Se durante la Seconda Guerra Mondiale i fumetti di supereroi della DC Comics e della allora Timely, in seguito Marvel Comics, riscossero grande successo sfruttando anche il forte senso di patriottismo dell’epoca, nel periodo post-bellico l’interesse dei lettori scemò. Complice anche il movimento nato dai discutibili studi di Fedric Wertham nel suo saggio Seduction of the Innocent, gli editori iniziarono a percorrere strade diverse.
Timely cambiò nome in Atlas e si concentrò su albi a fumetti contenenti storie horror, western, di fantascienza, di guerra e pure comiche o romantiche. Questo volume, primo di una serie, propone in maniera non cronologica e vagamente tematica una selezione di brevi racconti dell’orrore che spazia tra gli anni cinquanta e sessanta; sono gli anni a cavallo e precedenti e la rinascita del genere supereroistico che per l’editore corrispose all’uscita del primo numero di Fantastic Four nel 19611.
L’occasione permette di apprezzare i primi lavori di tanti autori che oggi sono ricordati per il loro contributo nel creare la mitologia moderna degli eroi in calzamaglia; storie che evidenziano una grande inventiva, una costante ricerca di qualcosa di diverso e nuovo per sorprendere il lettore, oltre alla notevole produttività richiesta per uscire in edicola tutti i mesi con tante pagine.
Tra i mattatori del volume emerge su tutti Stan Lee, protagonista assoluto delle prime storie tratte dalla rivista Menace e datate anno 1953. In queste colpisce una soluzione narrativa di grande impatto: le didascalie, abbondanti e fondamentali per dare un tono più lugubre e inquietante ai racconti, sono tutte declinate alla seconda persona singolare. In pratica, il fumetto dà del “tu” al lettore, scaraventandolo dentro agli eventi e rendendolo direttamente protagonista, accompagnandolo con sadica metodologia verso qualche orribile fine.
Tra i disegnatori che affiancano Stan Lee in questa prima parte compaiono nomi come John Romita Sr., Gene Colan, George Tuska, Bill Everett. Colan in particolare nella sua storia si distingue per il segno elegante e per colori più sfumati e tenui, come sono degni di nota i disegni di Russ Heath ne Attendono nella loro… prigione che in certi frangenti con un uso espressionistico del colore riesce a sottolineare ansia e tensione in maniera palpabile2.
La seconda parte del primo capitolo è dedicata invece ai racconti apparsi in Journey into Mystery; Stan Lee è ancora presente ma affiancato a più scrittori, e le didascalie abbandonano quasi del tutto l’escamotage usato in precedenza.
Il secondo capitolo raccoglie invece una serie di storie provenienti da Strange Tales datate tra il 1952 e il 1954; per la maggior parte di queste, sempre accompagnate dall’avviso che stiamo per leggere “Una delle storie più STRANE mai raccontate!” non è stato possibile risalire all’autore dei testi, a testimonianza di come all’epoca i diritti e l’attenzione verso gli autori fossero ben lontani da quelli di oggi. I racconti si contaminano spesso con la fantascienza, dando spazio oltre che a fantasmi, vampiri e strane maledizioni, ad alieni ed esperimenti scientifici. Colpisce tra gli altri In bianco e nero!, disegnato da Louis Ravielli in negativo con il tratto bianco che emerge dalle vignette nere, spiccando così per eleganza ma anche per l’idea stessa, tanto assurda quanto ben sfruttata.
Il terzo capitolo presenta storie prese da Tales of Suspense, pubblicate tra il 1959 e il 1961, e da Journey into Mystery del 1955. Motivo di interesse principale per il lettore di oggi è la presenza come disegnatori di Jack Kirby e Steve Ditko, due degli autori che avrebbero fatto la fortuna della Marvel Comics di lì a poco. Il loro stile risulta già riconoscibile e se Kirby spicca per la potenza del suo segno e per l’espressività carica di tensione dei suoi personaggi, Ditko emerge per l’uso delle ombre e delle inquadrature, fondamentali in particolare per il suo primo racconto Anatomia di un incubo.
L’ultima parte del volume compie un salto di una ventina d’anni per presentare storie pubblicate tra il 1973 e il 1975 tratte da Vampire Tales, rivista nata in seguito a un ritrovato interesse per il genere. Sono storie in bianco e nero che giocano molto sull’atmosfera lugubre e inquietante e che vantano una cura nel disegno sicuramente di ben altro livello, grazie anche alle matite di Jim Steranko, Bernet, un più maturo John Romita Sr. e Tony DeZuniga. Sono racconti più smaliziati in cui, si avverte chiaramente la maggiore consapevolezza degli autori e il non dover più nascere come prodotto da consumo legato alle scadenze prima di tutto, che richiedeva di fare di necessità virtù e dell’ingegno un elemento fondamentale; il tutto mantenendo l’atmosfera dei racconti dell’orrore degli anni cinquanta ricreata attraverso l’uso di didascalie e l’utilizzo del finale a sorpresa.
La lettura oggi di queste storie non può non apparire in diversi punti anacronistica: ormai svezzati da decenni di racconti e declinazioni del genere horror, l’elemento sorpresa è gioco forza depotenziato e allo stesso tempo, i disegni appaiono talvolta evidentemente affrettati e imprecisi. Inoltre, la lettura di questi brevi fumetti in blocco non rende giustizia, rendendo meno efficaci i “trucchetti” messi in essere per sorprendere, inquietare e spaventare il lettore.
D’altro canto non si può non apprezzare come mediamente questi racconti si presentino solidi e scorrevoli, come sappiano alternare toni cupi e neri ad altri più scanzonati e divertiti, mostrandosi a conti fatti invecchiati meglio di come si potesse immaginare. Ancora, la lettura in blocco evidenzia sì certi difetti ma, al contempo, permette di apprezzare le variazioni di tema, i racconti più curiosi o quelli che presentano gli elementi più bizzarri. Inoltre resta affascinante per il lettore scoprire le opere di autori che hanno fatto la storia del fumetto supereroistico (e non) prima che dessero vita alle opere che li hanno resi famosi.
Abbiamo parlato di:
Le grandi storie dell’orrore
AAVV
Traduzione di Giovanni Agozzino
Panini Comics, 2018
296 pagine, cartonato, colori – 25,00 €
ISBN: 9788891234377