“Non c’è alcuna grandezza là dove non vi sono la semplicità, il bene e la verità”, scriveva Lev Tolstoj.
Probabile che Mark Waid sia partito da un assunto simile per cominciare questa sua run su Cap, utilizzando un canovaccio tanto classico quanto vincente: il viaggio on the road. Alla ricerca dell’America che egli stesso incarna, Steve Rogers si mette così a bordo della sua fidata motocicletta, percorrendo strade poco battute per ristabilire un contatto con la nazione che sente evidentemente compromesso, visto quanto successo in Secret empire, ciclo durante il quale Cap si è ritrovato a essere un agente dell’Hydra.
La gestione Waid su Captain America ha occupato tutta la durata del Marvel Legacy (qui un approfondimento), evento poi interrotto a marzo 2018 dall’Editor in Chief C.B. Cebulski per far posto al rilancio Fresh Start, tutt’ora in corso.
Country roads, take me home
La prima parte della storia vede così un susseguirsi di spostamenti in ambienti rurali, durante i quali Waid costruisce delle piccole storie autoconclusive dal sapore retrò, quasi ingenuo oseremmo dire, probabilmente rispondendo all’esigenza di riconsegnare alla nazione il proprio eroe. In questi frangenti i protagonisti delle storie diventano così gli abitanti delle piccole cittadine e le avventure ruotano attorno a loro, mentre Cap svolge quelle che potremmo chiamare “imprese di ordinaria amministrazione”. Si tratta infatti di sfide più che abbordabili per un eroe del suo calibro, ma l’impresa in sé non è nulla in confronto al più importante e decisivo ruolo di catalizzatore del coraggio dei propri compatrioti.
A dramatic turn of events
Nella retorica supereroistica, la funzione ispiratrice dell’eroe è spesso prominente rispetto alle imprese considerate in sé e per sé. Il cambio di registro che vediamo nel secondo storyarc riflette proprio questo assunto, cosicché il ruolo di Cap torna a essere quello più usuale; cambia anche il tono della narrazione, più cupo, e l’azione è più serrata. Per questo nuovo inizio Waid regala al lettore una piacevole sensazione di deja-vu, ricreando le condizioni che hanno portato alla nascita del mito di Capitan America, che finisce in un blocco di ghiaccio risvegliandosi però solo dopo pochi anni, anziché una generazione dopo.
Le storie conclusive prendono invece una piega ancora diversa, con un terzo cambio di ambientazione, ora in un futuro remoto e distopico in cui i protagonisti sono dei discendenti di Steve Rogers. Quest’ultimo salto temporale non coinvolge come il precedente, perdendo di mordente nel tentativo di declinare ancora una volta quella retorica cui abbiamo accennato, anche se va apprezzato quantomeno lo sforzo di estendere l’idea di base, quella cioè dell’America come patria dei coraggiosi, al di là di Capitan America.
Semplicità e grandezza – reprise
I disegni di Chris Samnee sono un grande valore aggiunto alla storia. Le figure, spigolose, tratteggiate con poche e decise linee, restituiscono un Cap perfettamente in equilibrio tra possanza e agilità. Lo storytelling si esalta nelle scene d’azione, come nella suggestiva sequenza in doppia pagina del duello con lo Spadaccino, caratterizzata da un’interessante alternanza di dettagli e campo totale, così come nelle splash e nella scelta del layout, dove Samnee dimostra grandi doti compositive.
Le tavole si apprezzano per la loro varietà, con l’autore che appare a suo agio in ogni contesto, con una spiccata capacità di giocare sui piani attraverso un uso deciso delle campiture di nero e un interessante utilizzo delle silhouette. Samnee è affiancato ai colori dall’ottimo Matthew Wilson, anche lui eclettico nella sua capacità di assecondare il segno del matitista in ogni frangente, perlopiù con tinte decise ma dai toni morbidi, oppure immergendo le figure in scenari cupi con una dominante monocromatica, esaltando la resa finale delle tavole.
Leonardo Romero è il disegnatore principale dei quattro capitoli di chiusura, in piena continuità con Samnee. A lui si affiancano però diversi altri matitisti (tra cui Alan Davis e Rod Reis) che, al di là della resa squisitamente artistica sicuramente apprezzabile, e per quanto i disegni cambino in occasioni ben definite e circoscritte , sortiscono l’effetto di spezzare eccessivamente l’unità stilistica, completando l’effetto straniante già suscitato dalla trama.
L’eroe dei due… volti
Appare dunque chiaro il divario fra le due anime della gestione Waid, in cui risulta molto più azzeccato il primo filone della storia, anche per l’omogeneità a livello di disegni, che peraltro può vantare anche un finale ben costruito e nettamente più riuscito di quello dell’intera saga. Probabilmente sarebbe stato più sensato a livello di formato artistico replicare i paperback Marvel, che scompongono la saga dividendo i tre storyarc in due TP: Home of the brave (issues #695-700) e The promised land (#701-704).
Graditissimi invece i numerosi studi e sketch dei diversi artisti che si sono avvicendati alle matite, inseriti da Panini in una corposa appendice in chiusura del volume.
Abbiamo parlato di:
Capitan America – La patria dei coraggiosi
Mark Waid, Chris Samnee, Matthew Wilson, Leonardo Romero
Traduzione di Pier Paolo Ronchetti
Panini Comics, 2019
248 pagine, cartonato, colori – 25,00 €
ISBN: 9788891247117