Il percorso di Topolino Gold, testata Panini con l’obiettivo di riproporre alcune storie Disney particolarmente importanti e significative, è stato costellato da (pochi) alti e (molti) bassi, tra diverse scelte discutibili e una linea editoriale quantomeno opaca e ondivaga.
Tra i volumi soddisfacenti della collana si può annoverare la nona uscita, dal titolo Paperino nell’ingorgo continuo, che ristampa – per la prima volta insieme – due storie realizzate da Marco Rota come autore completo in due periodi molto differenti della sua carriera: Paperino pendolare del 1977 e Ingorgopoli – La città dell’ingorgo continuo del 2019.
Tale accoppiata permette di osservare l’evoluzione artistica del disegnatore, ma l’abbinamento acquista di senso nel momento in cui si osserva la comunanza di intenti nella tematica trattata: entrambe assurgono nel loro piccolo a una sorta di manifesto del modo di scrivere il Donald Duck calato nei “drammi” della quotidianità.
Quel gran bel traffico
Tanto Paperino pendolare quanto Ingorgopoli seguono in maniera egregia una delle migliori lezioni di Carl Barks, quella di prendere spunto da situazioni particolari della vita di tutti i giorni per esasperarle e, calando al loro interno il papero vestito alla marinara, costruire un insieme di trovate in grado di creare empatia con il lettore, il quale può rivedersi in talune scene pur attraverso il filtro fumettistico.
Nella prima Rota fa sperimentare al protagonista le “gioie” del pendolarismo, quella particolare condizione che fa viaggiare in treno ogni giorno migliaia di persone per recarsi sul posto di lavoro.
Paperino decide di allontanarsi dal caos di Paperopoli trasferendosi in campagna e scendendo in città per andare nell’ufficio dove sta lavorando.
L’idea si rivela solo apparentemente funzionale, dal momento che ben presto il personaggio si ritrova coinvolto nei peggiori inconvenienti di questo stile di vita: dai ritardi delle ferrovie alla tremenda calca umana sulle carrozze, dalla difficoltà di raggiungere la sede lavorativa una volta giunto in stazione ai disservizi causati dal maltempo.
La trama segue lo schema delle ten-pages barksiane (le storie in dieci tavole per la testata americana Walt Disney Comics and Stories, spesso con protagonista Donald Duck) e dei cortometraggi animati degli anni Cinquanta, secondo una struttura a gag che approfondisce di volta in volta uno di questi aspetti, facendo subire allo sfortunato papero le peggiori conseguenze della situazione in cui è andato a infilarsi.
Con Ingorgopoli le considerazioni sono simili, ma trasferite dalle rotaie alle strade.
Paperino deve infatti muoversi nella città che dà il titolo all’avventura per recuperare un documento di Zio Paperone, ma in questa metropoli muoversi in macchina non è affatto semplice.
Interminabili colonne, lavori che limitano la viabilità, impossibilità di sfruttare scorciatoie o vie laterali, inflessibili vigili pronti a multare a spron battuto e camionisti irascibili sono solo le principali piaghe con cui si scontra il nostro Donald a bordo della fidata automobile targata 313, in un crescendo tragicomico nel quale il fumettista milanese si diverte ad alzare la posta ad ogni tavola, sbizzarrendosi nel creare un caos crescente, fantasioso e surreale in cui si far muovere Paperino.
Marco Rota racconta, nel suo breve contributo a fine volume, di aver tratto l’idea per entrambe le storie da episodi reali: i racconti di un amico pendolare nel primo caso e la difficoltà di uscire dal proprio garage per immettersi su una strada trafficata nel secondo.
Questa impronta “verista” si coglie chiaramente nella fattura delle due opere: per quanto condite da elementi chiaramente paradossali e comicamente esagerati, esse centrano il bersaglio proprio perché tali trovate poggiano su contesti reali nei quali molti lettori possono rivedersi e trovare la chiave per sorriderne.
Paperino nel quotidiano
Sono storie che funzionano anche perché godono di un attore di prima categoria, che sembra nato per interpretare certe vicende.
Paperino incarna benissimo lo spirito dell’uomo comune: fin dai cortometraggi animati degli anni Quaranta e Cinquanta e dalle coeve strisce quotidiane di Bob Karp e Al Taliaferro, le gag fulminanti che lo vedevano protagonista cercando di parare i colpi della malasorte, o di scelte sbagliate che gli si ritorcevano contro, contenevano elementi “semplici e un po’ banali” ma proprio per questo condivisibili da una vasta fetta di pubblico.
“Paperino siamo noi”, “Io Paperino!” sono due slogan usati in passato dalla Disney per lanciare prodotti o campagne pubblicitarie, ma rendono bene questo aspetto peculiare del papero, che Topolino non può rivestire in maniera altrettanto efficace.
Il Paperino di Marco Rota, però, non è semplicemente una vittima degli eventi: buona parte della riuscita del personaggio in queste storie è data anche dall’entusiasmo e dalla forza di volontà dimostrate.
Donald ce la mette tutta per portare a termine la “missione” di arrivare in orario al lavoro o di superare il traffico urbano per concludere il compito affidatogli dallo Zione, e proprio questa ostinazione lo rende molto umano e vicino al lettore, che inevitabilmente si trova a fare il tifo per lui.
Il risultato sono trame forse poco coese, ma sicuramente molto briose e ritmate, in grado di tenere incollato il pubblico alla pagina per vedere a quali altri imprevisti il buon vecchio Donald deve tenere testa. L’autore è bravo nel distillare la migliore essenza del personaggio in questi soggetti, facendolo muovere in maniera coerente con alcuni elementi fondanti del suo carattere – l’abnegazione, l’ambizione, l’irascibilità, la presunzione – e costruendo così scenette deliziosamente comiche, quando non sottilmente satiriche.
Disegnare Paperino nel 1977 e nel 2019
Potendo leggere affiancate due storie così distanti nel tempo l’una dall’altra, è inevitabile rilevare varie differenze di stile nel disegno di Marco Rota.
Con Paperino pendolare l’artista era in una fase nella quale il suo segno grafico si era assestato su un tratto riconoscibile. La lezione barksiana, pienamente assimilata negli anni precedenti, era stata ormai “digerita” e rimodulata secondo un approccio sempre piuttosto classico ma con echi diversi: il suo Paperino, per esempio, appare più slanciato e con un volto declinato in una moltitudine di espressioni visualizzate con gusto personale.
Le ambientazioni vengono illustrate con dovizia di particolari: la stazione dei treni viene disegnata chiaramente e dichiaratamente sul modello di quella Centrale di Milano, riproducendola in maniera riuscita e particolareggiata così come alcuni sfondi cittadini e i grattacieli di Paperopoli, visualizzata come una moderna e frenetica metropoli.
La costruzione della tavola – che si articola su quattro strisce, dal momento che la storia debuttò su Almanacco Topolino, testata di maggiori dimensioni rispetto al settimanale disneyano – segue piuttosto fedelmente la scansione classica: unico segnale di stile che si ravvisa è l’attitudine a “stondare” il bordo destro o sinistro di alcune vignette, rendendo in un certo senso più “armonico” e meno secco il passaggio temporale tra un riquadro e l’altro.
Nelle scene finali, infine, il ritmo diventa più frenetico e questo influisce anche nella griglia, che si apre a qualche quadrupla d’effetto e a un’organizzazione peculiare della pagina.
Con Ingorgopoli, invece, troviamo un Rota di ritorno sulle pagine di Topolino dopo molti anni di assenza, dato che dagli anni Novanta in poi l’artista iniziò una fruttuosa collaborazione con il gruppo editoriale nordeuropeo Egmont.
L’esperienza ha in qualche modo influenzato anche il suo stile, in ossequio alle direttive dell’editore che spingeva i propri autori a sfoggiare un segno che ricordasse il più possibile quello di Carl Barks.
Rota divenne presto uno dei più fedeli continuatori del tratto barksiano, pur mantenendo elementi di riconoscibilità presso i lettori più attenti (per esempio nella fisicità di Paperino, un po’ meno esile di quella tratteggiata dall’Uomo dei Paperi).
È quindi con questo stile che l’autore disegna Ingorgopoli: un approccio deliziosamente retrò che si distingue molto dall’estetica generalmente presente su Topolino negli ultimi anni ma che riesce a mantenere una freschezza rinfrancante, che si sarebbe un po’ persa nelle successive storie realizzate per l’Italia.
In particolare nel raffigurare la moltitudine di veicoli assiepati gli uni sugli altri, spesso in scene dal gusto non-sense – per la foggia di alcuni mezzi o per l’assurdità della situazione in cui vengono collocati – Rota riesce a divertire con semplicità ma sfruttando molto bene il medium fumetto.
Paperino nell’ingorgo continuo si rivela quindi una lettura assai piacevole e godibile, arricchita da una preziosa retrospettiva di Davide Del Gusto sull’evoluzione di Paperopoli nel corso dei decenni, partendo da Barks e arrivando allo stesso Rota.
Forse il prezzo del volume appare un po’ eccessivo per la foliazione presentata, ma il contenuto è di sicuro interesse.
Abbiamo parlato di:
Topolino Gold #9 – Paperino nell’ingorgo continuo
Marco Rota
Disney-Panini, 2022
88 pagine, cartonato, colori – 14,50 €
ISSN: 977249961400620009
Per chi volesse approfondire:
Marco Rota: Disney gusto classico