Torniamo a parlare a distanza di poco tempo dei Cani, gruppo di autori che si è data all’autoproduzione con prove interessanti e sguardi personali. Questa nuova uscita, in un bizzarro formato A5, veramente tascabile, si distingue per una storia frizzante e ironica, un ritratto a tratti amaro, ma con humor, di una certa società italiana, con le sue ipocrisie, la sua attesa spasmodica per i miracoli, la ricerca del piccolo imbroglio, della furbata.
“L’idea è venuta molto semplicemente dalla riflessione che la nostra apparente modernità è dominata, credo in misura crescente, da fenomeni tradizionali considerati ormai sorpassati, che ritornano con un volto nuovo per l’uso mediatico che se ne fa.” – ci spiega lo sceneggiatore, Mascitelli, che abbiamo contattato per un breve commento – “L’idea di partenza del racconto è che la madonna che piange ha una sua precisa funzione nella società di oggi, anche se si sarebbe tentati di pensarla al massimo come una cosa anni cinquanta…“
La storia prende spunto da un avvenimento mediatico che non manca, periodicamente, di tornare d’attualità e di agitare la curiosità dell’italiano “medio”; in un piccolo quartiere di Milano, in una mattina come tante, la statua della Madonna nei pressi di una piccola chiesa inizia a versare lacrime. È l’inizio di un carosello di processioni, brogli politico-religiosi, occultamenti, bancarelle di gadget e santini per poter lucrare sulla fede o sulla facile suggestionabilità della gente.Su questo sfondo, si muovono una serie di personaggi tratteggiati con buona mano, descritti nei loro pregi e nei loro difetti con pochi indovinati tratti. In questa attenzione verso i personaggi, che non rallenta l’evolversi degli eventi, Mascitelli è molto bravo: non solo il Bruscu, uomo grezzo ma simpatico, dal rapporto non proprio idilliaco con la legge, che si rivelerà a suo modo più corretto e sincero di tanti altri, ma anche il parroco, o il finto-rivoluzionario Jacopo, con i sui atteggiamenti “radical-chic” e i suoi monologhi fiume zeppi di paroloni altisonanti, o la sorella di questi nella sua “resistenza” agli approcci del Bruscu, sono figure ben delineate, che all’inizio possono sembrare facili stereotipi, salvo poi assumere ruoli più sviluppati e ricchi, quasi a riscattarsi dalla loro natura di cliché narrativi.
L’ambientazione italiana è resa efficacemente nei modi di fare e di dire, nei caratteri, nella ricostruzione di un background immediatamente riconoscibile e facilmente riconducibile alla propria esperienza. Un background non spesso sfruttato dagli sceneggiatori di fumetti del bel paese.
“Io ho uno sguardo esterno sulla faccenda perché ho una formazione letteraria e scrivo racconti innanzi tutto.” – continua Mascitelli – “Credo pero’ che la difficoltà derivi dal fatto che l’immaginario è dominato dai modelli stranieri e dunque c’é difficoltà per l’autore o per il lettore a creare una storia fantastica in un ambiente noto. Penso che tra molti fumettari e anche editori ci sia l’idea che troppa vicinanza alla realtà uccida il fumetto, ciò è in parte espressione di una certa sudditanza culturale ai modelli forti (perché si potrebbe osare un po’ di più), in parte è qualcosa di legittimo. Io stesso nella Lacrima ho utilizzato degli elementi fortemente stridenti sul piano linguistico: se da un lato c’é un estremo realismo, dall’altro ci sono discorsi che nessuno terrebbe nel modo in cui li tiene Jacopo, per esempio.“
I disegni di Lorenzo Sartori, volutamente in secondo piano nel micro-formato, peraltro tattilmente godibile e maneggevole, accompagnano la storia con tratti essenziali, enfatizzando le espressioni e puntando a raccontare nel modo più semplice e lineare possibile la storia, che in questo trova un ulteriore punto di forza.
In effetti, al termine della lettura, si rimane quasi spiazzati per come, con elementi che appaiono tutti quasi basilari, con una storia solida ma basata su temi tanto noti e senza colpi di scena o effetti speciali, con una narrazione pulita, con un disegno ridotto quasi al minimo necessario, il risultato sia superiore alla somma delle parti. Il motivo, molto semplicemente, è un approccio orientato fortemente al fumetto, un narrare per immagini conscio della propria essenza, e abile nel confrontarsi con ogni limite e ogni potenzialità del mezzo.
Di storie così ne vogliamo ancora, perché non stancano mai. Stanca pensare che, senza la cocciutaggine degli autori, senza l’autoproduzione, un fumetto tanto professionale non avrebbe visto la luce.
Il paradosso a cui si è giunti, infatti, è che non sono più, principalmente, gli autori esordienti e inesperti ad avvalersi dell’autoproduzione, come invece succedeva negli anni ’80, passaggio spesso obbligato per chi non possedeva ancora le capacità e gli strumenti per entrare professionalmente nell’editoria fumettistica. Oggi sono invece autori già in possesso di una loro maturità artistica, che si trovano pero’ senza uno spazio nel quale lavorare, che si devono autoprodurre per ottenere una minima visibilità sul mercato. Senza voler cercare facili allarmismi, è una situazione per certi versi paradossale da cui si deve uscire, con soluzioni vecchie o nuove che siano, perché il rischio è che alla lunga ci rimettano autori ed editori. E, non ultimi, i lettori.
Riferimenti:
i Cani – www.arfarf.it