Kingdom: la poesia diventa fumetto

Kingdom: la poesia diventa fumetto

Kingdom è un racconto di disarmante semplicità sulla quotidianità di una famiglia in vacanza, che emoziona e coinvolge nel segno dei ricordi e della malinconia.

Che di Jon McNaught in Italia si sia parlato poco è evidente, ed è un peccato. L’unica apparizione è stata al Treviso Comic Book Festival che gli ha dedicato una mostra commissionandogli la realizzazione del manifesto per l’edizione 2019. Ciò nonostante di lui nel nostro Paese non si ha ancora un’opera pubblicata. Questo mentre autori affermati come Stephen Collins e Seth ne celebrano il talento. Nulla di cui meravigliarsi, l’autore canadese di Clyde Fans ha dovuto aspettare ben dieci anni per vedersi pubblicato nel Bel Paese (da Coconino nel 2003) La vita non è male malgrado tutto. E non è un caso che, come Seth, anche lo stile di McNaught sia improntato a una narrazione del reale che racconta il quotidiano evitando, nello sviluppo della trama, sia l’esposizione, che permetterebbe al lettore di partecipare della storia, sia il conflitto, che di questa farebbe da motore. Non c’è spazio per il dramma o l’azione, i suoi spaccati di vita sono piuttosto riflessioni sugli stati d’animo la cui peculiarità risiede nel continuo gioco di contrasti e connessioni tra il mondo naturale, popolato di animali, e quello artificiale abitato dall’uomo.

Jon McNaught è inglese, laureato presso la UWE di Bristol, e per diversi anni si è dedicato esclusivamente a illustrazioni di paesaggi, spesso collocati all’interno di città, con l’intenzione di catturare il senso di spazio, della luce e perfino lo scorrere del tempo. Quello che però un’immagine, per quanto artistica e ricercata, non riuscirà mai a cogliere è quello che alla vista sfugge. E stiamo parlando dei suoni, dal cinguettio degli uccelli ai clacson del traffico. Elementi che per McNaught sono essenziali nella rappresentazione dell’ambiente, capaci di renderlo più vivido e reale. Ecco dunque spiegata la sua trasformazione da semplice illustratore a fumettista.

copertinaGià nella copertina di Kingdom, pubblicato da Nobrow nel 2018, appaiono molti degli elementi che caratterizzano la sua produzione. Un gabbiano è appollaiato su un pallet incastrato su una scogliera. Anche in questo caso uomo (il pallet in legno) e natura (scogliera e gabbiano) coesistono in armonia. Un’armonia suggerita da una scelta dei colori che mimetizza l’umano nel naturale (il pallet sfugge a una prima distratta occhiata e appare come parte della scogliera stessa). Un secondo tratto distintivo del suo stile è costituito dal continuo ricorso alla transizione tra vignette del tipo da-aspetto-ad-aspetto (si veda il manuale Capire, fare e reinventare il fumetto di Scott McCloud). McNaught focalizza l’attenzione su diversi aspetti di un luogo in sequenze esclusivamente contemplative, zoomando sui dettagli. Il tempo è congelato mentre lo sguardo si sposta alla scoperta di tutto quanto in grado di produrre suoni e rumori.

L’autore come Haugomat, che a lui si è detto ispirato per il bellissimo Nello spazio di uno sguardo, si sofferma su particolari all’apparenza insignificanti quali, ad esempio, il calendario dei turni di pulizia in un bagno di un autogrill o il portaombrelli in un museo, e non è solo per esigenze di realismo: la sua arte è tesa a voler tradurre l’ordinario in straordinario invitando il lettore, anziché a una comprensione, a una contemplazione dell’opera. Va sottolineato che questa predilezione per la rappresentazione dei paesaggi si scontra con una certa ingenuità nella caratterizzazione dei personaggi, soprattutto nelle mimiche facciali. Ne risultano volti spesso impassibili, che contribuiscono a subordinare il ruolo dei personaggi a quello degli ambienti in cui si vengono a trovare.

Lo scarso impiego di parti dialogate e testi, oltre a una scarsa fiducia nei suoi mezzi1 da parte dell’autore che, ricordiamolo, nasce artisticamente come illustratore, risponde a un tentativo peraltro riuscito di facilitare l’immedesimazione del lettore. Il non ricorrere a un narratore, ad esempio, permette a McNaught di donare al racconto una dimensione più intima che attecchisce nella mente del lettore e lo fa, non più come una qualsivoglia opera di fiction, ma piuttosto come farebbe un vero e proprio ricordo. Non si parla più di storia, bensì di memoria. Qui McNaught si dice ispirato dal toccante libro illustrato per bambini Il Pupazzo di Neve di Raymond Briggs.

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McNaught non fa mistero dell’impronta autobiografica delle sue opere e Kingdom non fa eccezione. E quale scelta migliore, per chi vuol comunicare di un luogo atmosfera e suggestioni, se non quella di affidarsi al punto di vista di un bambino. Per un bambino il mondo è sì più piccolo ma anche più vivido e concentrato, solo alla sua età si può avere una conoscenza intima dei luoghi in cui si vive. Ecco allora che l’anno vissuto dall’autore alle Isole Falkland ritorna in Kingdom in quell’erba perennemente battuta dal vento, nelle mosche che ronzano intorno alla carcassa di un animale morto, nel bunker militare abbandonato sulla spiaggia. Perché il senso di meraviglia per un ragazzo corre a braccetto con quello dell’avventura. McNaught pesca dalle sue memorie, lo fa con la malinconia di chi rovista in uno scrigno di tesori perduti. Quanta pioggia a bagnare le sue tavole, a sferzarle, a nasconderne il soggetto. E la quiete che ne scaturisce, le pozze d’acqua in cui specchiarsi per scoprirsi parte del cielo diventano un’ode alla bellezza della natura. Una natura di cui l’uomo è parte inscindibile, anche quando vi si manifesta sotto forma di rifiuti abbandonati sulla spiaggia.

interno1Kingdom racconta tutto questo, lo fa usando come pretesto il lungo weekend di vacanza di una famiglia in un campeggio per bungalow lungo le coste inglesi. Per chi è cresciuto con una sorella minore sarà facile rivedersi nell’atteggiamento di Andy. Quell’età in cui si cerca una via di fuga dalla routine familiare, dalla noia data dall’eccessivo senso di protezione materno. E nello sfuggire alle gerarchie familiari, che lo vorrebbero balia per la sorella, affacciarsi al mondo in qualità di ragazzo e non più, solamente, come figlio (o fratello). L’incontro con i resti di un animale in spiaggia diventa dunque metafora di un ideale passaggio verso l’età adulta, in una morte che non è più idea astratta ma verità tangibile.

Ed ecco che Kingdom si svela come il più classico e sincero dei coming-of-age, la cui semplicità della trama si dispiega in scelte cromatiche altrettanto basilari: un bicromatismo caldo/freddo che gioca sulle sovrapposizioni ottenendo un tono su tono che richiama effetti di luce e ombra. A inizio carriera McNaught si serviva delle tecniche di serigrafia e litografia offset per la stampa delle sue opere (lavorando come tecnico in un centro di stampa era diventato il suo hobby del dopo-lavoro). Le pagine venivano disegnate a mano con inchiostro nero e pennarello su due/tre sovrapposizioni separate per ogni pagina. In pratica un foglio per ogni colore. Una volta entrato in contatto con la Nobrow, l’autore ha iniziato a servirsi delle moderne tecniche di stampa a tinta piatta, ma senza abbandonare lo stile con cui aveva preso confidenza e con il quale si stava facendo conoscere nel settore e al pubblico.

interno3McNaught si serve inoltre di una griglia votata alla simmetria e, spesso, alla ripetizione. Le pagine sono una raccolta di vignette, spesso minuscole (un effetto che definiremmo a ‘cruciverba’), in cui l’autore, alla continua ricerca di un ritmo, o per dirla con parole sue “una rima visiva”, palesa il suo reale intento: sposare la poesia alle immagini.

Mentre affolliamo i cinema per ogni nuova uscita Marvel e ci consideriamo ancora ragazzi nello sfogliare gli spillati della muscolare industria dei comic a stelle e strisce, ci sono autori come Jon McNaught che ci ricordano che ragazzi non lo siamo più. Che lo siamo stati sì, ma che c’è un tempo per tutto e ora è quello della malinconia. Ma quanto può esser bello abbandonarsi ai ricordi?

Abbiamo parlato di:
Kingdom
Jon McNaught
Nobrow, 2018
128 pagine, cartonato, colore – 19,95 $ USD
ISBN: 9781910620243


  1. Intervistato da Paul Gravett alla domanda “Il tuo limitato ricorso ai dialoghi e al testo è perché ritieni che un fumetto debba mostrare più che raccontare?”  McNaught risponde: “Il mio ricorso al testo è limitato anche per una mancanza di fiducia […]“ 

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