La lingua del diavolo e la Storia che riaffora dal mare

La lingua del diavolo e la Storia che riaffora dal mare

Andrea Ferraris attinge nuovamente alla Storia per raccontarci una storia amara, di riscatto, che sembra lontana e sospesa nel tempo. La scoperta di un nuovo isolotto sconvolgerà la vita degli abitanti di Sciacca e quella di Turi e Vincenzo, per sempre.

A Sciacca, nel 1831 un vulcano riprende la sua attività, emergendo dalle acque e formando così un isolotto. I fratelli Salvatore e Vincenzo, rimasti orfani, intravedono in questo avvenimento la possibilità di riscatto sociale: sono i primi a salire sopra la nuova terra reclamandone la proprietà e cercando di difenderla dalle recriminazioni da parte di inglesi, francesi e spagnoli.
Purtroppo l’isola non resiste alla forza del mare e a Salvatore non resta che lo scherno dei suoi concittadini.

Andrea Ferraris ne La lingua del diavolo ci restituisce una storia amara, nella quale ogni personaggio è perdente.
La pervicacia di Turi (Salvatore) è talmente cieca da rendere ottusi e ossessivi i suoi comportamenti, fino alla derisione generale dell’intera Sciacca; ostinato al punto da perdere tutto, finanche se stesso. Al contempo il fratello Vincenzo, unico personaggio del volgo a costruirsi nell’arco del racconto un minimo di istruzione, a seguito del lento deterioramento del rapporto con il fratello e della presa di coscienza dell’impossibilità di riscatto sociale, manifesta il desiderio di anonimato in un luogo “al nord” nel quale poter ricominciare scrollandosi di dosso la “puzza di pesce”.

Entrambi ricercano un modo per affrancare se stessi e la propria povertà in una terra che risulta loro doppiamente ostile: se da un lato il lavoro fisico è duro e lascia in tasca solo pochi spiccioli, dall’altro lo stigma sociale è talmente forte da non lasciare spiragli a un’affermazione di sé diversa da quella ormai diffusasi nel paese – anche a seguito di una ereditarietà familiare di cui Turi e Vincenzo si fanno portatori.

Ma è perdente anche una terra che, con i suoi abitanti, non è in grado di far fronte comune per comprendere il fenomeno e difenderlo, schiacciati dal peso dell’ignoranza e della religione.
Perdenti sono anche i sentimenti che, come il più verista dei romanzi, soccombono al potere o, come nel caso dei due fratelli, portano a reciproche azioni scorrette che disgregano un rapporto che inizialmente ci viene presentato come piuttosto profondo e solidale.
Perdono anche gli ideali, la giustizia.

La frana finale del vulcano rappresenta l’allegorica disgregazione di tutto ciò per cui Turi aveva lottato ostinatamente, per cui era sceso a patti con l’oppressore straniero.

Il modo in cui lentamente Ferraris tratteggia un mondo chiuso e arroccato nelle proprie tradizioni e ignoranza, negli stereotipi, è magistrale. Si serve di testi asciutti, spesso vernacolari, lasciando il ruolo centrale della narrazione ai disegni che risultano ancora più “nervosi”, sgraziati e scuri che in Churubusco; predilige inquadrature il più possibile ravvicinate sui volti altamente espressivi dei persona ggi, spesso scarne negli sfondi.

I campi medio-lunghi restituiscono invece scenari contrastanti: da un lato l’asprezza e l’aspetto selvaggio dell’isola, dall’altro un mondo mitico, quasi perso nel tempo, di un racconto marinaresco. Questa perizia gli permette di ridurre al minimo l’intervento del testo, comunque ben scritto e mai pedante o didascalico, restituendoci un potentissimo fumetto fatto di silenzi, che aumentano l’empatia del lettore attento.

Un fumetto che fa emergere ancora una volta le qualità di narratore dell’autore, non solo nella realizzazione, ma anche nella ricerca di storie generalmente poco conosciute, che meritano di essere (ri)scoperte e che, come spesso accade, sono veicolo di valori universali.

Abbiamo parlato di:
La lingua del diavolo
Andrea Ferraris
Oblomov edizioni, 2018
232 pagine, brossurato, bianco e nero – 20,00 €
ISBN: 978-88-85621-37-4

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