Gotham City preda di pazzi criminali e freaks: quante volte i lettori hanno assistito a una scena di questo tipo? Anche nell’esasperazione del concetto, quando – come in questo caso – l’intera città è presa d’assedio da due o più fazioni che la mettono in ginocchio, si tratta sempre di un classico nella narrativa batmaniana, e nei primi episodi della storia La guerra degli scherzi e degli enigmi Tom King non sembra volersi staccare particolarmente da quello stilema. Scelta che sorprende, dal momento che l’astro nascente del fumetto americano ci ha abituati, con i precedenti archi narrativi su Batman, a un tocco più personale.
Un approccio che rende questo story-arc meno compatto e apprezzabile della tripletta I am, composta da Io sono Gotham, Io sono suicida e Io sono Bane, ma comunque apprezzabile per alcune trovate dissonanti tipiche dello sceneggiatore e per il crescendo che il racconto conosce nei due capitoli finali.
Un percorso in crescendo
La guerra degli scherzi e degli enigmi è in realtà un lungo flashback, raccontato da Bruce Wayne a Selina Kyle perché lei possa apprendere un’informazione importante sul carattere dell’uomo che le ha chiesto di sposarlo. Così come Scott Snyder non resistette all’idea di scrivere una lunga avventura ambientata agli esordi dell’attività di Batman (con Anno Zero), anche Tom King cede al fascino di quell’ambientazione e colloca questo evento nel secondo anno dalla comparsa del Cavaliere Oscuro a Gotham. In questo modo giustifica in parte il criterio piuttosto tradizionale con cui gestisce i primi capitoli, nei quali vediamo la metropoli cadere piuttosto rapidamente sotto i colpi delle due fazioni criminali, capitanate da Joker e dall’Enigmista in aperto conflitto tra loro.
La prima trovata interessante si rintraccia nella caratterizzazione del pagliaccio del crimine, che non è più in grado di ridere a causa del dilagare di Batman e che cerca disperatamente di ritrovare quella caratteristica così importante per lui. Se sulle prime sembra essere più che altro un vezzo, l’ennesimo tentativo di cambiare una variabile per dare l’illusione di qualcosa di nuovo, verso la fine questo elemento trova un pieno e soddisfacente risultato.
È un peccato che non ci sia un lavoro analogo sull’Enigmista: il personaggio è ben gestito da King, ma non spicca praticamente mai, con una caratterizzazione indolente che, pur calzante, lo rende piuttosto piatto, ad esclusione del finale.
L’intero story-arc è da inquadrare come una parabola crescente: occorre infatti avere fiducia nella strategia di Tom King, perché anche in una storia dove sembra seguire in modo ligio le “regole del gioco” porta in realtà le sue pedine a una risoluzione dove tutto trova correttamente il suo posto in modalità se non altro interessanti.
Su tutti, la presenza del villain “da operetta” Kite-Man è un esempio eccellente di questo percorso: protagonista di due interludi che spezzano la saga in un paio di punti focali, questo cattivo di serie Z sembra fornire un contrappunto alternativo e una visione esterna alle vicende complessive, ma il personaggio ricopre invece un ruolo fondamentale nell’intreccio e viene valorizzato, pur nella “medietà” della sua persona, anche per via della storia drammatica che ha alle spalle.
La costruzione lenta e ostentatamente classica non deve quindi trarre in inganno, perché oltre a essere un omaggio alle avventure storiche di Batman appare funzionale al disegno generale. Resta il fatto che alcuni capitoli, come quello che narra dello scontro tra Deathstroke e Deathshot, sono piuttosto interlocutori e sembrano perdere di vista la visione d’insieme e l’unitarietà del racconto. Non sempre, inoltre, King riesce a far percepire la situazione di guerra presente sulla città, e l’impotenza di Batman mette quasi in secondo piano il Pipistrello per buona parte dell’avventura, in favore di Joker e dell’assenza delle sue risate.
Di contro, a fare da spartiacque tra prima e seconda parte dell’arco narrativo troviamo un episodio così atipico da diventare un instant classic: Bruce invita le due fazioni a una cena nella sua villa, per cercare di trovare una soluzione al conflitto che sta dissanguando la sua città. Il gioco di inquadrature, i dialoghi misurati, l’atmosfera da galà elegante quando gli invitati sono mostri e assassini senza scrupoli creano continue dissonanze che da una parte divertono per l’evidente contrasto e dall’altra trovano un loro senso nella scansione delle storia, dettata dalle portate della cena stessa. Una raffinatezza imprevista e deliziosa.
Gotham a ferro e fuoco
Mikel Janin torna ad occuparsi delle matite, dopo la sua collaborazione con Tom King a Io sono suicida e a La spilla. Il tratto misurato del disegnatore si rivela una scelta vincente per i toni old-fashion della storia: lo stile di Janin è dettagliato sia per i personaggi che per le ambientazioni, privo di fronzoli e molto realistico nell’approccio generale.
Si nota una forte attenzione alle anatomie e una grande cura nei volti, il che si riscontra in particolare nel lavoro compiuto su Joker. Il nemico n. 1 di Batman appare di una freddezza algida, che il disegnatore gli conferisce tramite gli occhi, la fronte aggrottata, il vestito gessato e, ovviamente, la forma all’ingiù della bocca, che caratterizza il personaggio in netta opposizione alla norma.
La gestione della tavola, come sempre concertata insieme allo sceneggiatore, è intelligente, acuta e funzionale al racconto. La griglia claustrofobica, marchio di fabbrica di King, è presente in pochi, precisi momenti, e quasi sempre quando nelle vignette compare Joker: non è un caso, dal momento che è il personaggio “imprigionato” dalla situazione, colui che vuole uscire da una condizione per lui completamente innaturale.
Per il resto abbondano vignette orizzontali, doppie splah-page e tavole simmetriche, queste ultime usate in particolare quando si tratta di confrontare le modalità di azione dei due criminali.
Nulla viene lasciato al caso nella parte grafica, e il lavoro complessivo risulta più che buono.
Clay Mann si occupa invece di illustrare i due capitoli della Ballata di Kite-Man, l’interludio in due parti della saga: in questo caso il tratto è più morbido, le chine più leggere e lo stile più dinamico, offrendo un’alternativa non completamente opposta all’estetica di Janin ma distante quanto basta per differenziare i due approcci grafici.
Guardare al passato prima di pensare al futuro
Quella che appariva come una lunga digressione fine a se stessa, rispetto alla trama principale della run di Tom King, se non addirittura la volontà di sfogare un proprio vezzo da parte dello sceneggiatore, si rivela invece un anello importante nella gestione del personaggio da parte dell’autore.
Prima di affrontare un passo importante e per molti versi epocale come il matrimonio, Batman sente il bisogno di confessare, essere trasparente con la donna a cui sta per legarsi. Per una persona abituata a segreti e fumo negli occhi, spesso e volentieri rivolti anche ai suoi più stretti collaboratori e ai propri affetti, è una decisione molto più rivoluzionaria di quello che potrebbe sembrare a prima vista.
Un’azione di rottura per il personaggio, pienamente in linea con il percorso che King sta costruendo per lui, in quella ricerca della felicità che da La spilla in poi sembra essere un inedito elemento del quale Bruce sta andando alla scoperta.
In quest’ottica, liberarsi di un peso sulla coscienza, rivelare il segreto che portò alla fine della Guerra degli scherzi e degli enigmi, significa affidare a Catwoman tutto se stesso, facendo cadere ogni riserva e ogni maschera.
Le cornici al flashback, i momenti ambientati nel presente mentre Batman racconta tutto alla sua neo-fidanzata, sono quindi importanti tanto quanto il flashback stesso, e rendono questo story-arc non un passaggio isolato ma una parte fondante della nuova mitologia batmaniana.
Abbiamo parlato di:
Batman Rinascita #26-33 – La guerra degli scherzi e degli enigmi
Tom King, Mikel Janin, Clay Mann
Traduzione di Stefano Visinoni
RW-Lion, gennaio-maggio 2018
72 pagine cadauno, spillato, colori – 3,50 € cadauno