Il fiume Shinano: un'analisi globale dei disegni (Parte III)

Il fiume Shinano: un’analisi globale dei disegni (Parte III)

La terza e ultima parte dell’analisi dei disegni de Il fiume Shinano, manga di Okazaki Hideo e Kamimura Kazuo pubblicato in Italia da Coconino Press nella collana Cult, con la traduzione di Paolo La Marca.

Pagine 10 e 11.

La prima tavola che mi interessa analizzare è la doppia splash delle pagine 10 e 11. In queste due pagina si vede volteggiare Yukie inchiodata a una croce, sopra quello che sembra essere un cielo annuvolato. Oltre al testo che cita l’Apocalisse di Giovanni, Kamimura richiama nuovamente il simbolismo cristiano-cattolico. In queste due pagine oniriche di forte impatto visivo, infatti, la protagonista viene ad assumere compiutamente il suo ruolo di martire: tutte le sofferenze passate, tutti gli amori, le passioni, le violenze acquistano così un significato in funzione religiosa, facendola diventare un modello di Donna per l’eternità. Il sangue che cola dalle mani e dai piedi diventa da un lato più materiale, stagliandosi nitidamente su uno sfondo quasi completamente realizzato con retini dalla tonalità leggera, dall’altro più significativo, sgorgando da un corpo bianco e “puro”, che si ritrova appeso a una croce il cui peso e la cui concretezza sono sottolineati dalla forma e dall’ombreggiatura eseguita con il pennino.

Pagina 19.

Pagina 19 è l’ennesimo esempio del lavoro concettuale che svolge Kamimura lungo tutta la serie. Le prime sei vignette della tavola mostrano i due personaggi che, parlando, non si guardano, mentre i costanti cambi di inquadratura, oltre a evidenziare la fissità dell’uomo e i movimenti del viso della donna (immobilità contro mobilità, non solo fisica ma anche emotiva e “filosofica”), sottolineano in maniera più sottile la distanza venutasi a creare tra i due e la volontà dell’uomo di evitare di affrontare i problemi apertamente. Lo sguardo e le sue direzioni sono elementi essenziali nell’opera, come visto in precedenza, che Kamimura sfrutta per connettere diversi livelli di lettura, sommandoli l’uno con l’altro. Nelle pagine si mescolano così sguardo dei personaggi, sguardo del disegnatore (attraverso la scelta delle inquadrature) e sguardo del lettore, il quale da significanti pre-disposti e pre-impostati può trarre nuovi significati che donano a tutto il lavoro un senso nuovo. Le ultime due vignette spostano invece il focus sui gesti, altro elemento cardine de Il fiume Shinano, dove spesso coincidono con i forti sentimenti dei personaggi. Una mano prima ferma e tesa, poi allungata quasi in uno scatto, corrisponde in maniera precisa alla passione di Yukie e alla necessità di riavvicinarsi, e il fatto che si stringa energicamente alla maglia di lui, simboleggia forse la paura di rimanere soli per l’eternità.

Pagina 79.

Pagina 79 insiste nuovamente sulla metafora dello sguardo e sul concetto del “vedere”. Entrambi sono due temi che si ripetono costantemente in questo terzo volume, facendo intendere che gli autori siano andati, nei capitoli conclusivi della storia, in questa precisa direzione per riflettere in maniera più ampia su cosa significhi realmente “vedere” e come la violenza dello sguardo sia una caratteristica peculiare dell’uomo, così come una certa componente voyeurististica. Non è un caso, infatti, che Anzai Rinnosuke, protagonista proprio di questa tavola, sia un biologo che si eccita e compie atti di autoerotismo osservando insetti al microscopio, così come allo stesso modo si eccita guardando Yukie mentre lo tradisce. Questa situazione e le tematiche a essa legate si possono collegare a diversi artisti giapponesi che hanno creato discorsi simili: Tanizaki Jun’ichirō, Yoshiyuki Kohei e Kuri Yōji. Tanizaki (1886-1965), uno dei più importanti scrittori giapponesi del Novecento, ha scritto La chiave (Kagi) (1956), romanzo in forma di diario da parte di un uomo che, per ravvivare il suo matrimonio con la moglie molto più giovane di lui, cerca di favorire attraverso degli intrighi i rapporti tra lei e il fidanzato della loro figlia, riportando poi tutto su un quaderno. In questo romanzo Tanizaki vuole palesare il collegamento tra erotismo e sguardo, su quanto siano intrinsecamente connessi e contribuiscano alla vita sessuale (esteriore) e emotiva (interiore) dell’essere umano. Yoshiyuki Kohei (1946) è un fotografo che, nel 1979, destò scalpore con la sua mostra Il parco (Kōen) una serie di fotografie in bianco e nero, poi raccolte in un elegante volume, scattate nei parchi di Shinjuku e Yoyogi (entrambi quartieri di Tōkyō) che presentavano coppie ritratte nel bel mezzo di atti sessuali, mentre erano spiate da intrepidi spettatori. Yoshiyuki vuole veicolare sì l’eros insito nella rappresentazione, il suo lato più artistico ed estetico, ma anche soprattutto la parte malata del voyeurismo, l’altra faccia più invadente e aggressiva dell’erotismo. Kuri Yōji (1928), tra i più importanti e prolifici animatori indipendenti, nei suoi corti mette più volte in evidenza quella violenza dello sguardo precedentemente citata. In particolar modo ciò si può notare in Aos, dove chi guarda riflette sempre la sua posizione di potere e il suo ruolo privilegiato, spesso nei confronti di una donna prima oggettificata poi resa potente attraverso la paura dell’uomo, che si manifesta improvvisa e devastante. Tutto quanto si mescola perfettamente in questa tavola, che nella seconda vignetta mostra il cannocchiale diretto verso il lettore, coinvolgendolo attivamente, rilevando così come egli stesso sia partecipe della violenza dello sguardo, dell’erotismo e del voyeurismo; inoltre, le tre vignette iniziali, donano un senso di verticalità data la loro forma e la loro posizione complessiva.

Pagine 92-93.

La doppia splash page delle pagine 92 e 93 sposta completamente su un altro piano il discorso visivo e grafica. Due tavole che dovrebbero rappresentare una sezione di un campo militare vengono trasformate, da pennellate di nero violente e dense, in un quadro astratto, che richiama la forte alienazione del contesto in cui si trova Anzai Rinnosuke, partito volontario per la guerra. L’asprezza del nero, in forte contrasto con il bianco candido della neve che riempie tutto il paesaggio, è il simbolo stesso dell’esistenza in tutta la sua durezza, dove le figure umane scompaiono di fronte pronto a inglobarli e a nasconderli per sempre, quasi non fossero mai esistiti. La creazione e realizzazione di due tavole figurative, così improvvise e d’impatto, dimostra ancora una volta l’estrema duttilità artistica di Kamimura e la sua maestria anche pittorica, oltre che fumettistica: il disegnatore riesce a passare da tecniche, strumenti e metodi narrativi classici a quelli più sperimentali, senza risultare stucchevole e senza prendersi gioco del lettore con trovate furbe, ma dimostrando una devozione quasi stoica nei confronti di un’arte funzionale al racconto e visivamente stupefacente e appagante.

Pagina 125.

Una nuova incursione, a livello visivo e grafico, nel gekiga più puro da parte di Kamimura si trova a pagina 125. Figure e volti estremamente realistici, tesi in un atto di passione molto carnale, dove le campiture nere e i retini prevalgono cercando di nascondere quanto non può essere mostrato apertamente. Ciò che mi sembra interessante notare, oltre al contrappunto esistenzialista che si crea con il testo e al focus sugli occhi come specchio dell’anima (nell’ultima vignetta), è come Kamimura riempie tutte le vignette di corpi, enfatizzandone così la portata non solo visuale ma anche metaforica: in un mondo asettico, marziale e forzatamente privo di emozioni come era il Giappone degli anni Trenta e Quaranta, l’avvinghiarsi dei corpi di Yukie e Rinnosuke, anche se nel privato, diventano una forma di protesta contro una realtà autoritaria e allo sbando. Questo non può che portare alla memoria la storia di Abe Sada, soprattutto nella trasposizione di Ōshima Nagisa nel suo Ecco l’impero dei sensi (Ai no corrida). Abe Sada fu una geisha e prostituta che nel 1936 strangolò il suo partner Ishida Kichizō durante un amplesso, evirandolo poi in un estremo atto feticistico. La trasposizione di Ōshima risulta puntuale ai fini dell’analisi di questa pagina perché nel film, come fa notare Maria Roberta Novielli in Storia del cinema giapponese, “Eros e Thanatos sono i due estremi di un asse che separa idealmente la dimensione dell’individuo (le stanze di un quartiere privato, gradualmente spogliate da qualsiasi presenza al di fuori della coppia) da quella sociale (le contemporanee fratture della società in via di militarizzazione, una situazione ‘politicamente’ trascurata dal regista nel film, che ne esalta così l’incongruenza)”. Ciò vale anche per il manga e per questa pagina in particolare, dove la dimensione bellica non viene esplorata a livello sociale o morale, ma solo a livello individuale ed emotivo.

Pagina 154.

Pagina 154 è significativa per la sua attenta e curata composizione, tra linee che guidano l’occhio del lettore, scelta degli elementi rappresentati e contrasto fra dinamismo e immobilità. La caduta del corpo di Yukie compie una parabola che guida lo sguardo del lettore per quattro vignette, facendo così notare pienamente il peso del corpo della donna e allo stesso tempo conferendo dinamismo alla sequenza: una scena che se fosse cinematografica sarebbe uno slow motion e il dettaglio delle lacrime nelle due vignette centrali è significativo in questo senso. Gli elementi fissi, ovvero i libri e il microscopio, che creano due linee visive verticali e parallele, manifestano l’immobilità, contrastando il corpo che cade, presentandosi quasi come metafora di uno dei conflitti dell’opera: lo scontro tra la fragilità della carne e l’eternità dei sentimenti. Non è un caso, infatti, che questo tipo di dialettica venga instaurata in una tavola che mostra il malessere fisico di Yukie (inoltre la scelta del microscopio e dei libri come elementi ben visibili lega questo malessere al compagno Rinnosuke e allo sguardo come elemento fondamentale). Infine la posizione delle didascalie crea una linea visiva in diagonale che bilancia la composizione generale della tavola, passando attraverso le altre traiettorie ed equilibrando il tutto, facendo emergere ancora una volta quell’intreccio di linee che Kamimura tende a creare nelle sue pagine.

Pagina 187.

Pagina 187 è una splash page di grande effetto, non solo per il forte contrasto tra bianco e nero: il fiume che spezza e frattura il territorio incarna metaforicamente la violenza della passione, la sua soverchiante potenza nei confronti di una purezza spesso troppo debole. Diventa così simbolo del continuo dilemma tra l’Ordine, un confortevole e sicuro approdo per l’anima, e l’abbandono al Caos, affascinante e distruttivo. A livello grafico e visivo, vedendo questa tavola la prima volta, mi ha subito fatto ricordare uno dei capolavori di Ogata Kōrin (1658-1716), Pruni rossi e bianchi. Kōrin è stato uno dei più grandi pittori giapponesi, artista di punta della scuola Rinpa insieme a Tawaraya Sōtatsu, che ha realizzato diverse opere fondamentali per lo sviluppo dell’arte giapponese. La scuola Rinpa, fondata nel diciassettesimo secolo a Kyoto, utilizzava numerosi supporti e formati, con uno stile molto elegante e rifinito, che mescolava temi differenti presi sia dalla tradizione sia dalla natura, con sguardo rivolto ai dipinti cinesi e ai dipinti a inchiostro del 1500. Una particolarità era lo sfondo, spesso realizzato in foglia d’oro. Pruni rossi e bianchi è un byōbu, ovvero un grosso paravento decorato utilizzato per separare gli spazi interni, sul quale sono dipinti un pruno rosso (a destra) e un pruno bianco (a sinistra) separati da un fiume che scorre. Nonostante la composizione sia semplice risulta di grande impatto, anche grazie all’uso delle macchie di colore al posto della linea netta: attraverso la tecnica chiamata tarashikomi, si stendeva un primo strato di colore e, mentre era ancora fresco, si stendeva il secondo strato, donando così particolari sfumature di asperità e irregolarità ai tronchi e un’eccezionale fluidità al fiume, tutto rigorosamente predisposto su uno sfondo a foglie d’oro. Questo parallelo può far comprendere che tipo di influenze Kamimura ha ricevuto e come le rielaborate in chiave personale per veicolare ulteriori livelli di significato.

Pruni rossi e bianchi.

Note conclusive

In conclusione, mi sembra doveroso sottolineare altri aspetti non emersi dall’analisi delle singole tavole. Innanzitutto la grande eterogeneità delle tecniche utilizzate da Kamimura, indipendentemente dalle direttive dettate in fase di sceneggiatura da parte di Okazaki (che rimangono comunque ignote, vista l’impossibilità di trovare documenti scritti o layout): un tratto misto sia sottile che netto abbinato al tratteggio, richiami al sumi-e (pittura a inchiostro e acqua) e l’uso in sequenze di particolare forza o intensità di violente macchie di inchiostro e dell’aerografo. A livello di inquadrature la varietà non diminuisce (ne sono presenti, come mostrato, molti tipi diversi e tutte impostate per dare una certa forza o un certo senso alle tavole nel complesso) e queste si combinano con sfondi onirici, effetti grafici e simbolismi.Tra questi ultimi appaiono spesso gli elementi naturali come forza trainante: il mare (come simbolo sia di distruzione che di creazione/liberazione, quasi come nella tetralogia di Mishima Yukio Il mare della fertilità), il fuoco, la neve, i fiori e l’immaginario cristiano-cattolico (sacro contro profano, il serpente, la croce). Il montaggio delle vignette risulta poi fondamentale per comprendere appieno il lavoro visuale e intellettuale di Kamimura, tra transizioni perfette stilisticamente (il sangue che cola diventa un fiume, pezzi carta che mutano in petali, lacrime che scivolano lentamente nel mare e molte altri esempi), senza dimenticare l’impiego senza soluzione di continuità della compressione del tempo del racconto (utilizzo frequente di due vignette per pagina) e dilatazione del tempo (istanti che vengono dilatati in numerose piccole vignette).
Il fiume Shinano è, come ho provato a illustrare attraverso l’analisi di diverse tavole, un’opera che entra negli occhi, nella mente e nel cuore, soprattutto grazie a una serie di pagine memorabili che rimarranno, almeno per me, nella storia del fumetto non solo giapponese, ma mondiale.