Massimo De Vita e Giorgio Cavazzano sono due tra i disegnatori disneyani più celebri a livello mondiale.
Entrambi hanno esordito sulle pagine di Topolino negli anni Sessanta, diventando i primi e più noti disegnatori della seconda generazione dei Disney italiani. Entrambi, però, raggiungono la loro piena maturazione un paio di decenni più tardi, quando il loro tratto si ripulisce delle influenze di autori classici, su tutti Carl Barks e Floyd Gottfredson, e completano la propria fase sperimentale (particolarmente evidente in Cavazzano).
Inoltre, come già altri autori italiani prima di loro – gente del livello di Giovan Battista Carpi, Romano Scarpa e Luciano Bottaro – iniziano a scrivere sceneggiature in maniera autonoma, fornendo un’interpretazione al tempo stesso moderna e fedele del cast disneyano, figlia di una comprensione ventennale dei personaggi che appare tuttora scevra da alcune storture che erano proliferate specialmente negli anni Settanta e soprattutto, come abbiamo visto, nell’interpretazione di Topolino.
Possiamo allora considerare De Vita e Cavazzano come i due autori più rappresentativi del Topolino anni Ottanta grazie all’attenzione che i due autori, in coppia con vari sceneggiatori o come autori completi, hanno posto sulla caratterizzazione e l’evoluzione del personaggio, in particolare come protagonista di avventure in giro per il mondo.
Zapotec e le avventure archeologiche
Ancora oggi a distanza di trenta e più anni, la grande avventura al cinema coincide con Indiana Jones. George Lucas, però, decise di ambientare le avventure del suo personaggio a cavallo della Seconda Guerra Mondiale: probabilmente la motivazione principale fu quella di metterlo a confronto con i nazisti. Storicamente Hitler era ossessionato dalla ricerca di manufatti in qualche modo magici, così era più che naturale per il professor Jones, vestiti i panni dell’archeologo dell’avventura, imbattersi in piccoli gruppi di nazisti alla ricerca, ad esempio, di una perduta arca.
Ancora oggi, però, la grande avventura continua ad avere un occhio rivolto al passato: la risoluzione di misteri archeologici è infatti una delle motivazioni che spinge gli avventurieri a girovagare per il mondo. A questa formula non è sfuggito nemmeno Topolino, che tra gli anni Ottanta e i Novanta del XX secolo è stato calato in trame di questo tipo, in particolare da Massimo De Vita, sia in storie da autore completo, sia affiancato da altri sceneggiatori.
Nel 1979 l’autore milanese creò il personaggio del professor Zapotec: archeologo e direttore del Museo di Topolinia, prima di incontrare il fisico Marlin e ideare con lui la macchina del tempo (serie di storie creata parallelamente da Bruno Concina e Giorgio Pezzin), incrocia le sue strade con Topolino e Pippo sulle pagine de L’enigma di Mu, un’avventura in puro stile Indiana Jones dove i tre personaggi si mettono sulle tracce della mitica civiltà di Mu e del cosiddetto albero della vita. In questa storia De Vita compie una interessante operazione di fusione di due miti differenti: uno, quello dell’albero della vita, antico quasi quanto il mondo, l’altro, quello di Mu, più giovane e creato dall’abate Charles Ètienne Brasseur.
Oltre a questo esordio, un altro degli esempi più felici del filone avventuroso è L’arca di Bubanassar, nella quale Topolino, Pippo e Zapotec si mettono alla ricerca dell’oggetto del titolo, ovvero la seconda arca di Noé. La storia, scritta da Pezzin, è un perfetto mix tra la ricerca archeologica classica, costituita in particolare dalla consultazione di polverosi volumi e dell’esame di antichi manufatti, e il viaggio avventuroso in luoghi esotici, specialmente tra i ghiacci montani dove si troverebbero i resti di questa mitica arca.
Un interessante punto di contatto fra Massimo De Vita e Giorgio Cavazzano è l’amore per la montagna, che entrambi coltivano attraverso soggiorni ed escursioni e utilizzano con grande sensibilità come scenario di avventure, e hanno avuto modo in diverse occasioni di ritrarre scenari montani nelle loro storie. Per quanto riguarda Cavazzano, una sua storia in particolare ha alcuni punti in comune con L’arca di Bubanassar: scritta da Roberto Gagnor, Il passaggio al Tor Korgat vede la montagna assoluta protagonista della trama, illustrata con grande cura e perizia dal disegnatore, e i personaggi al centro della vicenda sono anche in questo caso il terzetto formato da Topolino, Pippo e Zapotec. Il professore è infatti sparito tra le cime che danno il titolo alla storia e i due amici di sempre si impegnano in una spedizione per ritrovarlo, incappando nell’ingombrante presenza di Gambadilegno e nella vicenda privata di tre scalatori in pensione.
Il fascino che emanano questi panorami resta comunque il filo rosso più importante che lega le due avventure, insieme al rispetto che l’uomo è tenuto ad avere nei confronti delle grandi opere della natura.
La fantascienza e il fantastico di Massimo De Vita
Nelle sue storie con Topolino protagonista, Massimo De Vita, sia come autore completo che in coppia con altri autori, si è occupato anche delle molte altre facce che assume l’avventura, tra le quali spiccano il fantastico e il fantascientifico.
Totalmente sua è la realizzazione della Saga della Spada di Ghiaccio, una trilogia, di avventure di ambientazione fantasy ispirata alle saghe nordiche, in particolare la serie di poemi epici finlandesi che costituiscono il Kalevala e che avvicinano la saga di De Vita al Signore degli anelli di J.R.R. Tolkien, anch’essa ispirata “all’epopea finnica. In queste storie, in cui i due amici disneyani visitano le mitiche terre dell’Argaar, è Pippo il vero mattatore al centro della scena, ma specialmente nel racconto d’esordio anche Topolino si ritaglia lo spazio per incidere sul buon esito della vicenda, narrata con un tono ironico alla Terry Pratchett.
Lo stile grafico di De Vita è in questo momento in una fase di passaggio: superate le incertezze e le rigidità dei primi anni di attività, in cui il tratto era fortemente influenzato da quello del padre Pier Lorenzo De Vita, ora il segno è più morbido, i personaggi più dinamici e accattivanti e gli sfondi sono un lussureggiare di fantasia e dettagli. Topolino in abiti medievaleggianti appare fin da subito iconico e funzionale alla vicenda, e i tratti somatici ispirano simpatia.
Fra le collaborazioni più intense di De Vita, merita segnalare quella con Giorgio Pezzin, alle cui sceneggiature partecipò in alcuni casi attivamente. Come abbiamo anticipato, la coppia riprese il personaggio del professor Zapotec dando il via a una serie di avventure che vedevano Topolino e Pippo inviati a risolvere enigmi in varie epoche, grazie alla macchina del tempo messa a punto dal Professor Marlin, collega di Zapotec. Curiosamente, a causa di vari problemi editoriali, la storia che avrebbe dovuto dare inizio effettivo al ciclo, Gli enigmi del tempo, subì dei ritardi, cosicché la prima avventura della serie ad essere pubblicata fu Il segreto della Gioconda, scritta da Bruno Concina.
La serie permette in particolare ai due sceneggiatori di spedire Topolino e Pippo in ambientazioni inusuali senza dover ideare parodie, in pratica trasformandoli in detective temporali alla ricerca di soluzioni ai fatti più misteriosi della storia. Non si possono non citare storie come L’Atlantide continente perduto e L’intruso spaziotemporale con Pezzin e Il segreto di Napoleone e La leggenda del panettone con Concina, che alternano atmosfere da avventura pura ad altre da commedia urbana, come nello stile delle daily strip di Floyd Gottfredson.
Il decennio successivo vede il Topolino di De Vita e Pezzin affiancare Pippo, anche qui protagonista principale, nella saga fantascientifica dei Signori della Galassia, in cui si trova faccia a faccia con un gruppo organizzato a difesa dell’universo e dei suoi equilibri, per poi prestare il volto a una moltitudine di suoi antenati in C’era una volta… in America, ciclo di racconti che ripercorrono la storia degli Stati Uniti d’America dall’arrivo dei padri pellegrini inglesi a bordo della nave Mayflower (1620) fino al 1928, con il boom di Hollywood e la nascita del “nostro” Topolino. Un ottimo modo per rivivere il mito americano e per insegnare un po’ di Storia.
Concluso nel 1999, C’era una volta… in America lasciò quasi subito il posto a un nuovo progetto di Pezzin-De Vita, le Tops Stories, nelle quali leggiamo insieme a Mickey i resoconti di un suo antenato inglese, Sir Top de Tops, avventuriero sulle tracce di miti e misteri alla Martin Mystere.
Gli anni Novanta hanno visto inoltre il raggiungimento della piena maturità artistica di Massimo De Vita: il disegno risulta infatti straordinariamente pulito, i suoi personaggi – Topolino e Pippo in testa – assumono un aspetto dinamico e plastico, grazie a volti dettagliati, forte attenzione alle espressioni e agli occhi, e a una corporatura adattabile (specialmente nel dinoccolato Goofy).
De Vita può essere considerato così come uno dei migliori disegnatori di sempre di Topolinia e dintorni, con un segno assolutamente fresco e moderno, particolarmente efficace nelle storie d’avventura grazie all’amore del disegnatore per le escursioni e la vita all’aria aperta.
Giorgio Cavazzano: un Topolino cinematografico
A cavallo tra anni Ottanta e anni Novanta Giorgio Cavazzano ha realizzato alcune delle sue opere migliori, tappe fondamentali della sua carriera. In particolare ci piace segnalare in questa sede due avventure di gusto cinematografico, parodie degli omonimi film Casablanca e La Strada. Queste due storie permisero a Cavazzano di osare e, ancora una volta, sperimentare nuove strade, soprattutto narrative, per Topolino e il suo tipico cast.
Casablanca, realizzata da autore completo, per emulare la pellicola di Michael Curtiz venne pubblicata in mezzatinta in modo da simularne il bianco e nero. Topolino, nei panni di Rick Blaine, tiene testa a Humprey Bogart vestendo in maniera naturale la malinconia del protagonista, e il disegnatore ha affermato più volte di aver trovato il “suo” Topolino ideale, quello più puro e riconoscibile, realizzando quella storia. In effetti non è un caso che negli anni successivi avrebbe rappresentato diverse avventure di stampo giallo e noir, dalle sceneggiature di Silvano Mezzavilla a quelle di Tito Faraci, fino ad arrivare al primo numero di MM – Mickey Mouse Mystery Magazine, testata che faceva sue quelle atmosfere “dannate” e solforose e in cui Topolino assumeva quel tipo di caratteristiche vagamente crepuscolari.
Come nelle migliori parodie Disney, quindi, c’è una perfetta sovrapposizione tra il personaggio disneyano e quello dell’opera di riferimento, della quale beneficiano entrambi.
L’abilità di Cavazzano, oltre che nella caratterizzazione del protagonista, si ritrova infine nell’adattamento di una trama certamente poco adatta al mondo Disney, che sacrifica inevitabilmente gli aspetti più crudi ma riuscendo a preservare il giusto tono, nella rappresentazione di un governo oppressivo e della legittima e conseguente voglia di fuga.
La Strada, invece, è realizzata su sceneggiatura di Massimo Marconi. La breve avventura vede anche la partecipazione straordinaria del regista stesso del film originale, Federico Fellini, peraltro grande appassionato di Topolino, della moglie e co-protagonista Giulietta Masina, senza dimenticare la presenza di Walt Disney, che effettivamente accolse Fellini dirigendo una banda quando andò negli Stati Uniti per ritirare l’Oscar.
La particolarità, in questo caso, sta nella scelta di rappresentare i personaggi disneyani nel loro aspetto tipico degli anni Trenta, ovviamente leggermente aggiornato dalla mano del disegnatore veneto, ma decisamente fedeli con i tratti somatici dell’epoca. La soluzione, oltre ad essere esteticamente affascinante, assume senso intradiegetico dal momento che il racconto felliniano presenta elementi e personaggi che ben si adattano a essere interpretati dalla versione più giovanile e ruspante del cast disneyano. Mattatore della situazione è ovviamente proprio Topolino, che con le sue braghette rosse e le sue scarpe gialle veste i panni del Matto in maniera convincente, tanto quanto Gambadilegno si rivela un efficace Zampanò.
L’esperimento grafico de La Strada non era, però, il primo intrapreso da Cavazzano: il disegnatore aveva proposto questa versione originaria dei personaggi disneyani in Paperino e l’insolito remake, storia realizzata da autore completo che reinterpreta Topolino giornalista di Gottfredson. Un’altra capatina di Cavazzano nel look anni Trenta sarebbe arrivata in Topolino e il surreale viaggio del destino su testi di Roberto Gagnor, storia legata al restauro del breve cortometraggio realizzato da Salvador Dalì in collaborazione con lo studio d’animazione di Walt Disney.
Questo gusto per il Topolino vintage, graziato dallo stile morbido e caratteristico di Cavazzano, è stato ripreso anche in diverse occasioni celebrative, come i francobolli speciali usciti nel 2017, nei quali l’artista ha avuto modo di emulare anche lo stile di altri disegnatori come Angelo Bioletto e Romano Scarpa.
Il Mickey Mouse di Giorgio Cavazzano è comunque quello che da trent’anni a questa parte si è maggiormente imposto nell’immaginario comune, celebrato dai media e richiesto anche all’estero, in particolare in seno alla casa editrice europea Egmont, con la quale Cavazzano collabora attivamente.
Una sintesi stilistica raggiunta dopo decenni di studio e sperimentazioni, con il suo apice tra gli anni Novanta e i primi anni 2000, che si mantiene ancora oggi punto di riferimento e arricchendosi in particolare quando si trova ad illustrare storie particolarmente affascinanti (come nel caso di Topo Maltese del 2017).
Il tratto si è semplificato rispetto agli anni Settanta: Cavazzano riesce però a rappresentare con poche linee ambienti e personaggi, senza perdere di precisione e dettaglio, risultando ancora oggi immediatamente riconoscibile e riconducibile a un profondo senso di disneyanità.