Tra i più interessanti fumettisti apparsi nell’ultimo decennio, Vincenzo Filosa ha la rara capacità di trasmettere un’eterogenea cultura fumettistica non solo con le sue opere, ma anche grazie a idee molto lucide sull’industria culturale attuale. Da anni operatore a tutto tondo dell’editoria dei fumetti, è emerso solo recentemente come autore con una personalissima combinazione di stili provenienti da diverse culture fumettistiche: dal gekiga all’autoproduzione, dal manga seriale alla produzione indipendente italiana.
Il 2019, che per Filosa era iniziato con la buona accoglienza del progetto seriale Cosma & Mito (Coconino Press), si è concluso con la celebrata uscita di Italo (Rizzoli Lizard), tagliente e intensa graphic novel che inserisce un nuovo tassello al discorso già iniziato con Viaggio a Tokyo e Figlio Unico.
Abbiamo incontrato Filosa nel suo studio milanese, luogo di lavoro che divide – tra gli altri – con l’amico e collega Paolo Bacilieri. Ne è nata una lunga chiacchierata dove abbiamo affrontato il processo produttivo delle sue opere, la sua Calabria, l’industria del fumetto in Italia e molto altro.
Cosma & Mito non è solo un ottimo fumetto, ma anche un intenso lavoro di recupero culturale, ispirato a quello operato da Shigeru Mizuki con lavori quali Kitaro dei cimiteri. Per realizzare il vostro fumetto tu e Nicola Zurlo avete fatto ricerche, o vi siete basati sul folklore che avevate conosciuto da bambini?
Entrambe le cose. Abbiamo fatto un po’ di ricerca, per esempio non sapevo assolutamente che il lupo mannaro fosse un mito molto diffuso in Calabria e che avesse addirittura delle varianti regionali. Alcuni elementi sono invece recuperati dai nostri ricordi: per quanto mi riguarda penso soprattutto alla resa grafica di alcuni personaggi, come la Signora delle Conserve, che è legata a un mio ricordo di infanzia. Andando avanti, ci saranno dei recuperi che riguarderanno non solo leggende e tradizioni, ma anche la storia “ufficiale” della Calabria.
Durante presentazioni e sessioni di dediche per Cosma & Mito chiedo a tutti i calabresi che incontro di fare ricerca per noi, di andare a cercare possibili miti, leggende, curiosità che riguardano i loro paesi. Una ragazza di Cerenzia, il paese di mia madre, mi ha spontaneamente contattato per parlarmi della leggenda del Drago di quel paese: non ne sapevo niente, ma lo includeremo nella serie. Un altro lettore dell’area di Reggio Calabria che ho incontrato a Torino mi ha trascritto una stupenda poesia di pirati del reggino che inseriremo nel secondo volume. Insomma, si tratta di una sorta di progetto di recupero culturale che coinvolge direttamente i lettori. Siamo anche in contatto con studiosi e professori universitari che studiano il folklore calabrese e che sicuramente ci aiuteranno nella realizzazione dei prossimi numeri. Cosma & Mito in teoria è una serie infinita: vedremo quanto spazio ci sarà per raccontarla, ma insieme a Nicola abbiamo già progetti per andare oltre i quattro volumi previsti.
Immagino che molta di questa tradizione folklorica sia orale.
Sì, certamente, è una tematica che mi interessa da molto tempo. Anche alcuni episodi di Figlio Unico e Italo rimandano a tradizioni e racconti che vengono dai paesi in cui ho trascorso l’infanzia, come Torre Melissa, Melissa, Cerenzia. Il malocchio, per esempio, che da noi si chiama “affascino” e che mi ha sempre molto incuriosito, è presente in Cosma & Mito, in Figlio Unico ed è citato in maniera molto vaga in Italo. Non sono un accademico, non sono un antropologo ma nel mio piccolo cerco di tenere ancora in vita racconti e leggende che altrimenti scomparirebbero del tutto: penso ai racconti delle “magare”, le nostre streghe, o i già menzionati lupi mannari; queste leggende raccontano molto quello che è il modo di essere della regione da cui provengo.
Chi pensi possa essere il lettore ideale di Cosma & Mito? Un ragazzino amante degli shōnen manga o un pubblico più adulto?
Solitamente non penso mai a un pubblico specifico quando progetto, se faccio un libro tanto vale farlo per chiunque sia in grado di leggere. Per disegnare Cosma & Mito però ho goduto del sostegno e dell’aiuto di mio figlio che ha sei anni. È stato il mio primo lettore: quando ha intravisto le tavole con questi personaggi strani, ha iniziato a interessarsi e a reclamare ogni giorno due pagine da vedere e “revisionare”. La doppia splash page tipica di Cosma & Mito, molto lontana dalla gabbia rigida che uso in genere per i miei fumetti, è nata in seguito a una sua richiesta: quando tornavo a casa con le tavole mi chiedeva se fossero componibili, si divertiva a ricomporle e quando tornavo a casa con una sola tavola invece di due, si lamentava tremendamente. Lui è sicuramente un tipo di lettore a cui ho pensato mentre disegnavo. Inoltre, Cosma & Mito è in parte ispirato ai racconti di fantasmi di Mizuki e alla sua serie di Kitaro dei cimiteri, quindi ho sicuramente pensato a quel genere di lettore. Mizuki si rivolgeva principalmente ai ragazzi, e – cosa che mi interessava ancora di più – raccontava le storie di yōkai come reazione al processo di modernizzazione e americanizzazione in corso in quel momento in Giappone e, a pensarci bene, in corso anche da noi ormai da un bel po’ di tempo. Coconino non ha un pubblico di giovanissimi, i suoi lettori hanno dai 16 anni in su e ho pensato fosse stimolante lavorare a un prodotto per ragazzi proprio per Coconino.
Che riscontri di pubblico avete ricevuto in questi primi mesi?
Cosma & Mito è andato molto bene, credo sia andato meglio dei miei lavori precedenti. Soprattutto ho notato alle fiere un tipo di lettore diverso da quello che era il mio pubblico di riferimento: più giovane, come ragazzi dai 15 ai 20 anni che leggono manga, o fumetto d’azione, o fumetto di genere. Quel tipo di pubblico è venuto allo stand e ha mostrato stima, affetto, entusiasmo. C’è chi è attratto dal colore, dalla copertina, dai mostri: situazioni inedite per me, se pensi che i miei due libri precedenti erano usciti per Canicola, un editore con un tipo di pubblico molto specifico. Cosma & Mito ha definitivamente ampliato il mio bacino di lettori e questo lo considero un bel successo.
Cosma & Mito è anche la costruzione di un universo e di un arco narrativo molto ambizioso. Ci dicevi che state pensando di svilupparla, ma che potenzialmente è infinita.
Abbiamo una storia che si svilupperà nei quattro volumi, già decisa, scritta nel marmo… ma anche il suo seguito! Sappiamo dove andare dopo la fine del quarto volume, con quali personaggi e come. Abbiamo idee molto chiare in testa e ci piacerebbe svilupparle. Il dubbio in questo caso resta legato al fatto che Coconino è una casa editrice che non pubblica serie estremamente lunghe, mentre a noi piacerebbe affrontare un discorso legato a una serialità più complessa.
Il prossimo volume quando esce?
Tra aprile e maggio.
Quindi verrà presentato a Napoli Comicon.
Sì, l’obiettivo è farlo uscire per il Comicon, l’anno scorso ci ha portato molta fortuna.
Fabio Rossin ha realizzato una sigla animata di un potenziale anime basato sul tuo fumetto. Pensi che Cosma & Mito possa avere il potenziale per essere trasposto in animazione?
Credo fortemente nelle potenzialità di Cosma & Mito, di certo so che non ci sono molte storie dedicate al folklore calabrese e questo sarebbe già un buon motivo per promuoverne una trasposizione animata. Ma so anche che il fumetto non ha ancora un pubblico così numeroso da giustificare la produzione di una serie. Non conosco molto bene il mondo dell’animazione e le case di produzione italiane, ma il prodotto propone ambientazioni e personaggi originali legati al territorio italiano, e per il tipo di impostazione stilistica e grafica potrebbe trovare anche il favore di un pubblico internazionale. Con Fabio avevamo pensato anche a diversi format per riproporre la storia del primo volume: puntate da 20 minuti, pillole da 3 minuti, episodi web più brevi che si concentrassero sul mostro di turno, facendo poi sviluppare la trama orizzontale in maniera più lenta. Cosma & Mito rimanda anche alla struttura della fiaba e delle favolette, raccontini semplici e brevi che si possono sviluppare in 3 minuti come in 20. La sigla animata è stata presentata per incuriosire, per far capire che si può fare. In ogni caso, siamo ancora al primo volume e ogni genere di discorso legato a un qualsiasi tipo di trasposizione è sicuramente prematuro.
L’elemento che maggiormente differenzia quest’opera dalle tue precedenti è l’uso del colore: se per Figlio Unico e Viaggio a Tokyo hai realizzato due fumetti totalmente in bianco e nero, qui scegli una palette molto accesa, quasi psichedelica. A cosa si deve questa scelta? Il colore è opera tua?
Sì, il colore è opera mia. La scelta era quella di cambiare completamente: oltre al colore c’è l’utilizzo di gabbie e composizioni che nei miei libri precedenti non esistono. Viaggio a Tokyo e Figlio Unico hanno delle gabbie molto rigide, Italo da questo punto di vista spinge ulteriormente sul pedale della linearità. Con questo libro, invece, ho pensato prima di tutto a divertirmi. La struttura narrativa del manga d’azione per ragazzi era perfetta, anche se non ho mai pensato di seguirla fedelmente. In Cosma & Mito non rispetto la linearità del tempo quando descrivo l’azione, per esempio, mentre nei manga è tutto molto lineare da questo punto di vista. Ho scelto il colore anche per differenziarmi dai manga d’azione – in cui non è presente – e perché era uno elemento con cui volevo confrontarmi. Non l’avevo mai utilizzato, prima di Cosma & Mito, se non per storie brevi, una realizzata per la Lettura del Corriere della Sera e un’altra per il progetto Fumetti nei Musei. Proprio lavorando a Fumetti nei Musei mi sono accorto che mi sarebbe piaciuto lavorare a qualcosa di più strutturato e corposo. Ho deciso di cimentarmi nella colorazione in maniera quasi del tutto inconsapevole: non ho fatto nessun tipo di studio artistico-accademico e inizialmente ho fatto molta fatica, il primo volume di Cosma & Mito ha tante incertezze in questo senso. L’approccio è stato completamente scanzonato, volevo solo divertirmi.
Visivamente il risultato è totalmente riuscito.
Posso ritenermi piuttosto soddisfatto, mi diverte ancora vedere le tavole realizzate; adesso mi impegno per produrre un risultato più coerente. È una cosa su cui sto lavorando con una certa ansia, anche se poi non disprezzo affatto le imperfezioni presenti nel volume.
Sono anche quelle imperfezioni che rendono vivo il risultato.
Sì, assolutamente. Da piccolo, leggendo i fumetti mi piaceva scovare imperfezioni, errori, refusi. Sono le cose che ricordo con più affetto, che mi hanno emozionato, perché mi hanno sempre spinto a vivere avventure nuove. Ti chiedi sempre cosa ci sia dietro quell’errore, cosa può essere successo, e il cervello inizia a ragionare e creare nuove storie. A me piacciono le narrazioni che lasciano al lettore uno spazio ampio di interpretazione. In Italia ci sono bellissimi esempi in questo senso: Michelangelo Setola, alcuni libri di Gipi, alcuni libri di Manuele Fior. Libri che – anche se tecnicamente perfetti – hanno una struttura che si presta all’interpretazione, non sono monoliti che raccontano solo una storia. Ti offrono un livello di interazione intenso e molto significativo. Il pubblico è alla ricerca di un grado di interazione sempre più profondo. Il fumetto, a mio avviso, può soddisfare questa richiesta. I ragazzi ora preferiscono videogiochi e serie tv che offrono mondi più completi e interattivi. Il fumetto deve fare uno sforzo maggiore in quella direzione. Un buon fumetto ti parla e ti spinge a parlare, riflette e ti spinge e a riflettere.
Rispetto a Figlio Unico passiamo da una Calabria periferica e nostalgica a una regione immaginaria e fantastica, ricca di tradizioni popolari. Ti stai forse riavvicinando alla tua terra natale?
Non mi sono mai allontanato. Quando ho fatto Viaggio a Tokyo avevo un’idea precisa della mia parabola da fumettista. Volevo imparare a padroneggiare gli strumenti che i maestri del manga utilizzavano per raccontare il reale e poterli poi utilizzare per descrivere il mio mondo. Ho sempre voluto fare fumetti, ma a lungo ho avuto dei forti dubbi sul fatto che il fumetto rappresentasse un mezzo efficace con cui raccontare la mia realtà. Poi ho scoperto Tatsumi e il gekiga. Nel manga la narrazione, la sequenza, la resa dei particolari degli ambienti è molto dettagliata, e il fatto che non ci sia una voce narrante fa in modo che sia tu a dover interpretare quello che accade. Si verifica quello che succede quando sei alla finestra e vedi due persone passare, raccontarsi qualcosa e magari litigare. Il fumetto deve trasportarti in un mondo plausibile, mostrarti azioni ed eventi che si verificano in quel contesto e poi lasciarti lo spazio necessario per interpretarle a tuo piacimento. Un fumetto che riesce in questo intento rappresenta un mezzo di comunicazione espressivo molto più potente di altri: la tv e il cinema non permettono allo spettatore di tornare indietro, non permettono di studiare la sequenza. Il ritmo di lettura e il ritmo di fruizione, nel cinema, sono imposti. Io adoro il cinema per la capacità dei grandi registi di montare grandi scene, mi piace il loro senso del ritmo. Nel fumetto il ritmo è fondamentale per me, ed è uno dei motivi per cui apprezzo il manga. Però un lettore dà a ogni vignetta il tempo e l’attenzione che decide di dargli, venendo quindi a creare delle prospettive molto interessanti.
Intervista realizzata dal vivo e via mail a Milano, tra dicembre 2019 e gennaio 2020.
BIOGRAFIA DI VINCENZO FILOSA
Vincenzo Filosa (Crotone, 1980) è fumettista, traduttore dal giapponese e redattore, oltre che instancabile divulgatore della nona arte giapponese. Fin dall’infanzia lettore di fumetti e appassionato di serie animate giapponesi, lascia la Calabria per studiare Lingue e Civiltà Orientali all’Università La Sapienza, dove si specializza in giapponese. Sono gli anni in cui si dedica anche alla musica, suonando nella band Hiroshima Rocks Around. Come fumettista inizia invece nell’ambiente dell’autoproduzione, con varie collaborazioni tra cui Ernest, (Ernestvirgola), il progetto fondato insieme a Francesco Cattani e Sara Pavan. Nel 2006 si trasferisce per vari mesi in Giappone, dove scopre la scena del fumetto indipendente locale e i grandi maestri del gekiga. Oltre a Viaggio a Tokyo (2015) e Figlio Unico (2017), pubblicati da Canicola Edizioni, suoi lavori si possono trovare nella rivista š! (numero dedicato al gaijin manga) e nell’antologico La Rabbia (Einaudi Edizioni), dove firma una breve storia realizzata insieme a Giusy Noce. Negli ultimi anni ha collaborato sia con la redazione di Canicola che con Coconino Press, di cui ha curato la collana Gekiga e Doku.