“La tempesta ha benedetto i miei marittimi risvegli.
Più leggero di un sughero ho danzato sui flutti”
Con questa frase, tratta da Il Battello Ebbro di Arthur Rimbaud, inizia il viaggio di Manuel. Giovane informatico con il sogno della scrittura, il ragazzo è stato invitato a una scuola di formazione in un ameno paesino in una valle collinare. Un guasto all’autobus su cui viaggia lo spinge però a cercare di raggiungere a piedi l’hotel in cui ha preso alloggio. Lungo il cammino incontra alcuni abitanti della vallata, tra i quali lo “scemo del villaggio” e un uomo benestante che vive con la bellissima moglie in una villa su un lago. Sono proprio loro, e in particolare lei, ad attirare la sua attenzione durante il viaggio e a farlo deviare dal suo percorso; una tempesta improvvisa, proprio come quella della poesia, lo spinge dentro la vita privata dei due. Nell’incontro, il ragazzo instaura un rapporto di contrapposizione e poi singolare complicità con l’uomo, e di attrazione morbosa per la donna.
Ne La Tempesta Marino Neri rimescola alcuni degli elementi della sua poetica, lasciandone fuori altri e costruendo un racconto che è, al tempo stesso, in linea con la sua evoluzione e distante da ogni altra sua storia.
L’autore recupera la riflessione sul percorso che porta all’età adulta, già visto ne La Coda del Lupo e soprattutto in Cosmo; anche qui il protagonista è un giovane uomo che viaggia, all’inizio circondato da una natura pacifica che potrebbe ispirare la sua vena di scrittura, e che pian piano incontra sulla strada situazioni e personaggi peculiari, fino a fermarsi nella vita di una coppia di cui osserva pochi, ma significativi elementi, fino a esercitare su di essa un’influenza via via maggiore e inaspettata.
Come nella poesia di Rimbaud, Manuel affronta il viaggio della sua vita come tutti i giovani, ponendosi in contrasto con la tradizione e la società contemporanea (“gli autoctoni, zoticoni di provincia, cafoni arricchiti con il macchinone”), manifestando un’apertura al caos informe ed esperienziale che lo circonda, facendosi spingere dalle sue pulsioni, dai suoi ideali e dalle sue curiosità. Proprio questo lo porta a entrare in contatto con Demetrio e Marta: il primo diventa figura paterna con cui combattere e scontrarsi, un cinico totem da abbattere; la seconda rappresenta invece l’impulso sessuale e sensuale, figura quasi tragicamente edipica. E Manuel, al tempo stesso, è il grimaldello che va a scassinare un equilibrio precoce, una luce che proietta le ombre di entrambi, mettendo in evidenza l’infelicità frustrata di lei e la tronfia impotenza di lui: un elemento, questo, che ricorda il più recente Parasite ma anche altre opere cinematografiche asiatiche come Ferro 3 o il più estremo Visitor Q, in cui l’intrusione di uno sconosciuto in un ambiente famigliare già precario fa deflagrare ogni certezza, per quanto labile.
Proprio questo gioco di luci e ombre crea quello che è forse il più triste e oscuro racconto di Neri, come affermato dallo stesso autore in una intervista a Diari di Cineclub 100 riadattata per Fumettologica: durante la notte della tempesta, mentre le luci si spengono e si riaccendono nella vita dei tre, in un crescendo di rivelazioni e colpi di scena, il percorso del giovane Manuel si avvicina sempre di più a quello del cinico Demetrio, trovando sempre più punti di contatto, di compromesso e di compromissione di quegli ideali che sembravano tanto forti, ma che avevano basi impalpabili, arroganti e superficiali. Questa convergenza, suggellata da un atroce delitto che definisce la complicità dei due, non rappresenta solo la fine di un percorso di crescita del giovane che coincide con la perdita dell’innocenza, o meglio ancora la sua uccisione e inabissamento (la stessa sorte che tocca per l’appunto al Battello Ebbro), ma è anche il momento della frattura tra mondo maschile e femminile: l’iniziale speranza che Marta vede in Manuel, nella sua giovinezza che ha il sapore non solo di trasgressione ma anche di libertà da una prigione dorata, si tramuta ben presto nella delusione del vedere la corruzione di questa promessa, tradita dalle menzogne del ragazzo, quelle stesse menzogne che lui racconta a sé stesso.
La riflessione di Neri, che ingloba al suo interno scontro generazionale, sociale, ma anche la collisione tra la prospettiva maschile, ferina e violenta, e quella femminile, fatta di speranza e di accoglienza, prendono forma in una narrazione fluida e molto rapida, di chiaro stampo cinematografico come più volte ribadito dall’autore stesso in varie interviste. La scelta di strutturare la pagina in tre sezioni orizzontali che si aprono in massimo sei vignette (solo in una occasione arrivano fino a nove) permette di conferire ampio respiro alla narrazione, facendola aprire a panoramiche di interni e esterni spesso mute che poi si restringono sui volti dei personaggi nei momenti di confronto più intenso, con un ritmo che passa da essere più disteso e bucolico nella prima parte del racconto ambientato nella natura, a essere più conciso e concitato nelle scene all’interno della villa, che diventa vera e propria scena teatrale da dramma famigliare piccolo borghese.
Il percorso da esterno a interno scandisce in un certo senso il cammino di Manuel: se le scene naturalistiche e caratterizzate da toni caldi della prima parte del viaggio rappresentano bene il senso di libertà e di anarchia del personaggio, l’evoluzione fatta al chiuso della residenza che lo fa via via sovrapporre all’adulto da cui si voleva a tutti i costi distinguere, lo fanno tornare all’esterno, nel finale, come profondamente cambiato, ormai irrimediabilmente trasfigurato. Un movimento opposto a quello di Marta, anche lei cambiata dall’arrivo del giovane e finalmente pronta a lasciare agi pagati a caro prezzo per una vita nuova, più incerta ma libera.
Ciò che manca in questo racconto è quell’elemento magico e onirico sempre presente nel lavoro di Marino Neri. La sua scomparsa lascia però dietro di sé un’atmosfera sospesa, più inquietante e disturbante proprio perché meno sognante e più carica di tensione, o meglio di tensioni: emotive, sessuali, a tratti orrorifiche benché mai sovrannaturali, ma anzi sempre umane e reali, per questo più spaventose. Una sospensione angosciante che trova origine nelle chine e nei neri totali che spesso nascondono i volti dei personaggi, le loro espressioni e i loro pensieri, oppure al contrario lo spazio intorno a loro, mettendo in evidenza corpi eterei e tratti somatici sempre più sintetici e stilizzati : tutto concorre a creare spazi sinistri e imperscrutabili, quasi come se i non detti della storia e dei personaggi si celassero nell’oscurità che li circonda.
Ciò che forse convince meno nella rappresentazione di Neri è proprio ciò che sta in piena luce: quella sintesi stilistica citata poco sopra risulta in alcuni punti poco sicura e incerta, come se perdesse sostanza e in questo modo depotenziasse sia l’espressività che la mimica dei personaggi, nascondendosi in quell’oscurità che aiuta il tratto per la mancanza di definizione. Lo stesso si può dire per i colori, usati per seguire i cambiamenti di luce della giornata ma senza alcun altro scopo narrativo, come avveniva in altre storie dell’autore.
Del realismo magico restano alcuni elementi simbolici che gravitano attorno al misterioso quadro che appare più volte nella storia e sul cui significato Demetrio si interroga: nella donna che guarda una tartaruga capovolta sembra quasi di vedere la metafora del viaggio di Manuel, da animale selvatico sicuro del suo cammino in apertura del volume a creatura capovolta e svelata nelle sue contraddizioni e flebili credenze, sotto l’occhio vigile e deluso di chi lo ha scoperto; ma è anche, più in piccolo, la parabola tracciata dal percorso di Demetrio, che quasi come una premonizione sembra vedere la fine della sua relazione, capovolto sulle sue coriacee certezze e la sua violenza, con la pancia esposta allo sguardo sconsolato e giudicante di colei che crede più debole. La simbologia e l’interesse per la ritualità di Marino Neri si possono infine ritrovare nella struttura circolare del racconto, che si apre e si chiude con i fuochi di artificio di una lontana festa di paese: mentre una donna che cammina libera in un campo di fiori e li distrugge a calci lasciandoli spezzati per terra, due uomini in barca in mezzo a un lago osservano il cielo legati da un segreto inconfessabile. Siamo di fronte a una sorta di arcaico e barbaro rito di iniziazione che nulla ha di spirituale: il fiore dell’innocenza è stato spezzato e battezzato nel sangue; un nuovo uomo, simile a migliaia prima di lui, è nato.
Abbiamo parlato di:
La Tempesta
Marino Neri
Oblomov Edizioni, 2022
150 pagine, brossurato, bianco e nero con monocromie – 20,00 €
ISBN: 9788831459396