French kiss from SBE

French kiss from SBE

“Uno spettro si aggira per i corridoi di via Buonarroti: è lo spettro dell’innovazione.”

Mi sia consentita questa parafrasi iniziale – privata di qualsivoglia valenza politica – che, d’altra parte, ritengo necessario smentire immediatamente.
È stato per anni luogo comune, presso i non frequentatori del fumetto seriale italiano, ritenere la Sergio Bonelli Editore una casa editrice “tradizionale”, che sfornava prodotti “tradizionali” e che centellinava le novità e le innovazioni con molta parsimonia.
Luogo comune, appunto, da sfatare immediatamente – e anche velocemente, non essendo questo l’oggetto di questa riflessione – citando: La Storia del West, Ken Parker, Un uomo un’avventura, Dylan Dog, Nathan Never, Orfani. Tappe di un approccio alla produzione basato su esperimenti e innovazioni (editoriali, linguistiche e narrative) che è sempre stato presente nel DNA della casa editrice, ma rimasto chissà per quali ragioni oscurato dall’aura di classicità e tradizione da sempre emanata dai prodotti bonelliani.

È d’altra parte indubbio che negli ultimi due o tre anni la spinta all’esperimento, all’innovazione, alla differenzazione è cresciuta esponenzialmente in SBE. Che si tratti della necessità improrogabile di adattarsi a mutate condizioni di mercato e di linguaggio o di scelte editoriali più remunerative – o di entrambe messe insieme -, ciò che i lettori si trovano attualmente davanti è una produzione sempre più variegata e una sperimentazione sempre più evidente.
Si studiano nuove serie in tempi più serrati rispetto al passato, con tempi di produzione da ideazione a debutto in edicola più che dimezzati (Cico a spasso nel tempo); si studiano nuovi formati, diversi dal tradizionale album per dimensioni e con una foliazione più snella (sempre la mini di Cico, la “nuova” vita di Morgan Lost e la futura serie dedicata allo young Dragonero)1 ; si sondano nuovi target e nuovi media di fruizione delle storie (Bonelli Kids).
Esperimenti e innovazioni che sicuramente derivano da ragionamenti legati a marketing, economia e dati di vendita, ma non solo.

Proprio su questo “non solo” mi piacerebbe riflettere, soffermandomi su due prodotti come la collana di cartonati alla francese dedicata a Tex, giunta alla sesta uscita, e sul cartonato dedicato a Dragonero che debutterà in anteprima alla prossima Lucca Comics e che segnerà l’esordio di una nuova serie dedicata al personaggio fantasy bonelliano.

È stato chiaro e dichiarato fin da subito che il formato de I romanzi di Tex – cartonato, a colori, 48 pagine circa, formato 22×30 – racchiudesse in sé la possibilità di una facile “esportazione” del prodotto sul mercato internazionale e francofono in particolare.
Osservando le caratteristiche editoriali del volume dedicato a Dragonero, Senzanima, identiche a quelle della collana dedicata a Tex (salvo una maggiore foliazione), è facile dedurre anche per questo prodotto un analogo obiettivo di vendibilità su mercati editoriali anche diversi da quello italiano.
Ma, come ben sa chi è appassionato di fumetto franco-belga e italiano, le differenze tra i due tipi di prodotto sono profonde, a cominciare dai formati, dalla serialità, dal numero di autori coinvolti fino ad arrivare – cosa fondamentale – alla grammatica, alla sintassi di base con la quale si scrive e disegna un’opera a fumetti destinata all’Italia e una invece destinata al mercato di lingua francese.

C’è un post molto interessante del disegnatore Paolo Martinello su questo argomento, che vi invito a leggere: rimando a quel pezzo che approfondisce la questione sulle diversità tra noi e i nostri cugini e ben chiarisce i vari aspetti.
Quello che qui a me interessa evidenziare è che in prodotti come i cartonati di Tex e – a quanto sembrano far presagire le tavole in anteprima – il volume su Dragonero, c’è un profondo lavoro sul linguaggio narrativo e sulla scelta degli autori coinvolti per confezionare prodotti che possano essere validi su mercati diversi da quello nostrano.

Se si esclude il numero di esordio de I Romanzi di Tex, L’eroe e la leggenda, confezionato da Eleuteri Serpieri che resta una sorta di unicum all’interno della collana (il tributo di un maestro del fumetto a una grande personaggio), i numeri successivi hanno presentato un’innovazione del linguaggio bonelliano per adattarlo a un formato diverso da quello dell’album tradizionale. Un adattamento che necessitava di una profonda riflessione su grammatica e sintassi narrative, sui tempi del racconto e, cosa non meno importante, sugli artisti da coinvolgere per l’illustrazione della storia.

Mi permetto di riportare un significativo estratto dal post di Paolo Martinello citato poco sopra:

«Una delle caratteristiche principali della grammatica del fumetto francese è l’insistere sui campi lunghi, per ambientare lo spazio di azione dei personaggi della storia. È una delle caratteristiche che accomuna quel tipo di gusto lì , altri paletti non ce ne sono. […] L’unica cosa è che non vedrete mai un fumetto dove ci sono più di due primi piani stretti nella stessa pagina.»

Sfogliatevi una dei cartonati alla francese di Tex, osservate le tavole in anteprima di Senzanima. Ritroverete in molte pagine le caratteristiche evidenziate da Martinello, come ritroverete quattro strisce per tavola al posto delle canoniche tre del “formato” italiano, con tavole che potrebbero quindi ospitare fino a dodici vignette, cioè il classico schema BD usato da autori francofoni quali Hergè e Edgar P. Jacobs.
Allo stesso tempo troverete però una struttura flessibile delle griglie, con dilatazione delle vignette in altezza e larghezza e giochi di sovrapposizione di riquadri su scene di sfondo a tutta pagina.
Leggete poi i nomi di alcuni degli autori coinvolti fin qui nella collana di Tex e coloro che hanno creato la storia presente nel volume di Dragonero: Mario Alberti, Giulio De Vita, Stefano Andreucci, Luca Enoch. Chi più, chi meno, tutti con una profonda conoscenza del fumetto francese, che si sono affiancati a disegnatori del calibro di Angelo Stano e sceneggiatori quali Mauro Boselli e Gianfranco Manfredi, profondi studiosi e conoscitori della grammatica con la quale si scrivono i fumetti.
Da notare che, allo stesso tempo, questa operazione  sembra tentare di tenere insieme due pubblici: quello nuovo, “d’esportazione” , al quale la SBE propone i suoi personaggi, rifacendo loro un look più in linea con linguaggio, ritmi e formati editoriali a cui quello è abituato; e un pubblico fidelizzato italiano  al quale propone un “mai raccontato prima” comunque integrabile nella mitologia consolidata dei personaggi e quindi rispettosa del “canone” bonelliano.

Quella che stiamo vivendo dunque è una stagione pregna di esperimenti e innovazioni per il fumetto bonelliano e la casa editrice di via Buonarroti. Ma la cosa importante è che quello che sembra trasparire dietro nuovi prodotti come quelli analizzati è un attento, mirato e intelligente studio del linguaggio del fumetto, anche nelle declinazioni che assume in contesti diversi da quello italiano.
Ciò, a mio avviso, può già essere non tanto garanzia quanto una sfida per la ricerca di storie di qualità e di interpretazioni diverse e contemporanee che permettano di arricchire personaggi storici come Tex o più moderni come Ian Aranill.
Ed è proprio questo carattere di sfida e sperimentazione, che nasce dalla consapevolezza del mutare di scenari e di nuove opportunità (narrative ED economiche) e che contempla la possibilità di fallire e imparare, che misura la vitalità di quella che molti considerano la casa editrice italiana tradizionale per antonomasia.


  1. Nuovi formati che poi tanto nuovi non sono. Basti pensare alla serie Bella & Bronco, creata da Gino D’Antonio nel 1984 per la SBE che al tempo si chiamava Daim Press. Durata 16 numeri, la serie si distingueva per un formato più grande – 21 x 26 cm – rispetto all’usuale “quaderno bonelliano” e per un numero inferiore di pagine, 64 anzichè 96. Questo a conferma che la sperimentazione è da sempre presente nel DNA della casa editrice