Carl Barks non è solo l’inventore del personaggio di Paperon de’ Paperoni, ma ne rimane uno dei massimi cantori. A distanza di 70 anni, infatti, sono pochi gli autori che sono stati in grado di arrivargli alla pari nella caratterizzazione del personaggio e nelle avventure che gli vengono fatte vivere.
La spiegazione sta in quella genialità genuina e in quella fantasia primigenia che l’Uomo dei Paperi ha dimostra di possedere in quantità, veicolate anche grazie al periodo storico in cui lavorava ai fumetti Disney.
Irripetibile
Un personaggio come Zio Paperone si configura come un fortunato unicum nella storia del fumetto disneyano.
Negli anni Quaranta il cast delle avventure di Paperi era piuttosto risicato, limitandosi sostanzialmente a Paperino, Qui Quo Qua, Paperina e Nonna Papera.
Le strisce di Al Taliaferro per i quotidiani statunitensi prima e i comic books poi riuscivano a costruire avventure e gag anche con questi pochi standard characters, ma era inevitabile che con il passare del tempo si sarebbe dovuto aggiungere qualche comprimario stabile nella “famiglia”, in risposta al moltiplicarsi di avventure.
Era però difficile immaginare che una tale esigenza avrebbe portato alla creazione di un personaggio come Scrooge McDuck, che da comprimario salì alla ribalta molto velocemente assurgendo al ruolo di protagonista della commedia dei paperi.
Un caso che non stentiamo a individuare come irripetibile, nel fumetto Disney: certo, nei decenni successivi non sono mancate altre figure capaci di non scomparire dopo una singola apparizione e di entrare di diritto nel gruppo degli “attori” principali, basti pensare a Indiana Pipps, a Paperinik o ai vari personaggi che Romano Scarpa ha creato, soprattutto per affiancare Topolino, ma nessuno di questi casi è anche solo lontanamente paragonabile all’impatto che ha avuto Paperone.
Del resto è sufficiente tener presente che quasi tutti i nuovi personaggi dell’universo dei paperi vedano la sua nascita legata a doppio filo alla presenza di Paperone: Amelia, i Bassotti, Rockerduck, Cuordipietra Famedoro non sarebbero esistiti senza lo Zione come casus belli. Fanno eccezione Gastone e Archimede, ma anche loro – soprattutto il secondo – ottengono maggior risalto proprio grazie all’interazione con il Papero più ricco del mondo.
E, fuor di Barks, lo stesso discorso vale per il fratello Gedeon de’ Paperoni, per la spasimante Brigitta McBridge e per il traffichino Filo Sganga.
Dopo il lavoro fondamentale di Carl Barks, Paperopoli non ha più visto nessun personaggio esordire e assumere così tanta importanza. E, probabilmente, non succederà nemmeno in futuro, perlomeno non con questa potenza soverchiante, perché la figura di Paperone e la pletora di comprimari, alleati e villains nati come conseguenza della sua esistenza sono bastati e continuano a bastare come moto perpetuo per nuove storie.
Le caratteristiche, prima della routine
Altro elemento degno di riflessione si rintraccia nelle tante trovate geniali con cui il fumettista dell’Oregon ha attorniato la sua più brillante creazione.
Si tratta di idee dotate di una base fortemente umoristica, che mantenevano comunque la possibilità di servire alla costruzione di intrecci solidi e avventurosi.
È sorprendente pensare al fatto che quasi tutte le caratteristiche con cui identifichiamo Paperone nelle storie odierne sono mutuate direttamente da quel ribollire di creatività che fu la testa di Barks negli anni Cinquanta e Sessanta. Elementi che oggi tendiamo a dare per scontati celano in realtà alle loro spalle un lampo di genio comico che all’epoca si configurava come nuovo e arguto: un edificio gigantesco e rinforzato che contiene tre ettari cubici di monete, i cartelli intimidatori, una vecchia palandrana tarmata come abito dell’uomo più ricco del mondo, l’attaccamento alla prima moneta guadagnata, una banda di ladri dalle espressioni malevoli e provocatorie che godono quasi di più all’idea di tormentare l’avarastro che a quella di riuscire effettivamente a rubargli qualcosa, il conflitto esasperato tra ultra-miliardari, lo spingardino e in generale tutte le soluzioni messe in campo come conseguenza della propria parodistica parsimonia sono esempi noti a tutti, idee brillanti e vivaci che in molti casi, però, si sono ridotte a stanchi cliché usurati dal troppo e ripetitivo utilizzo.
La realtà era però ben diversa, decisamente vitale e figlia di un’intelligenza umoristica che affondava le proprie radici nella narrativa dell’animazione, ambiente nel quale non a caso Barks aveva lavorato in qualità di gag-man prima di approdare al mondo delle nuvolette.
La grande avventura
Il lato avventuroso del personaggio è senza dubbio quello che più degli altri è rimasto attivamente replicabile nel corso degli anni, permettendo a diversi altri fumettisti di creare ottime storie.
Del resto il richiamo della grande avventura è un topos della narrativa per ragazzi, che ovviamente esisteva da secoli prima della figura di Paperone e che rappresenta un genere talmente vasto e declinabile da poter sopravvivere all’infinito in modi sempre attuali.
Resta il fatto che buona parte della produzione barksiana verte sulle cacce al tesoro del protagonista in ghette e cilindro, viaggi epici spesso nati da elementi quotidiani e che non di rado sconfinano nel mito.
Il fascino risiedeva proprio, principalmente, nell’escalation di situazioni concatenate che portavano dalla volontà di possedere la moneta più rara del mondo alla scoperta di Atlantide, dal bisogno di curare una grave malattia alla mitica città di Shangri-La, dal dover cambiare palandrana al ritrovamento del mitologico vello d’oro, e via dicendo.
Le situazioni più comuni non potevano prevedere soluzioni altrettanto comuni, per un personaggio abituato a pensare sempre un po’ più a fondo degli altri, e questo portava lui e gli inseparabili nipoti in giro per il mondo all’interno di trama fantastiche e memorabili, scritte con vena ironica ma senza rinunciare ad un azzeccato afflato avventuroso.
Tra i tanti elementi che caratterizzano il Paperone barksiano, sono probabilmente questi tre a decretarne in modo fondante l’importanza, più ancora del merito dell’Uomo dei Paperi di aver “semplicemente” creato il personaggio.