La distopia in Ministero di Barreiro e López: un incubo spaziale e sociale

La distopia in Ministero di Barreiro e López: un incubo spaziale e sociale

Elisabetta Di Minico ricercatrice universitaria, usa provocatoriamente distopia e fantascienza per spiegare storia e società. Dal suo libro "Il futuro in bilico" (Meltemi) pubblichiamo un estratto su "Ministero", fumetto di Ricardo Barreiro e Francisco Solano López.

Elisabetta Di Minico è una ricercatrice universitaria in Storia Contemporanea. Nel suo libro Il futuro in bilico, edito dalla Meltemi, analizza gli aspetti distopici del controllo sociale, politico e culturale, dalla fine del XIX sec. all’attualità, sviluppando uno studio inter- e multi-disciplinare che abbraccia la storia, la letteratura, la filosofia, la sociologia e la psicologia. E, non ultimo, il fumetto, da V per Vendetta a Give Me Liberty. Pubblichiamo un estratto dal suo libro in cui viene analizzato Ministero, opera di Ricardo Barreiro e Francisco Solano López.

Il fascino “oscuro” della distopia

Distopia e Controllo – Opera di Dario Tallarico

La distopia è quel terrificante e significativo genere che descrive i peggiori dei mondi possibili. Ci trasporta in realtà spietatamente totalitarie, fantascientificamente apocalittiche, eugeneticamente devastate, desentimentalizzate, misogine, brutalmente consumistiche o visceralmente dominate da pubblicità e apparenza (solo per citare alcuni esempi).

A un’attenta analisi, però, la caratteristica che colpisce di più di queste società non è tanto il loro essere incubi, quanto il non essere semplici invenzioni. Esse rappresentato, infatti, una versione estremizzata e teatralizzata della nostra contemporaneità. Attraverso la distopia, scrittori, fumettisti, registi e artisti mostrano provocatoriamente dove possano condurre alcune ideologie e azioni pericolose, sconsiderate o repressive della nostra epoca.
Uno dei filoni più interessanti di tale genere è quello socio-politico, il quale spiega il potere, le sue ragioni e i suoi sistemi in maniera emotivamente più travolgente di quanto facciano i libri di storia, come 1984 di Orwell, Fahrenheit 451 di Bradbury o V per Vendetta di Moore e Lloyd (giusto per citare pochi esempi) ci ricordano con dolore.

Le società raccontate dalla distopia socio-politica sono fortemente sorvegliate e gerarchizzate, e ritualizzano i processi politici. Al loro interno, si muovono popolazioni spersonalizzate e manipolate. Il potere prolifera usando sorveglianza, paura, staticità e uniformità perché, per sopravvivere, governare ed evitare ribellioni, ha bisogno non solo di corpi “utili e docili”, citando Foucault, ma di individui esteticamente ed ideologicamente simili. Per raggiungere il suo scopo, l’autorità organizza rigidamente gli spazi, espressione perfetta della sua grandeur, e sfrutta sottomissione linguistica, culturale e psico-fisica per plasmare il suo corpo sociale.

Per poter reprimere il diverso, infatti, bisogna costruire prima l’omologato. Geografia e conoscenza divengono, quindi, fattori politici, sociali ed economici, finendo per riflettere la comunità cui appartengono: se il contesto è infetto, esse incarneranno ed esaspereranno l’infezione.

Ingiustizia e spazio nel Ministero

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Uno degli esempi fumettistici più brillanti e, allo stesso tempo, meno noti di distopia socio-politica è Ministero (titolo originale: Ministerio), una graphic novel realizzata dal sensibile genio di sue artisti argentini, lo sceneggiatore Ricardo Barreiro e il disegnatore Francisco Solano López, mondialmente noto per il fumetto cult L’Eternauta.

Ideata in una data simbolo della distopia, ossia nel 1984, l’opera trasporta il lettore in un mondo post-apocalittico, in una realtà autarchica ed ermeticamente chiusa rispetto a un esterno contaminato e velenoso, in un grattacielo di cinquemila piani, detto appunto Ministero, dove regna dispoticamente la cosiddetta Gerarchia, un governo di tipo corporativo. Qui, l’esigua parte dell’umanità sopravvissuta a un disastro atomico vive secondo rigide regole e divisioni: gli impiegati di tutti i livelli, dagli inservienti ai responsabili di settore, dagli ascensoristi alle segretarie, risiedono, mangiano e muoiono nei piani inferiori, mentre, in quelli superiori, una crudele élite ordina e dirige l’intero complesso.

Il protagonista e accidentale istigatore di rivolta è l’apprendista factotum Carlos Pibe, un sedicenne un po’ distratto e trasognato, innamorato di Susanna, una giovane centralinista del Dipartimento Telefonico. Proprio il giorno in cui invita la ragazza per un appuntamento, una squadra del Servizio di Sicurezza, fa irruzione nel call center e rapisce tutte le donne giovani e in buone condizioni fisiche, Susanna compresa.
Le prigioniere sono divise in due gruppi e drogate con delle sostanze immaginarie. Quelle sedate e ammansite con il neometadone vengono portate nella Sezione Omega, un reparto in cui i membri più anziani e malati della casta sono tenuti in vita artificialmente. Attraverso un procedimento di “trasferimento”, un inquietante dottore riesce a risucchiare la vita alle ragazze e trasferirla nei corpi raggrinziti e agonizzanti dei degenti, ridando loro energia. Le sfortunate cui viene iniettato l’eroxilibidinol, invece, divengono schiave sessuali dei gerarchi.

Quando Carlos, disperato, scopre che il suo amore è stato sequestrato, acquista coraggio e organizza un’operazione di salvataggio, che si trasforma ben presto in furente vendetta e preludio di rivolta. Mentre egli “scende pericolosamente, immerso in ignote oscurità, allontanandosi sempre più dalla sua bella sventurata, paradossalmente in cerca di armi con cui poterla salvare”, infatti, Susanna viene consegnata nelle mani del “mostruoso Sovrintendente Generale, onnipotente padrone e signore” dell’iperbolico grattacielo. Non più vittima dell’effetto della droga, piuttosto che essere toccata dal rivoltante leader, si suicida gettandosi dalla finestra e il suo corpo esangue viene scoperto da Carlos, che impazzisce di dolore e rabbia.

Carlos ha appena perduto la sua principale ragione per raggiungere i piani proibiti, ma ne ha guadagnato una nuova: l’odio per la gerarchia. Le armi non serviranno a salvare Susanna, ma almeno saranno utili per vendicarla (p.47).

Dopo rocambolesche avventure, l’incontro con dei cyborg, scioccanti rivelazioni e scoperte, e l’aiuto di un furetto onnisciente, la storia si conclude con un lieto fine dal sapore amaro. Il fronte di liberazione vince e la Gerarchia è sconfitta. A un anno di distanza, assicuratesi che l’epidemia esterna sia finita, le persone recluse nel Ministero fanno esplodere le porte ed escono, dopo decenni, alla luce del sole. Carlitos, con in braccio il simpatico furetto, però, non è sereno. La sua lotta è stata una sorta di viaggio iniziatico di stampo medievale: ha dovuto superare diverse prove, scender negli inferi e riscoprire verità celate, prima di poter raggiungere la vetta e liberare la sua comunità. Pur essendo felice della vittoria, però, continua a pensare alle vittime che la smania di potere ha lasciato dietro di sé, nell’oscuro grattacielo.

Repressione e controllo, tra fantasia e storia

Con sapiente, inquieto e appassionato acume, inoltre, l’ultima pagina del fumetto nasconde una drammatica riflessione metaletteraria: il disegnatore raffigura se stesso impegnato a terminare il suo lavoro, ma l’esultanza per il completamento dell’opera, tutto sommato positiva, viene tristemente soffocata dalla realtà del suo quotidiano. L’uomo si affaccia alla finestra dell’appartamento e osserva le violenze commesse da alcuni esponenti delle forze dell’ordine contro dei manifestanti. Lo sguardo, disilluso e dolente, di Carlos è, ora, lo stesso dell’autore. La distopia rompe gli schemi della fantasia e invade la realtà.

I confini tra immaginario e storico, a volte, appaiono sfocati, ma osservando più da vicino le fattezze dell’autoritarismo, i segnali dell’involuzione antidemocratica sono ben visibili e riconoscibili anche nella società contemporanea e, in un contesto come quello argentino, straziato da decenni di oppressioni, abusi e violazioni dei diritti umani, essi appaiono ancora più tragicamente desolanti, impossibili da non assimilare a livello culturale.

Durante il drammatico Processo di riorganizzazione nazionale, dal 1976 fino al 1983, infatti, l’Argentina è straziata da Jorge Rafael Videla e dai vari dittatori che si susseguono alla guida del paese, dove si piangono decine di migliaia di morti e desaparecidos e dove lo stupro diviene una “regolare” arma di guerra contro i corpi delle donne che si oppongo alla dittatura. Tra il 1976 e il 1977, lo stesso collega e amico di Solano López, Héctor Oesterheld (che scrive L’Eternauta), e le sue quattro figlie, due delle quali incinte, sono vittime dello spietato regime di Videla. Ministero è dedicato a loro e a tutte le vittime del potere violento, distopico non solo nella finzione.

Grazie ad una trama avvincente e a dei disegni incisivi e intensi, il fumetto riesce perfettamente a trasmettere il senso depravato e insano della politica dell’odio e della sopraffazione, magistralmente presentata nei capolavori del genere, come 1984 o V per Vendetta. I temi trattati, con profondo impatto emotivo e sferzante e duro realismo, acuiti dall’enfasi senza censura tipica del fumetto, spaziano dal controllo psicologico e fisico della popolazione alla manipolazione dell’informazione e del passato, dalla propaganda all’eugenetica, dalla somministrazione forzata di droghe al barbaro uso della lobotomia, dal Nazismo alla tormentata storia argentina, passando per una velata critica all’imperialismo americano.

La percezione che gli inquilini del Ministero hanno della realtà in cui sopravvivono è completamente alterata dalla propaganda. La popolazione è indottrinata con nozioni filo-governative, è docile e accondiscendente, tendenzialmente innocua, talmente inavveduta da non rendersi neanche conto di essere parte di un raccapricciante allevamento umano, una mera fonte di sostentamento, a livello alimentare, energetico e, per il genere femminile, sessuale, dell’autorità. È convinta di far parte di una fascia privilegiata della società e di lavorare per il mondo esterno, ma, in realtà, le sue occupazioni sono solo un mezzo come un altro che la Gerarchia sfrutta per mantenere il controllo su di essa, limitandone pensiero e possibilità di resistenza e ribellione.

Secondo i cyborg, i sociologi ideatori del Ministero hanno pensato che una parvenza di lavoro, una forma di distrazione ci avrebbe resi più mansueti e controllabili…Mantenerci costantemente occupati…Si, non c’è niente di più pericoloso dell’ozio, dà tempo per pensare e capire…E la gerarchia non vuole che pensiamo. La nostra funzione è di alimentarli e prolungare la loro vita. Ha bisogno che siamo forti, giovani e docili, non intelligenti (p.78).

Del resto, la dittatura si consolida quando il popolo è incosciente e ignorante e coloro che governano il Ministero, perfetti esempi dell’autoritarismo, sono riusciti ad annullare le libertà personali e ad asservire cultura e istruzione, tanto da modificare in toto la storia dell’intero pianeta pur di giustificare la loro supremazia. Attraverso i racconti di alcuni cyborg, che gettano luce sulle tecniche di manipolazione e lavaggio del cervello usate dalla Gerarchia, scopriamo, ad esempio, la vera storia del Ministero, ben diversa da quella propagandistica, edulcorata e decontestualizzata imparata a scuola da tutti gli abitanti dell’imponente struttura come fosse una cantilena, che recita:

Fuori la vita è dura e difficile. Solo il Ministero è ordine e progresso. Il Ministero ci protegge. Siamo privilegiati discendenti degli impiegati-fondatori. Solo il lavoro redime. Non c’è nulla di più giusto degli Statuti Organici, eccetera eccetera… (p.73).

Alla fine del XX sec., una devastante guerra atomica riduce in macerie l’intero globo e stermina un’altissima percentuale del genere umano. I superstiti devono fronteggiare, in più, una letale epidemia di AIDS, il cui virus, modificato dalla radioattività dell’aria, è diventato una piaga inarrestabile. Lo Stato Maggiore della Corporazione, il nuovo governo assolutista a capo della Terra post-atomica, per proteggersi dalla contaminazione e prepararsi a reggere l’intero pianeta, ordina quindi la realizzazione di

un gigantesco grattacielo di 5.000 piani e 15.000 metri di altezza, possibile solo grazie ad un nucleo galleggiante di keular (magnesio e duralluminio), pieno di elio ad alta pressione per alleggerire i titanici carichi strutturali (p.75).

L’antisettico e colossale edificio viene costruito nell’estremo sud del mondo, orientativamente nei pressi di Ushuaia, nell’argentina Terra del Fuoco. La popolazione rimasta all’esterno, però, nell’arco di 20 anni, si estingue completamente e l’élite della Corporazione deve abbandonare l’idea di poter riorganizzare un governo all’aria aperta. Ciò che rimane dell’intero globo è ormai rinchiuso coattivamente in un gigantesco grattacielo.

La vita all’interno del Ministero trascorre relativamente ordinata, ma, in poco tempo, la progressiva mancanza di cibo spinge i dipendenti all’insurrezione. I disordini vengono facilmente contenuti e soffocati, seppur provocando la chiusura dei primi mille piani inferiori. Per ovviare alla penuria alimentare e riequilibrare le proteste originatesi, riconsegnando nuovamente al potere il suo pesante giogo, si mette in atto il piano Karamazov: tutti gli abitanti sono avvelenati, ad eccezione dei minori di 4 anni. I bambini, infatti, divengono burattini nelle mani del governo, che può così plasmare una società futura completamente priva di conoscenza e coscienza.

I bambini, che erano rimasti rinchiusi nei nidi d’infanzia durante il genocidio, furono educati alla cieca obbedienza agli Statuti Organici. Così, a partire da una generazione senza memoria, la Gerarchia modellò a suo piacimento il profilo psicologico di coloro che erano destinati a diventare dei perfetti impiegati-schiavi (p.76).

Ultimo disgustoso dettaglio: per sopperire alla scarsità di prodotti, si inizia ad aggiungere al cibo coltivato negli orti idroponici la carne umana, usando gli ignari lavoratori del grattacielo come alimento base per la mensa. Gli impiegati promossi e trasferiti dal piano 3500 al 5000, ad esempio, finiscono, in realtà, stritolati in un ascensore che funziona come un frantoio-macina.

Il potere dei “luoghi cattivi”

L’analisi sull’autorità, in parte eccessivamente semplificata ed esagerata, appare comunque spiazzante: il male che infetta la Gerarchia è “banale”, per usare un aggettivo caro alla celebre filosofa e storica Hannah Arendt, e, proprio per questo, ancora più ferocemente efferato, quasi illogico, dettato principalmente da perversione e sadismo. Esso è in grado di imparare da correnti politiche avverse, ma dotate dello stesso potenziale fattore di disfacimento e prevaricazione, perché “il fine del potere è il potere”, come sostiene O’Brien in 1984. Non importa il colore dell’ideologia, solo il controllo.

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Il Sovrintendente Generale, che considera se stesso un Superuomo – orgoglioso risultato condensato di millenni di atrocità ed efferatezza -, ritiene suoi grandi maestri tanto Attila e Gengis Khan, quanto Hitler e Videla. Egli è un’emanazione del potere carismatico analizzato da Max Weber, un profeta in grado di attrarre le masse e soggiogarle con la retorica. È una versione futuristica del Grande Inquisitore descritto da Dostoevskij ne I fratelli Karàmazov (1879-1880), un oscuro personaggio che, come gran parte dei capi distopici, tra cui l’immortale Grande Fratello, giudica sopravvalutata la libertà e confonde obbedienza e felicità sociale.

Non mancano, comunque, accenni polemici anche contro il capitalismo e gli Stati Uniti. I soldati del Servizio di Sicurezza, ad esempio, non sono veri uomini, ma androidi clonati e cresciuti in provetta, creati da un dottore appellato come Herr Docktor, per obbedire e reprimere senza remore. Pur essendo ispirati al reparto emblema della furia nazista, le SS, essi sono, però, modellati in base alle fattezze di Superman, il quale, fin dalla sua “nascita” per mano di Jerry Siegel e Joe Shuster nel 1938, è assurto, nell’immaginario collettivo, a eroe americano e mondiale per eccellenza. In Ministero, invece, il celebrato Clark Kent diviene

un tristo individuo, famosissimo nei tempi passati, un essere malvagio che imponeva i suoi capricci grazie alla sua forza sovrumana (p.44).

Uno degli aspetti più interessanti di Ministero è l’analisi sullo spazio come elemento fondante dell’incubo. Nella maggioranza dei generi letterari, fumettistici e cinematografici, un’attenta contestualizzazione spaziale serve a enfatizzare la trama. Questo è assolutamente vero anche per la distopia perché, nei “luoghi cattivi”, il background della storia non è solo un dettaglio scenico. Edifici, monumenti e luoghi pubblici divengono agenti dell’autorità. L’apparato distopico si impone anche attraverso le costruzioni, che acquistano implicazioni profondamente simboliche.

Come spiegato dallo storico George Mosse riguardo all’architettura nazista, lo spazio è una componente primaria del potere perché la maestosità urbana può trasmettere la forza e la severità del comando, intimidendo la popolazione, drammatizzando la divisione tra governanti e governati e stimolando la partecipazione emotiva della massa alla teatralizzazione politica. Il macrocosmo chiuso e impenetrabile del Ministero e la sua suddivisione incarnano materialmente e metaforicamente le ingiustizie, i conflitti e gli abusi perpetrati all’interno del vertiginoso palazzo.

La tirannica dominazione della Gerarchia è spaziale e mentale e, specchio del contrasto sociale, gli ambienti sono rigidamente divisi in base alla classe degli abitanti: i potenti, spensierati e malvagi, vivono in alto, mentre i lavoratori sfruttati sono quasi letteralmente sotto i piedi dei loro padroni, come già accaduto nelle città ultra-meccanizzate de Il risveglio del dormiente, romanzo di G.H. Wells del 1898, e di Metropolis, film capolavoro dell’espressionismo di Fritz Lang del 1927.

Un simile discorso viene affrontato anche nel fumetto francese Snowpiercer (Le Transperceneige, 1982-1984) di Jacques Lob e Jean-Marc Rochette e nel film da esso tratto, Snowpiercer (2013), del regista coreano Bong Joon-ho. Qui, però, la dominazione tirannica segue un ritmo orizzontale e non verticale. Nel 2031, in una Terra sconfitta da una nuova glaciazione provocata da esperimenti scientifici, i pochi sopravvissuti alla catastrofe abitano su un treno “miracoloso e autosufficiente”, che, alimentato da un motore a moto perpetuo, percorre annualmente il giro del mondo.
Negli innumerevoli vagoni che lo compongono, pullula un’umanità discorde e inconciliabile, brutalmente divisa in classi. In coda al treno sopravvive a stento la terza classe, povera, sfruttata e umiliata come le anime sventurate che accalcano i racconti di Charles Dickens, mentre in testa domina una spensieratamente feroce élite.
Nel film, un gruppo di ribelli della terza classe, guidati da Curtis, prova, però, a raggiungere la locomotiva per mettere fine all’oppressione che regna nello Snowpiercer, un microcosmo composto a sua volta da microcosmi. Ogni vagone è un mondo a sé e si differenzia dagli altri visivamente e narrativamente. L’andamento della trama è quasi da videogioco e ogni carrozza segna un diverso livello, anche allegorico, di avanzamento “orizzontale” della lotta.

Un’altra opera con cui Ministero rivela un interessante contatto è la distopia urbana de Il condominio (1975) di J.G. Ballard. Il decadente palazzo descritto dall’autore è molto simile al Ministero di Solano López e Barreiro: al suo interno vive una comunità sostanzialmente autosufficiente di circa 2000 persone, la quale, al contrario dei protagonisti del fumetto argentino che cercano un riscatto, è destinata, in accordo al profondo pessimismo dello scrittore inglese, a sprofondare in una spirale di deterioramento psico-fisico irreversibile, quasi parallela a quello strutturale dell’immobile.

Il Futuro in bilico. Immagine di copertina: La Distopia – Grazia La Padula

L’umanità non perde l’utopia, non smarrisce il suo “buon luogo” solo nelle dittature o nelle zone di guerra e il controllo non sfrutta sempre e solo paura, odio e violenza. Esalta anche il benessere e il piacere per manipolare e sorvegliare la società, falsifica la felicità e distrugge il pensiero critico, la dialettica e la contraddizione, nell’intento di annullare le dimensioni dissidenti.
Per chi non si allinea, perché diverso, estraneo o ribelle, infatti, non c’è posto né nelle distopie cupe e dominanti, né in quelle più positive e suadenti. Come ci salviamo dall’incubo?

Ministero ci insegna che la realtà non si risana solo attraverso la rivolta: le prime armi per sconfiggere il potere distopico sono la consapevolezza e la cultura.

Abbiamo parlato di:
Ministero
Ricardo Barreiro, Francisco Solano López
001 Edizioni, 2008
96 pagine, brossurato, bianco e nero – 13,00 €
ISBN: 8895208730

* L’articolo esprime in maniera molto sintetica alcuni argomenti analizzati ne Il futuro in bilico, saggio di Elisabetta Di Minico sulla distopia e sul controllo nella finzione e nella storia, disponibile sul sito dell’editore: www.meltemieditore.it/catalogo/il-futuro-in-bilico

2 Commenti

1 Commento

  1. Arturo Fabra

    15 Marzo 2019 a 08:14

    Un articolo davvero soddisfacente. Comprerò il fumetto. Grazie a lei e alla redazione.

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