Lime: il fumetto-mondo di Joachim Tilloca

Lime: il fumetto-mondo di Joachim Tilloca

Il fumettista algherese Joachim Tilloca pubblica per Oblomov “Lime”, un libro che contiene l’universo dell’autore e il suo amore spassionato per il fumetto.

LIME_copertinaCi sono fumetti (o libri, o film) che sorprendono. Approcciandoli, si è convinti – per una non meglio precisata e razionale convinzione aprioristica – di sapere già cosa stiamo per leggere, che tipo di storia ci si parerà davanti e in che genere narrativo sarà immersa.
Preso in mano il corposo volume di Lime, che Joachim Tilloca pubblica per Oblomov Edizioni, osservandone la copertina ci si convince di essere davanti a un noir di stampo fantascientifico. Si scorrono le prime pagine e la certezza si rafforza: ci immergiamo in un solido racconto di genere che inizia con un poliziotto di nome Jack Plant che si reca sulla scena di un crimine che i colleghi hanno già derubricato a suicidio, nonostante i dubbi di Plant.
Per una cinquantina di pagine scopriamo questo mondo futuristico alla Blade Runner, fatto di atmosfere urbane oscure e fumose, quando all’improvviso arriva un corto circuito su pagina, con l’autore che prende la parola. Tilloca lo racconta così:

Continuavo a lavorare a questo fumetto, senza ancora ben sapere quale sarebbe stata la sua forma finale. Pubblicavo sul mio blog le varie tavole, mano a mano che le completavo, e avevo anche una mezza idea di tradurre in inglese i testi, per raggiungere un pubblico più ampio. Avevo realizzato circa una cinquantina di tavole quando mi è arrivata la notizia che Federico [Memola, sceneggiatore scomparso nel 2019 con cui Tilloca aveva un forte legame professionale e di amicizia, n.d.r.] è venuto a mancare.
E il fumetto è esploso nella mia testa, letteralmente, ma al contempo ha perso qualsiasi valore. Prima la storia aveva un inizio e una fine, era un classico noir: c’era un’indagine, però non era fondamentale sapere chi ha ucciso chi e come. Quel che contava era il protagonista, le sue motivazioni, le sue azioni.
In ogni caso ho continuato a disegnare e, all’improvviso ho deciso di fare il funerale su carta a Federico e ho disegnato quella tavola nella quale Jack Plant consegna una valigia con le vestigia di Memola a una folla di personaggi piangenti: Tintin, Paperino, Topolino, Indiana Jones, James Bond, Zenigata. Tutti loro appartenevano all’immaginario di Federico, che era un appassionato di fumetti prima di essere fumettista, figlio di un appassionato che aveva una fumetteria. E quella scena è ambientata ad Alghero, in via Cavour, davanti a quello che era il portone della casa dove vivevo quando avevo quattrodici anni, quando ho iniziato a disegnare professionalmente.
E poi, dopo aver disegnato questa scena… i personaggi hanno continuato a vivere la loro vita e hanno iniziato a raccontarsi. Qualcuno dice non è vero che siano i personaggi a raccontare allo scrittore la propria storia e che, in realtà, è lui a scriverla. Senza dubbio, però lasciatemi la licenza di pensare e credere che in realtà siano loro a dirmi che cosa fare.
E quindi questi miei ragazzi sono partiti per le loro avventure, tanto da farmi pensare che questo mio fumetto sarebbe diventato un never ending comic on line nel quale mi sarei divertito a raccontare tutto quello che più mi interessava e più mi divertiva. Anche se poi questi “maledetti” in un modo o nell’altro riuscivano con degli espedienti a riportarmi sempre sulla trama originaria, quella che al tempo avevo chiamato Arcipelago e poi sarebbe diventata Lime”.

Lime è un fumetto-mondo in più di un senso. Lo è nel suo essere trasversale a un genere: si parte con un noir, si passa poi in una dimensione metafumettistica, si tocca la fantascienza “alla Jodorowsky”, metafisica e filosofica, per poi tornare e concludersi nel noir iniziale. Lo è nella poliedricità dello stile grafico che cambia e si trasforma di tavola in tavola. Ma, soprattutto, è un fumetto-mondo nel senso che è il mondo di Tilloca: c’è dentro il suo amore per questo linguaggio, per gli autori che lo ispirano e lo hanno formato, le sue passioni (musicali, cinematografiche, artistiche, alimentari), i suoi luoghi. In tutto questo, però, Tilloca non si pone davanti alla sua opera: c’è, ma sa rendersi invisibile, mettendosi al servizio della storia. È uno di quegli autori che ha la capacità di essere estremamente personale, riconoscibile, in qualche modo anche “invadente” o comunque impattante, ma – al contempo – di conservare la preziosa dote di riuscire a dissolversi agli occhi del lettore.
Proprio la messa in scena di quel funerale per un amico ne è la prova. Il lettore non è tenuto a sapere che quella pagina è dedicata a Memola e, privo di tale informazione, può apprezzarne lo stesso la potenza narrativa. Il deragliamento della trama e la deriva metatestuale che ne derivano possono essere interpretati come se a morire sia stato l’autore della storia e i suoi personaggi orfani si trovino a girare intorno come mosche impazzite che sbattono contro i vetri, che si ritrovano a parlare tra loro del proprio creatore per poi dare vita a una serie di avventure che arrivano a sfiorare vari generi. Nel complesso tutto funziona e, chiuso il volume, quel corto circuito che ha fatto deragliare la trama acquista un senso preciso e fondamentale nella struttura dell’opera, restando comunque spiazzante quando il lettore ci si imbatte.
Per Tilloca mettere su carta tutto questo è stato quasi come un flusso di coscienza, tutto naturale e istintivo.

È stato tutto naturale, ma non penso che farò un altro libro come questo proprio perché alla fine è stato un libro ‘di pancia’. Se un controllo c’è stato e stato quello di affidarsi certe volte al disegno e alla costruzione della struttura geometrica della pagina, per evitare di deragliare in un espressionismo esagerato. Per il resto è stata una sorta di movimento naturale che, a un certo punto, è anche diventato una sorta di buco nero, una singolarità capace di far riemergere anche elementi provenienti dal passato, come una sequenza che tanti anni fa avevo creato con i personaggi di Jonathan Steele.

Analizzando il disegno, da ogni pagina emerge prepotentemente lo stile di Tilloca, riconoscibile nel suo essere anarchico, laddove con questo aggettivo si connota una cifra stilistica eclettica, dirompente e discontinua, nel senso non schiava di un unico segno. Nelle tavole di Lime si riconoscono omaggi e richiami a nomi come Frank Miller, Moebius, Breccia, Carlos Meglia – giusto per citarne alcuni – oppure a Jack Kirby, idolo del Tilloca bambino avido lettore degli albi dell’Editoriale Corno, soprattutto nell’uso della tipica griglia a sei del Re.
Esattamente come per l’eclettismo della parte narrativa, anche nel caso di quella grafica tutto funziona nell’insieme: Tilloca riesce a far convivere e a passare con naturalezza stili grafici opposti, tavole dove il bianco domina in assoluto, accompagnato da una linea chiara, a tavole nelle quali fitte retinature esaltano le ombre e i neri. Insomma, facendo una iperbole, Miller accanto a Moebius, ma il tutto filtrato dalla cifra stilistica di un autore che macina i riferimenti per restituirli in uno stile originale che si potrebbe definire “underground” nella sua accezione di forza dirompente e impatto nella lettura.
Tilloca ha un’idea di fumetto, accompagnata da un naturale senso del racconto e dal talento di saper raccontare, in cui la priorità è dare generosamente al lettore fino al rischio di sopraffarlo e in cui si disintegra qualsiasi tentativo di riconoscere ascendenti alti e bassi.
Anche il metodo di lavoro del fumettista algherese è versatile, accosta un metodo di lavoro più strutturato a uno più punk nell’approccio, o forse – come lo definisce lo stesso autore – più jazz.

“Ci sono pagine più pensate, nate dopo un preliminare lavoro di storyboard, ma ci sono anche pagine eseguite in jam session, che io adoro. Sono quelle per le quali ho già in testa ciò che devo fare, senza scrivere o impostare niente prima: devo solo sedermi al tavolo da disegno, mettere giù il foglio e iniziare a disegnare da in alto a sinistra fino a in basso a destra, di getto. So come la sequenza deve aprirsi e in che modo deve chiudersi, tutto ciò che sta in mezzo è una sorta di improvvisazione. Alla fine l’unica cosa che faccio, più strutturata, è disegnare i riquadri delle vignette intorno a quello che ho messo giù su pagina.
Non è un metodo pensato, arriva così e devo ammettere che per
Lime, fortunatamente, delle tavole nate così non ne ho buttata o scartata neanche una. Buona la prima!”

Anche del concetto di storyboard Tilloca ha un’idea del tutto originale e per certi versi affascinante:

“Quello che si chiama storyboard per me è una cosa particolare. Io li realizzo spesso utilizzando una penna bic sulle tovagliette di carta del ristorante nel quale lavoro una parte dell’anno [in un ristorante davanti alla spiaggia del lido di Alghero, n.d.r.], per fermare una scena che mi passa per la testa, ma più che il canonico storyboard quello che faccio io è una sorta di mix di appunti e schizzo che pure io qualche volta faccio fatica a decifrare. Io lo definisco uno spartito musicale a fumetti, mi serve per catturare il ritmo e la melodia che poi diventano realtà sulla tavola finita. Il nuovo fumetto che sto realizzando l’ho già “suonato” fino a pagina 54 e ho gli spartiti pronti fino a pagina 75…
C’è anche un altro accorgimento che uso spesso quando disegno, proprio per non perdere il ritmo della storia. Appendo tutte le tavole che realizzo al muro, un po’come si vede nei film e nelle serie tv quando i detective o i poliziotti studiano un caso e appendono le varie prove a una parete per trovare un filo logico. Ecco, quella tecnica serve anche a me per individuare il filo della storia, mi permette di vedere tutti gli eventi che accadono in sequenza e rendermi conto se ci sono delle incongruenze tra le varie pagine, se mi sono dimenticato di disegnare qualcosa di importante o se qualcosa invece l’ho disegnato due volte.”

Studio Tilloca
Studio di Joachim Tilloca

Lime è un fumetto-mondo anche nella consistenza, con le sue oltre 450 pagine ed è una lettura in cui può anche essere facile perdersi e perdere il filo. Ne è consapevole lo stesso autore: anche per lui quest’opera è stata una sorta di odissea che si srotolata in un arco di tre anni, attraversati da pandemia e lockdown ripetuti, con alcuni amici che nel frattempo se ne sono andati. È stata una fatica fisica e psicologica:

“Non voglio più fare un fumetto come questo. Quando ero in vista del traguardo finale, mi sentivo come Ulisse che alla fine veleggiava sul mare con Itaca all’orizzonte, ero profondamente emozionato. Oggi, guardando il volume di Lime tra le mie mani, è come se fossi un Ulisse che sfoglia un album di viaggio, lunghissimo.”

Nonostante la mole, se si accetta di stare alle regole della narrazione decise da Tilloca, senza pregiudizi o preconcetti, Lime diventa un’immersione totale in un mondo in cui l’amore per il fumetto e la narrazione sprizza fuori da ogni linea messa su carta, da ogni vignetta. Le pagine scorrono veloci una dietro l’altra e quando (o se, perché ripetiamo che è anche lecito perdersi in questa storia) si arriva alla fine, sorprendentemente ci si rende conto che tutte le vicende si chiudono, che tutte le derive incontrate nel corso della lettura acquistano un senso. E resta la voglia di leggere nuove avventure di Jack Plant e dei suoi compagni di viaggio.

[Le parole di Joachin Tilloca e alcune immagini a corredo del testo sono tratte dall’incontro di presentazione al pubblico di Lime svoltosi a Sassari il 16 febbraio 2023 nell’ambito delle anteprime del Festival Di:segni, la cui seconda edizione si svolgerà ad Alghero a dicembre 2023]

Abbiamo parlato di:
Lime
Joachim Tilloca
Oblomov Edizioni, 2023
456 pagine, brossurato, bianco e nero – € 20,00
ISBN: 9788831459716

 

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