“Linus”, il primo anno di un pezzo di storia del fumetto

“Linus”, il primo anno di un pezzo di storia del fumetto

«La Repubblica» celebra il cinquantennio di "Linus" con la ristampa del primo anno della rivista, uno spartiacque nella storia del fumetto in Italia

L’anno I di Linus, che fa il suo esordio nell’aprile del 1965, rappresenta una svolta nel panorama fumettistico italiano e permette al pubblico di fare la conoscenza con i Peanuts di Charles M. Schulz, a quindici anni dalla loro comparsa sul mercato americano, e con molti altri fumetti, inediti e non. L’editoriale di Giovanni Gandini, fondatore della rivista, spiega meglio di qualsiasi altra parola lo scopo prefissatosi:

Questa rivista è dedicata per intero ai fumetti. Fumetti s’intende di buona qualità, ma senza pregiudizi intellettualistici. […] L’unico criterio di scelta di questa «letteratura grafica» è quello del valore delle singole opere, del divertimento che ne può trarre il lettore, oggi; non quello di un interesse puramente documentario o archeologico.

Lo stesso si può dire di questa ristampa, non necessariamente rivolta ai soli collezionisti o ai soli studiosi, ma a tutti gli appassionati di fumetti e, perché no, a chiunque sia curioso di conoscere le prime discussioni critiche, in ambito italiano, legate al medium. Linus, infatti, non è solo una raccolta di strisce e di storie – nel primo numero i Peanuts (1964), Braccio di Ferro e lIMG_6786e Arpie (1939) di Segar, Li’l Abner e gli shtunk slobboviani (1963) di Al Capp, Krazy Kat (1937) di George Herriman –, bensì un contenitore di idee, opinioni e informazioni dal mondo dell’«arte sequenziale»1 quando i teorici stavano ancora muovendo i primi passi.

E se nell’editoriale si parla di «fumetti di avventura, classici per l’infanzia, inediti di giovani autori», è chiaro che non ai giovanissimi è indirizzata questa rivista. Già sulla prima pagina si trovano nomi del calibro di Umberto Eco, Elio Vittorini e Oreste Del Buono, che soli basterebbero a garantire la serietà dell’approccio adottato dai curatori, mentre il restante apparato paratestuale si compone di pezzi rivolti a un pubblico consapevole, per non dire adulto.

Le rubriche sono varie, dal “Notiziario Comics & Cartoons” – un breve resoconto del primo Salone Internazionale dei Comics (Bordighera, 21-22 febbraio 1965), con aneddoti sui presenti, Al Capp su tutti, e due fotografie dello stesso e di Lee Falk (Mandrake, L’uomo mascherato) – alla “Storia dei fumetti” – sei pagine firmate da uno dei primi maestri del fumetto italiano, Rino Albertarelli, e dedicate alla carriera di Antonio Rubino dentro e fuori il «Corriere dei Piccoli» –, alle “Recensioni” – in questo caso, un confronto tra l’avventuroso Flash Gordon di Alex Raymond e l’erotico-fantascientifico Barbarella, del francese Jean-Claude Forest. La conclusione di quest’ultimo articolo, scritto dal saggista e critico Vittorio Spinazzola, chiarisce ulteriormente la posizione ideologica della rivista e la giustifica a livello letterario:

È davvero tempo che la fantasia prenda le sue vendette sulle umiliazioni quotidianamente inflittele da tanta parte della nostra arte e letteratura, realista o astratta o avanguardistica che sia. A meno di concludere che solo ai minorenni, solo all’età infantile spetta il diritto di arricchire la propria esperienza di vita con i doni di una turbolenta, felice facoltà d’immaginazione favolistica.

Questa difesa del potere della fantasia e la rivendicazione della stessa anche da parte di chi minorIMG_6793enne non lo è più trova fondamento nel nome della rivista, Linus, e nel mondo di cui esso si fa portavoce. Se Gandini spiega: «Perché “Linus”? Perché Linus, partner e antagonista di Charlie Brown, è un personaggio pieno di fantasia», il professore e traduttore Bruno Cavallone, nella presentazione dei personaggi di Schulz, sottolinea la complessità psicologica del bambino, fatta di «risorse intellettuali», «neurosi» e «stupefacente genialità».

L’intervista/discussione dei tre letterati succitati, Eco, Vittorini e Del Buono, indaga invece la struttura del fumetto, nato come striscia ma veramente apprezzabile se letto continuativamente, anzi se le storie, come scrive Eco, sono «conservate e rilette dall’inizio». È lo stesso Eco a fare un’altra considerazione di sostanziale importanza:

È quindi impossibile giudicare il fumetto con i criteri che si applicano alla letteratura normale. Questo non significa che il fumetto non possa essere un prodotto letterario: solo che esso va giudicato in un “sistema” di lettura (e quindi di creazione) diverso.

Il «sistema di lettura diverso» è quello che Linus ha cercato di diffondere e di promuovere in questi cinquant’anni di vita, per permettere al medium di acquisire una propria dignità indipendente dai canoni della letteratura.

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In merito alle storie in sé, è interessante notare come il lavoro dei curatori abbia profondamente coinvolto la traduzione letteraria. In Braccio di Ferro, per esempio, si è cercato di «conservare le sgrammaticature e gli equivoci verbali che caratterizzano la parlata popolaresca del marinaio»; l’episodio Li’l Abner ha costituito, invece, «un primo esperimento» per definire il linguaggio Yokum2; la particolare pronuncia (scritta) di Krazy Kat viene invece resa tramite rotacismo, con passaggio dalla erre alla vi, mentre l’ambiguità sessuale del gatto, implicita nel termine inglese, è palesata nella scelta di usare il femminile “gatta”. La traduzione può anche sfuggire alla vista – e così Charlie Brown a pagina 16 risponde a Linus dicendo «Oh, good grief», invece dell’italiano «Oh santo cielo» – oppure adattarsi al contesto culturale di arrivo, come quando Linus esclama, a pagina 12, che lui sarà il «Celentano della medicina». Gli aggiustamenti, le sviste, le prese di posizione nell’ambito della traduzione delle didascalie sottolineano l’impegno che Linus prese nell’essere affidabile, ma anche colto e intelligente.

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Lo spessore culturale di questa «letteratura grafica» viene dunque ribadito in più riprese e sorretto della forza semantica delle storie selezionate e pubblicate dalla rivista. Forse il bisogno di una giustificazione letteraria del fumetto era più forte allora, ma è innegabile che, a cinquant’anni di distanza, le parole degli illustri collaboratori di Linus siano ancora attuali, per non dire necessarie.

Plauso a «la Repubblica», quindi, che sebbene abbia convertito le 300 lire iniziali nei 4,90 euro del supplemento, ci permette di tornare indietro di mezzo secolo per gustarci “i classici” del fumetto, coscienti del contributo che Linus ha dato alla storia del medium stesso.

Approfondimenti:

  • Giovanni Gandini, Storie sparse. Racconti, fumetti, illustrazioni, incontri e topi, Il Saggiatore 2011 (€ 25.00).
    Qui l’introduzione a cura di Alberto Saibene
  • Paolo Interdonato, Storia di una rivoluzione nata per gioco, Rizzoli 2015 (€ 20.00).

  1. Secondo la definizione di Will Eisner, risalente a un ventennio dopo (1985)  

  2. La famiglia Yokum, protagonista di questo fumetto, si esprime in un modo tutto suo. L’introduzione alla storia su Linus recita: «La lingua degli Yokum è un americano sgrammaticato e ribelle, in cui ogni parola è praticamente “scritta come si pronuncia, ma secondo una pronuncia molto particolare».  

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