La Mia Cosa Preferita Sono I Mostri, scritto e disegnato da Emil Ferris, prima ancora di uscire l'anno scorso negli Stati Uniti ha iniziato ad attirare lettori e curiosi a causa delle vicende legate alla sua autrice e a un carico di copie in prima stampa rimaste bloccate nel canale di Panama per il fallimento di un'azienda di trasporti. Emil Ferris, animatrice e designer, nel 2001 contrae il virus del West Nile dal morso di una zanzara che la paralizza dalla vita in giù e le fa perdere l'uso della mano con la quale disegnava, la destra.
Decisa a non abbattersi si iscrive all'Art Institute di Chicago e si diploma, riacquistando pian piano la facoltà di disegnare e iniziando intorno al 2010 la stesura del libro. All'uscita il volume incassa complimenti da tutti: da alcuni degli autori più importanti della Nona Arte come Art Spiegelman e Chris Ware, passando per la stampa generalista fino alle candidature ai premi più autorevoli per il mondo dei fumetti e non, vendendo 70 mila copie in un anno.
La mia cosa preferita sono i mostri racconta la storia, ambientata nel 1968, di Karen, una bambina di dieci anni, attraverso il suo quaderno scarabocchiato e illustrato in cui lei riversa la sua vita, le sue sensazioni e le sue preoccupazioni. Karen vive a Chicago con la madre e il fratello Deeze, ama l'arte e i film e i fumetti dell'orrore. Un giorno tornando da scuola apprende che la vicina di casa, Anka, una sopravvissuta dell'Olocausto, è morta: si addentra quindi in un'indagine personale alla ricerca delle motivazioni ultime dell'assassinio della donna.
La ricchezza di tematiche e stili grafici e il perfetto connubio tra essi segna il maggior punto di forza dell'opera.
La trama è composta da due filamenti principali che come il DNA si intersecano e si sovrappongono, collaborano alla creazione di un ritmo ben gestito, affidandosi da una parte alla quotidianità di Karen, che si dipinge come un lupo mannaro al primo stadio di trasformazione e dall'altra al racconto della vita di Anka, una donna bellissima segnata da profonde ferite nell'animo.
La rappresentazione della protagonista come lupo mannaro è la materializzazione della sua diversità rispetto a chiunque la circondi, compreso l'ambiente socioculturale di reietti ed emarginati del suo quartiere, Chicago Uptown, luogo in cui i più poveri e le comunità discriminate cercano di tirare avanti. L'orgoglio e la manifestazione della diversità, che vanno di pari passo con il rifiuto di una parte di se stessi, segnano inevitabilmente anche gli altri personaggi secondari: Deeze è diviso tra il suo voler essere d'esempio per la sorella minore e i gravi problemi in cui si trova coinvolto, Missy, un'amica di Karen, è invece divisa tra l'amore per i mostri e le imposizioni della madre in fatto di comportamenti e gusti.
La parte dedicata ad Anka, narrata attraverso ricordi, mangiacassette e nastri, scandita da pause irregolari, è la messa in scena prima di una giovinezza sventurata e poi della tragicità dell'Olocausto. L'autrice però evita in ogni modo di cadere nel banale e scatenare la lacrima facile nel lettore, ma anzi racconta con dovizia di particolari, tramite le parole della stessa donna, la vita di una ragazza dall'animo distrutto e dall'interiorità svuotata dagli eventi, tuttavia sempre comunque alla ricerca di un modo per resistere e reagire in qualsiasi situazione.
Tra questi due filoni si imbastisce un mistery-giallo con Karen che, travestita da investigatore privato, indaga sulla morte di Anka ricostruendo la sua vita e provando a dare una spiegazione all'intera vicenda.
In tutto questo le suggestioni letterarie e cinematografiche fioccano, tra parallelismi tra vita e mitologia e richiami ai B-movie horror degli anni Sessanta.
Il pluralismo di tecniche grafiche utilizzate e uno stile riconoscibile segnano l'opera e l'abilità dell'autrice di Chicago. L'impiego di penne bic, matite, pastelli e pennarelli disegnano un mondo e compongono un'ambientazione che si lega ai personaggi, riempiendo di dettagli le tavole che si susseguono senza una costruzione fissa, lasciando spesso spazio a varie splash page consecutive.
L'influenza delle riviste di fumetti underground americane e soprattutto di Robert Crumb è evidente, ma il tratto si mostra in tante diverse componenti caratteristiche, partendo dal fantastico, passando dal caricaturale e arrivando al realistico, con volti impressionanti che comunicano un ampio spettro di emozioni.
Un'altra peculiarità è l‘importanza dell'arte, vero e proprio cuore pulsante di tutto il lavoro: le innumerevoli citazioni a quadri e artisti, mediate dall'amore di Karen per la materia, permettono alla Ferris di sbizzarrirsi nel ricreare a modo suo dipinti più o meno conosciuti che evocano nel lettore fascino e voglia di (ri)scoprirli personalmente. Come se non bastasse, Karen cerca e trova indizi all'interno dei dipinti che di tanto in tanto va ad osservare al museo di Chicago, fondendosi nel loro mondo e osservando la realtà dal punto di vista dei personaggi rappresentati con cui riesce a parlare.
Inoltre l'inserimento delle numerose copertine di magazine horror, le quali segnano l'inizio di ogni nuovo capitolo, trasmette la sensazione che la reale paura sia il venire lentamente a confronto con la verità, dolorosa e inequivocabile.
Parlando del lettering si può notare come venga compiuto un lavoro certosino in fase di adattamento, particolarmente complicato vista la massiccia presenza di testo scritto che a volte occupa intere pagine, per sottolineare in ogni momento quanto sia importante e quanto amplifichi in tutto e per tutto la sensazione di leggere un diario.
La mia cosa preferita sono i mostri è quindi un fumetto che colpisce gli occhi e il cuore, un flusso di sensazioni e di pura arte sequenziale senza compromessi, che dialoga con il lettore esprimendosi come materia viva e pulsante.
Abbiamo parlato di:
La mia cosa preferita sono i mostri
Emil Ferris
Traduzione di Michele Foschini
Bao Publishing, 2018
420 pagine, brossurato, colore – 29,00€
ISBN: 9788832730692
Luca Brunori
15 Ottobre 2018 a 15:21
Siamo sicuri che si possa definire “fumetto”? A me sembra che la narrazione avvengo solo attraverso parole e non sequenza di immagini.
la redazione
17 Ottobre 2018 a 23:13
Si tornao a una discussione di non facile risoluzione: cosa è fumetto e cosa no? Per noi il fumetto è un mezzo talmente spurio, talmente ibrido, che le sue maglie sono piuttosto larghe e permissive. Ma è facile trovarsi di fronte a opere che viaggiano sul confine tra letteratura illustrata e narrativa disegnata.