Zahra’s Paradise, i figli perduti dell’Iran: intervista a Amir e Khalil

Zahra’s Paradise, i figli perduti dell’Iran: intervista a Amir e Khalil

Amir e Khalil sono due pseudonimi dietro cui si celano un giornalista iraniano-americano e un disegnatore di fumetti arabo. Zahra's Paradise, la serie a fumetti pubblicata inizialmente sul loro blog, è diventata immediatamente un caso al di fuori dei confini dell'Iran.

La settima edizione del Komikazen, il Festival internazionale del fumetto di realtà che si tiene dal 9 al 13 novembre tra Ravenna e Bologna apre col botto.
Ospiti speciali gli autori Amir e Khalil con il fumetto Zahra’s Paradise le cui tavole originali saranno esposte per la prima volta in Italia fino all’11 dicembre al MAR Museo d’arte della città (Ravenna, via di Roma, n.13).
Amir e Khalil sono due pseudonimi dietro i quali si celano un giornalista e documentarista iraniano-americano e uno scultore, ceramista e disegnatore di fumetti arabo. Zaharàs Paradise, la serie a fumetti pubblicata inizialmente sul loro blog, è diventata immediatamente un caso al di fuori dei confini dell’Iran. Il fumetto è stato tradotto in otto lingue ed è pubblicato in Italia da Rizzoli Lizard. La storia ambientata nel 2009 dopo le elezioni-truffa in Iran racconta della scomparsa nel nulla di Mehdi e del coraggioso viaggio della madre e del fratello alla ricerca del ragazzo perduto.

Ciao Amir e Khalil è la prima volta nella mia vita che mi trovo a intervistare persone coperte da uno pseudonimo, perchè dovete nascondere la vostra identità?
Amir: Khalil e io abbiamo cercato di mantenere la libertà di creare e pubblicare senza doverci censurare. E non abbiamo voluto causare inutili preoccupazioni ai nostri amici, alla nostra famiglia, all’editore. Abbiamo così deciso di spostarci sul versante della prudenza. Ma ciò che è molto più importante della nostra identità è la solidarietà con i prigionieri politici della prigione di Evin. Sono loro a essere in pericolo. Loro e le loro mogli sono anche i leader dell’opposizione in Iran. Preoccupiamoci di loro.

Com’è nata l’idea di Zharàs Paradise e come avete lavorato per svilupparlo?
Amir: Khalil e io ci siamo conosciuti quando io ero ancora un giornalista e abbiamo scoperto di avere un vecchio amico in comune. In seguito, quando ho visitato il suo studio, sono rimasto affascinato dalla sua opera: la sua scultura, le sue ceramiche, i suoi disegni mi hanno toccato molto profondamente. In sua presenza mi sono sentito immediatamente ispirato e ho percepito un profondo legame umano di fiducia e riconoscenza, come se avessimo riscoperto assieme un luogo e un’epoca perduti da molto tempo. Non ci abbiamo messo molto a diventare “cospiratori”.
L’idea del nostro graphic novel è scaturita dalla storia vera di una madre di Teheran che perse il proprio figlio durante l’enorme manifestazione di protesta a seguito delle elezioni del giugno 2009. Ma, anziché rendere Zahra’s Paradise la vera storia di questa donna e suo figlio, noi abbiamo scelto di farne una versione romanzata per evitare di mettere a rischio questa donna e la sua famiglia e anche per essere maggiormente liberi di drammatizzare la vicenda in modo più agile.

Lo stile del vostro fumetto mi ha ricordato quello un po’ retrò di Will Eisner e più in generale agli anni ’60? Vi siete ispirati a lui o a qualcun altro?
Khalil: È sempre lusinghiero per me sentire che Will Eisner è in qualche modo filtrato nel mio stile grafico, dato che io adoro il suo lavoro, sia per ciò che concerne i disegni, sia per la potenza narrativa delle sue trame. Comunque sono sempre sorpreso di sentire questa osservazione, dato che questa somiglianza è del tutto inconscia da parte mia. Può darsi che abbiamo soltanto delle naturali affinità di stile? Io non penso mai a The Spirit di Will Eisner mentre disegno, ma è una delle mie opere a fumetti preferite, davvero. Ci sono molti altri grandi artisti che mi hanno influenzato ben più consapevolmente (Hugo Pratt, Jean Giraud, Hergé, André Franquin etc…), ma il mio stile è molto diverso dal loro e pertanto non può essere paragonato. È interessante che, nonostante io da bambino sia cresciuto coi fumetti europei, venga accostato agli autori americani, dopo aver vissuto negli Stati Uniti tutta la mia vita da adulto. I miei strumenti americani e il mio inchiostro americano hanno forse dato al mio lavoro un accento americano? D’altra parte io sono influenzato anche dai fumetti nordafricani, dalla pittura e dalle miniature persiane.

Sono rimasta sbalordita dalla bellezza di alcune grandi tavole che prendono una pagina intera da chi è nata l’idea di questa soluzione visiva?
Khalil: Grazie. Questa impostazione grafica mi è stata dettata dal dramma della storia che raccontiamo in Zahra’s Paradise. Ho sentito la necessità di rompere con le gabbie e le cornici tradizionali per trasmettere i sentimenti profondi e stranianti che la situazione in Iran mi ispira. Amir è stato molto bravo a fornirmi una gran quantità di dettagli giornalistici per descrivere vividamente cosa stia succedendo laggiù ed è stato mio preciso compito cercare di sistemare tutta questa mole di informazioni in un modo conciso e drammatico e tentare di catturare in termini visuali l’essenza del messaggio in un modo indimenticabile.

Ultimamente sempre di più il fumetto viene usato come veicolo per autobiografie o storie con forti temi sociali, secondo voi è un caso? Voi perchè avete scelto il fumetto?
Amir: Da regista di documentari, ho sempre trovato davvero difficile catturare una storia attraverso la videocamera. È complicato e molto costoso. Con Khalil tutto è diventato diverso. Lui è capace di ricreare un’intera storia con una semplice matita. Una matita! Vuoi Teheran? Ecco Teheran! In pochi secondi. Nessuna videocamera, nessun elicottero. In Khalil io ho trovato molto più di un collaboratore: un modo di trasformare l’immaginazione in realtà, attraverso il suo lavoro. Qualunque cosa noi immaginiamo assieme, il risultato finale quasi sempre supera quel che abbiamo escogitato.

Il web e i social network sono protagonisti nel vostro fumetto, qual è il ruolo oggi delle nuove tecnologie, dei social network nel mondo arabo?
Amir: L’Iran ha una delle blogosfere più attive del mondo. Secondo alcune stime ci sono oltre 700.000 blog in lingua persiana, cosa che rende l’Iran il terzo maggior Paese per numero di blogger dopo gli Stati Uniti e la Cina. Fuori dall’Iran molti dei massimi dirigenti di Google, Ebay, Yahoo e Oracle sono iraniani, quindi qui non c’è mancanza di talento e risorse quando si tratta di padroneggiare la tecnologia. Infatti l’Iran ha alcuni tra i migliori hacker al mondo. Loro non soltanto mandano brividi lungo la schiena degli Ayatollah, ma, quando la Cina ha appoggiato la repressione di Ahmadinejad, anche lei è stata hackerata. Durante le proteste gli iraniani non soltanto sfuggivano alla cattura servendosi di software anti censura, di filtri e cose simili, ma usavano la rete per pubblicare nomi, immagini e indirizzi degli assassini responsabili delle atrocità per le strade di Teheran. Si potrebbe anche ricordare la forza delle vecchie care macchine Xerox a bassa tecnologia. Una singola vignetta o un’immagine può circolare in tutto l’Iran, questione di minuti.
E questo Iran virtuale si estende in tutto il mondo, e include molti non iraniani, così rompe con il paradigma della tribù e del territorio. Non è possibile che un solo governo lo controlli.

Secondo voi l’immagine che arriva in occidente dell’Iran e più in generale del mondo arabo è veritiera, reale?
Khalil: È un’immagine che è ampiamente distorta ed esagerata. In tutto il mondo ci sono combriccole violente, spregevoli e affamate di potere e individui disposti sacrificare il loro stesso popolo e il proprio Paese per ambizioni personali. Il mondo arabo (e iraniano) non fa eccezione, sfortunatamente. Ma ridurre un’intera cultura agli stereotipi di violenza e odio, come fanno molti media occidentali, è discriminante e pericoloso. Io e Amir siamo sempre stati molto sensibili a stereotipi tanto negativi e, nel nostro piccolo, cerchiamo di correggere queste distorsioni nel nostro lavoro. In Zahra’s Paradise, è chiaramente un governo fascista e teocratico che denunciamo, non un intero popolo o una fede.

Personalmente penso che se vivessi in Iran vorrei solo scappare via come hanno fatto molti artisti (penso a Marjane Satrapi). Qual è stata la vostra scelta?
Amir: Ho lasciato l’Iran quando avevo dodici anni, quasi un anno prima della rivoluzione del 1979. Non è stata una mia scelta. Dopo il suo ritorno in Iran, l’Ayatollah Khomeini insediò una corte rivoluzionaria presieduta dal sanguinario giudice Ayatollah Khalkhali. Ecco quando è cominciato il regno dei terrore. I rivoluzionari iniziarono a giustiziare migliaia di persone bollandole di mofsid fil-ard (diffusione di corruzione sulla terra) e come moharebs (nemici di Dio). Migliaia di iraniani furono uccisi senza evidenza di colpa, senza prove, semplicemente in virtù di un’accusa. Fu una sorta di moderna Inquisizione. Lo Stato divenne uno strumento di persecuzione religiosa e politica. E questo fu l’inizio di un massiccio esodo che continua fino a oggi.

Quale messaggio volete lanciare e a chi si rivolge il vostro fumetto?
Amir: Zahra’s Paradise è un lavoro collettivo, un collage che ha molti autori e artisti. Pertanto il vero medium non è la nostra penna o la nostra carta, ma la carne e il sangue di milioni di persone che hanno rischiato la vita per reclamare il passato e il futuro dell’Iran. Sono loro che documentano la realtà sul territorio, non noi. Se possiamo vedere il riflesso del loro Iran, questo barlume di speranza, coraggio e nobiltà che ispira un’intera generazione in giro per il mondo, è attraverso l’amore, la vita e la luce catturata e rilasciata tramite i loro telefoni cellulari. E questi momenti di protesta sono stati essi stessi il culmine di decenni di resistenza e hanno portato con sé il sogno, la dignità e la promessa di generazioni che tornino indietro alla Rivoluzione Costituzionale iraniana del 1906, se non prima. Quindi, come con ogni opera d’arte, noi riconosciamo che Zahra’s Paradise prende la sua forza e la sua potenza dal prezzo di un debito che ci lega ai sacrifici di chi è vivo e morto, i dissidenti la cui riflessione è persa dietro le mura della prigione di Evin.

Riferimenti:
Zahràs Paradise, il blog: www.zahrasparadise.com

 

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