “razza”, l’articolo è davvero ambiguo in questo passaggio, lasciando intendere che Bruce Banner improvvisamente si trasformi in una culturista al femminile, quando invece She-Hulk non è altri che Jennifer Susan Walters, cugina del classico titano verde dei fumetti.

Si tratta di un personaggio creato nel 1980 che va senza dubbio inserito nel filone delle supereroine pin-up, personaggi dalla fortissima carica erotica sviluppati per deliziare un target in maggioranza maschile in un periodo di progressivo allentamento delle maglie del Comics Code. A conti fatti, per le donne di cui parla Riccardo, ci troviamo più nei territori classici del sessismo popolato da stereotipi fin troppo marcati di virago desnude e fidanzatine d’America. Insomma, puro fan service made in U.S.A.

Tartarughe ninja Venus

Sempre per restare tra i supereroi, anche le temibili tartarughe mutanti Ninja non sono al di sopra di ogni sospetto. A un certo punto è comparsa una Venus, stesso aspetto da testuggine dei suoi compagni guerrieri, ma con un fiocco rosa al collo e misure paragonabili all’Afrodite greca.

Di quale “sospetto” stiamo parlando?
Il giornalista non è mai completamente esplicito, quindi lungi da noi voler insinuare una qualsiasi forma di indelicatezza, ma il livello delle allusioni e l’uso improprio del termine gender già all’inizio del testo ci porta proprio nell’infelice filone mediatico della teoria gender da cui aveva tentato timidamente di affrancarsi. Un concetto paragonabile alla scie chimiche o agli alligatori nelle fogne di New York (per restare in tema).

E, insomma, nel 2017 andare a riesumare Venus De Milo, personaggio caduto nel più totale oblio la cui unica funzione era avvicinare un pubblico di ragazzine alla visione di un prodotto televisivo d’azione come le Tartarughe Ninja, a sostegno di un non ben definito sospetto d’ambiguità di genere, ci pare francamente un imbarazzante volo pindarico. E per quanto riguarda il fiocco rosa (assente) e le misure da Afrodite… siamo sicuri di parlare dello stesso personaggio?


“Altri personaggi dei fumetti sono stati catalogati in un modo o nell’altro, ma il loro tasso di ambiguità resta elevato. è il caso di Tweety, in italiano Titti, il canarino giallo dalla voce bianca che taluni danno per certo che sia maschio. Il caso è ancora più eclatante di quello di Garfield, perché, per non perdere appeal tra i bambini di ogni sesso, il personaggio viene presentato talvolta in un modo talvolta in un altro. Ed esistono bikini a lui (o lei?) dedicati. Un esperto dell’arte dell’ambiguità, Oscar Wilde, liquiderebbe la questione così, prestando la voce alla Warner Bros: «Solo le buone domande meritano risposte».”

E con l’immagine di Oscar Wilde nel bikini di Garfield che ci saluta con la voce di Porky Pig si chiude questo pezzo colmo di inesattezze e allusioni il cui profondo demerito non è solo confondere tra loro banali strategie di marketing, ma produrre un excursus storico forzato e inesatto che, di fatto, tratta con estrema indelicatezza e pressappocchismo il complesso tema dell’identità trans e omosessuale nella cultura pop occidentale del ‘900.

Nonostante la brit-invasion e il crescente successo di etichette alternative e adulte come Dark Horse e Vertigo, i supereroi americani hanno faticato a raggiungere la “maturità sessuale”, tant’è vero che per il primo coming out in casa Marvel Comics bisognerà attendere il 1992 con Jean-Paul Beaubier alias Northstar.

In un periodo storico dove ancora assistiamo a episodi di discriminazione e a lotte per la pari dignità, i lettori italiani meritano un giornalismo migliore.

2 thoughts on “Il Messaggero contro il gender ambiguo dei fumetti

  1. Cioè… ci vuole una bella dose di pazienza per mettersi a “smentire” o rettificare .. le coglionate che ha scritto questo giornalista.. che non è poco informato.. ha proprio dei seri problemi …e questo mi pare fuor di dubbio… dopo di che non posso che sbracarmi dalle risate e rimpiangere il fatto che gli sia sfuggito” Ranma 1/2 “… perchè la sua mente deviata avrebbe certamente prodotto commenti esilaranti…

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