Fellini a Roma, fumetto di Tyto Alba, è stato realizzato alla Reale Accademia di Spagna a Roma grazie a una delle borse Maec-Aecid per artisti, com’è specificato all’interno del volume edito da NPE.
Il racconto è disegnato con linee sottili e dolci, talvolta tremolanti, e colorato con acquerelli che consentono il passaggio delicato da un azzurro carico di cattivi auspici a un ocra avvolgente e rassicurante, attraversando l’oscurità della Roma notturna, la nebbia di Amarcord da cui un po’ tutto sembra emergere, il giallo del cappotto di Dick Tracy e le gote rosate dei personaggi. Il colore ha quindi un’importanza diegetica, quasi assecondando ciò che Federico Fellini sosteneva riferendosi al cinema: “Il colore arricchisce il film di una nuova dimensione e, se usato pittoricamente, diviene un mezzo di espressione preziosissimo“.1
In un’altra occasione Fellini disse: “Il mio sogno è fare un viaggio senza sapere dove andare, magari arrivare in nessun posto“. Nel fumetto questo viaggio si concretizza: Alba diventa autore di una biografia onirica di cui il regista di Rimini è sia narratore in prima persona, attraverso le didascalie, che protagonista.
Ne risulta una storia intima, simile alla confessione e al memoir, un amarcord (voce dialettale romagnola per “mi ricordo”) su carta vissuto in età avanzata che è anche compendio felliniano a metà strada tra realtà e fantasia. Anche in questo aspetto il fumettista spagnolo, che prima di mettersi all’opera ha consultato diversi testi del e sul cineasta, sembra assecondare una convinzione del riminese: “Sono piuttosto per il cinema-falsità. La menzogna è sempre più interessante della verità. La menzogna è l’anima dello spettacolo e io amo lo spettacolo“.
In Fellini a Roma il viaggio del personaggio insonne si svolge di notte come una sorta di panacea e la domanda di pagina 11, “Cos’era prima Roma per me?“, scatena riflessioni che si alimentano obbligatoriamente di cinema, immagini, Cinecittà ossia “la fabbrica dei sogni“, attori, registi, maestri, volti e comparse. Nei vagabondaggi, tappe fondamentali sono gli incontri con Roberto Rossellini, definito da Fellini – quello in carne e ossa, non quello di Alba – “una specie di metropolitano che mi ha aiutato ad attraversare la strada“, con il fantasma del poeta John Keats e con Salvador Dalì, con una giovane Giulietta Masina poi moglie di Federico, con Carl Gustav Jung, lo psicanalista che Fellini ammirava e di cui discuteva con l’amico di penna Georges Simenon, con Aldo Fabrizi e tanti altri individui che sul set hanno composto negli anni quello che il regista chiamava il suo “quadro vivente“.
Nel fumetto si riscontrano anche la simpatia di Fellini per il mondo dei circensi – il regista infatti affermò più volte che “la vita è un circo” -, la passione per i fumetti tanto che “Fellini ama subito – da giovanissimo – scarabocchiare vignette e offrire spunti e ‘cartoline’ alle rubriche umoristiche dei giornali” e soprattutto la parte predominante che il sogno ebbe nella sua vita alimentando, come scrive Mario Verdone, le sue angosce e le sue fantasie e avvicinandolo anche al mondo della magia e del soprannaturale.
Il Federico di Fellini a Roma, che cammina e vola con cappello e sciarpa a ripararlo, riconduce il lettore già fidelizzato nei luoghi della propria anima e al contempo li dischiude per la prima volta all’ignaro visitatore di stanze piene di vita. Attraverso l’opera di Alba conferma di essere stato e forse essere ancora “un grande personaggio, proprio lui stesso, fatto di beffe e scappate vitellonesche, di sogni, di immaginazione, di eloquenza, di concezione originale della vita, di capacità di vedere ‘oltre’“.
Abbiamo parlato di:
Fellini a Roma
Tyto Alba
Traduzione di Alice Piccone
Edizioni NPE, 2023
82 pagine, cartonato, colori – 19,90 €
ISBN: 9788836271412
Salvo dove diversamente indicato, le citazioni proposte sono tratte dal volumetto Federico Fellini scritto da Mario Verdone e pubblicato da L’Unità/Il Castoro all’interno della collana Il Castoro Cinema nel 1995. ↩