Né femme fatale iperpoliticizzata né tragica vittima del destino
«C’era un caffè dove si incontravano politici armati, toreri, criminali e attrici di vaudeville. Ma la persona più spettacolare di tutte era una fotografa, modella, cortigiana d’alta classe e Mata Hari del Comintern. Era l’eroina di un raccapricciante assassinio politico e lei era quella che suppongo si chiami una bellezza universale.»
Così il poeta Kenneth Rexroth descrive Tina Modotti nelle sue memorie e sicuramente non era l’unico a pensare che lei fosse tutte quelle cose. All’epoca in cui vivevano – tra una guerra e l’altra – non capitava spesso di vedere una bella donna con idee radicali su quasi tutto (sessualità, educazione, ceti sociali, arte) camminare con disinvoltura, macchina fotografica alla mano, tra i circoli di artisti e intellettuali di Città del Messico, dove la conobbe Rexroth, che, da uomo del suo tempo, la chiama prostituta, spia e persino cospiratrice politica.
La figura di Modotti è sempre stata ammantata da un alone di mistero. In realtà si sa poco della sua vita, poiché, a parte le sue fotografie, di lei non sono rimaste molte tracce, oltre ai tre film muti a cui ha partecipato come attrice nei primi anni Venti del XX secolo (The Tiger’s Coat, Riding with Death, I Can Explain), la corrispondenza con il suo mentore Edward Weston, le testimonianze delle persone che l’hanno conosciuta e un paio di eventi venuti all’attenzione della stampa dell’epoca.
I dati piuttosto scarni in possesso degli storici hanno contribuito alla costruzione di una leggenda che di solito mostra Modotti o come una femme fatale iperpoliticizzata o, al contrario, come una tragica vittima del destino («Povera ragazza, che vita burrascosa», annota Weston nel suo diario). Basta controllare i titoli di alcuni dei libri che sono stati scritti su di lei per rendersi conto di quanto sia facile cadere nella tentazione di guardare Tina Modotti da quell’angolazione dove la sua fotografia serve a poco più che illustrare i dettagli della sua infelice esistenza.
Dopo la breve parentesi hollywoodiana e nelle avanguardie artistiche, Tina Modotti si è trasformata in una combattente sempre pronta, secondo Pablo Neruda, a fare ciò che nessuno voleva fare. Ha lottato per i diritti della classe operaia – diventando una militante comunista – in Paesi diversi da quello di sua appartenenza, ma che hanno finito per far parte della sua vita come se fossero la sua patria. Quindi si può dire che fosse italiana di nascita, ma anche messicana, tedesca e russa.
Una vita eccezionale, misteriosa, rivoluzionaria
Assunta Adelaide Luigia Modotti Mondini nacque il 16 agosto 1896 a Udine, figlia di Assunta Mondini e Giuseppe Modotti. A causa della situazione precaria in cui viveva la sua famiglia in Italia, nel 1913 Tina Modotti emigrò, in compagnia dei genitori, a San Francisco, dove iniziò a lavorare come operaia e poi come sarta in un setificio. Nel 1917, all’età di 21 anni, sposò l’artista Roubaix de l’Abrie Richey, noto come Robo. Nel 1921 incontrò il fotografo americano Edward Weston, con il quale lavorò come modella mentre imparava a usare la macchina fotografica. Alla fine dell’anno successivo si recò in Messico con Weston, di cui divenne apprendista e amante: le sue fotografie del Messico, oltre alla visione estetica, ritraevano la miseria e l’ingiustizia che esistevano nel Paese.
Qui, Tina Modotti fu progressivamente coinvolta nell’attivismo politico, testimone fin dall’infanzia dello sfruttamento della classe operaia, venendo a conoscenza delle condizioni precarie del popolo di una nazione solo di recente uscita da una rivoluzione. L’impegno nel sostenere tali cause sociali le permise di stabilire forti legami con i membri del gruppo dell’Unione Messicana degli Artisti, di cui facevano parte figure come Manuel Álvarez Bravo e Diego Rivera. Il Messico è stato dunque fondamentale per Modotti non solo in ambito artistico, ma l’ha messa in contatto anche con una realtà che ha concretizzato il suo senso di responsabilità politica.
Nel 1928 Tina incontrò il rivoluzionario cubano Julio Antonio Mella, di cui si innamorò e divenne la compagna; ma quando fu assassinato, il 10 gennaio 1929, oltre a dover fare i conti con il dolore per la morte dell’amato, Tina Modotti si vide accusata di complicità nel crimine, le cui motivazioni furono presto derubricate a omicidio passionale.
In assenza di prove a suo carico, Tina venne prosciolta, ma l’anno successivo fu nuovamente accusata ingiustamente, e arbitrariamente incarcerata, questa volta con l’accusa di cospirazione contro politici messicani e per complicità nell’attentato al presidente eletto del Messico, Pascual Ortiz Rubio, perpetrato da Daniel Flores il 5 febbraio 1930.
Espulsa dal Messico, Modotti giunse in Germania, accompagnata dal leader comunista Vittorio Vidali e successivamente, mentre si trovava a Mosca, fra il 1931 e il 1934, decise di rinunciare alla fotografia e si unì alla Croce Rossa Internazionale. Nel 1934, all’inizio della Guerra Civile, si trasferì in Spagna, dove si arruolò dopo la ribellione militare del 1936 al V Reggimento. In quel periodo decise di intraprendere la lotta armata, passando allo spionaggio su suggerimento di Vidali, capo delle Brigate Internazionali, per via del suo fluente italiano.
Alla fine del 1939 tornò in Messico come rifugiata politica, dove continuò il suo attivismo sotto falso nome, quello di María Ruíz, attraverso l’Alianza Antifascista Giuseppe Garibaldi, nel bel mezzo della Seconda guerra mondiale.
Tina Modotti morì in circostanze misteriose – alcuni dicono per un infarto e altri per un’epurazione comunista – il 5 gennaio 1942 all’interno di un taxi che la stava riportando a casa. Aveva solo 46 anni. Fu sepolta avvolta in una bandiera adornata con falce e martello. Il suo amico, l’incisore Leopoldo Méndez, scolpì il suo profilo sulla lapide e Pablo Neruda le dedicò una poesia che finì per diventare un epitaffio poetico:
Puro tu nombre suave, pura tu frágil vida,
abejas, sombras, fuego, nieve, silencio y espuma,
combinaron con acero, alambre y
polen para crear tu firme
y delicado ser.
Riflessi di una vita
Nonostante la scarsità di informazioni sulla vita della fotografa e attivista friulana, la bibliografia relativa a Tina Modotti è nutrita, sebbene – a parte le fonti dirette come l’epistolario con Edward Weston – non pochi siano i libri che indugiano nel romanzesco, come il noto Tinissima della giornalista messicana Elena Poniatowska.
Accanto a biografie e romanzi, anche il fumetto si è soffermato sulla figura storica di Modotti. Già nel 2019 Cinzia Ghigliano pubblicava per Il Contrasto Lo specchio di Tina, un bel racconto per immagini che getta luce sulla femminilità e le fragilità di Tina Modotti più che sul suo impegno politico e sul suo lavoro di fotografa, ma che in poche pagine riesce a condensare efficacemente la forza carismatica di questo personaggio.
A chiudere l’anno editoriale 2021 di Edizioni NPE è stato poi Ivo Milazzo, con la biografia a fumetti Tina o Maria. Riflessi di una vita, per la collana dedicata allo storico autore di Ken Parker.
Come spiega lo stesso Milazzo in introduzione al volume, l’idea di un fumetto dedicato a Tina Modotti era dell’autore televisivo Valerio Peretti Cucchi (collaboratore, fra gli altri, delle trasmissioni Tv Striscia la Notizia e Paperissima – da qui l’inaspettata prefazione a firma di Antonio Ricci). Interessato alla figura di Modotti sin dagli anni Novanta, in un periodo storico in cui le informazioni sulla fotografa erano ancora più nebulose di oggi e il suo nome era caduto nell’oblio della Storia, Peretti Cucchi aveva accennato a Milazzo del suo progetto pochi giorni prima di scomparire per un infarto. Date le alterne traversie editoriali di Ken Parker che impegnavano Milazzo e l’assenza di qualunque tipo di appunto lasciato dall’autore satirico, l’idea di questo libro era stata accantonata. Affiancato dalla vedova di Peretti Cucchi, Anna Rita Graziano – che figura come coautrice di Tina o Maria – Milazzo aveva in seguito iniziato un non facile lavoro di ricerca storica su Tina Modotti, giungendo a una svolta ispiratrice una volta presi i contatti con il comitato con sede a Udine e dedicato all’attivista e fotografa. Una breve bibliografia di comoda reperibilità, che ha aiutato Milazzo nella comprensione delle vicissitudini personali e politiche di Modotti, si trova in calce al volume.
In meno di 120 pagine, l’autore originario di Tortona racconta i momenti salienti e meglio documentati della vita di Tina Modotti, attraverso una sequenza di episodi che ne esaltano la vicenda umana e mettono al centro la donna prima ancora che il suo impegno politico e sociale.
La parabola personale di Modotti è scandagliata attraverso un dialogo con il suo doppio, a sottolineare il dualismo di donna e rivoluzionaria, “Tina o Maria” (uno dei suoi molti pseudonimi al tempo della lotta politica e dello spionaggio, l’ultimo in ordine cronologico che le venne attribuito) appunto. Il racconto di Milazzo restituisce così l’immagine di una figura “dallo sguardo triste”, come molti biografi la descrivono, misteriosa, affascinante, ma provata dal dolore di molte perdite affettive e provocato dall’essere stata testimone oculare di un periodo storico tra i più feroci per l’Occidente. Una donna che ha lottato per trovare una dimensione esistenziale quanto più vicina ai propri ideali etici e politici.
Che Ivo Milazzo abbia dedicato una certa cura nelle sue ricerche storiche e iconografiche è evidente soprattutto nelle tavole in cui figurano personaggi del mondo dell’arte, della letteratura, della politica che hanno incrociato la vita di Tina Modotti. Tutte figure assai riconoscibili, dalle più iconiche come Diego Rivera e Pablo Neruda alle meno note al grande pubblico come Ricardo Gomez Robelo o Adelina Dendejas. Tuttavia, l’esito non è sempre felicissimo: i camei proposti in queste pagine si limitano quasi sempre a riprodurre fedelmente delle fotografie dei personaggi facilmente reperibili in rete, senza alcun particolare impegno nello studio delle fisionomie che le renda riconoscibili in angolazioni o pose differenti da quelle riproposte negli acquerelli di Milazzo.
Anche l’inserimento di fotografie scattate nei suoi sette anni di attività da Tina Modotti, e non rielaborazioni delle stesse, sortisce un effetto che oltrepassa l’omaggio concepito con quel timore reverenziale che non voglia andare ad intaccare l’opera originale, e appare piuttosto come un escamotage per rendere più rapido il lavoro. L’inserimento di fotografie fra gli acquerelli di Milazzo – per altro presenti solo in pochi passaggi del racconto – mal si sposa quindi con una fortunata riuscita grafica della tavola.
Milazzo reitera inoltre uno schema già noto, che volendo è il suo marchio di fabbrica: l’alternanza della consueta tecnica costruita su chiaro scuro in bianco e nero e un ispirato e pittorico acquerello. Il bianco e nero viene qui utilizzato per raccontare il dialogo immaginario di Tina Modotti con il suo alter ego Maria, la sua coscienza critica, se vogliamo, che la incalza nella narrazione in prima persona della sua parabola privata e pubblica, sentimentale e politica.
L’espediente narrativo non è dei più originali, ma usato con una buona dose di creatività può sortire effetti interessanti. In questo caso, invece, l’intervista a se stessa di Modotti e l’intero racconto che è di fatto un lungo flashback della durata di poco più di un ventennio – poiché il libro si apre con il ritrovamento del corpo senza vita della donna all’interno del taxi con il quale stava rincasando – finisce con il creare momenti di stasi nella narrazione. Questi rischiano di annoiare il lettore, messo alla prova da lunghi “spiegoni” e dialoghi che ben poco hanno di fluido e naturale, perché finalizzati a continui chiarimenti e spiegazioni dal tono eccessivamente didascalico. Un tipo di scrittura adatta probabilmente a un altro tipo di fumetto, ma meno a una biografia, specie se di una figura femminile così tanto carica di carisma come quella di Tina Modotti.
Anche l’impostazione delle tavole, che ripropone con poche variazioni sul tema la classica gabbia a tre strisce, offre di certo una chiara leggibilità e un’immediata comprensione di quanto si sta leggendo, ma priva il fumetto di qualsivoglia guizzo creativo e pathos narrativo. La stessa teatralità di tante vignette, in cui i personaggi non interagiscono con naturalezza e fluidità fra loro ma sembrano rivolgersi allo spettatore come su un palcoscenico immaginario, affiancandosi e non guardandosi negli occhi mentre dialogano – in uno schema di scena che per altro risulta più che superato –, sottrae dinamismo al ritmo della narrazione.
A contribuire all’intento didattico di Tina o Maria vi sono poi le note a piè di pagina con le quali si forniscono informazioni sintetiche e non sempre necessarie su determinati personaggi in scena. E se chiarire chi siano le tehuanas può tornare utile a un lettore medio, suscita un sorriso condiscendente l’annotazione che spiega chi fossero Lenin o Pablo Neruda.
L’importanza di una lingua inclusiva
Un’ultima osservazione, per concludere, a cui si tiene in modo particolare: quella sull’assenza di una scrittura che contempli la parità di genere all’interno delle due prefazioni al volume, a firma di Antonio Ricci e dello stesso Ivo Milazzo. Entrambi si riferiscono a Tina Modotti come LA Modotti, anteponendo al cognome l’articolo determinativo femminile. Attraverso l’utilizzo del linguaggio si possono indurre cambiamenti oppure, per contro, reiterare la tradizione, talvolta inconscia, di disparità tra donne e uomini nella società.
Come già Tina Anselmi spiegava in un testo che rimane una pietra miliare per un utilizzo inclusivo della lingua italiana, Il sessismo nella lingua italiana, risalente al lontano 1987, «[con l’uso dell’articolo determinativo a designare cognomi femminili] si percepisce talvolta un desiderio da parte di chi scrive di dare maggiore visibilità alle donne – desiderio che si scontra però con le formule abituali della lingua, per cui il risultato finale è pur sempre quello di ghettizzare le donne». L’uso comune oggi tende a correggere questa stortura che evidenzia il sessismo e il maschilismo già di per sé insiti nella nostra lingua, data l’assenza del genere neutro che complica l’utilizzo di un linguaggio inclusivo.
Tanti sono i saggi di linguistica che spiegano le motivazioni profonde alla base di questa mutazione del linguaggio, tra i più letti negli ultimi tempi Femminili singolari di Vera Gheno.
Individuare dunque, all’interno di un volume dedicato a una donna che è oggi celebrata come un’icona rivoluzionaria e femminista, uno scivolone linguistico di questo tipo, frutto di un uso della parola ormai oltrepassato, dimostra una scarsa attenzione a quei dettagli che, in un libro come questo, avrebbero potuto fare la differenza.
Così come concepito, dunque, Tina o Maria. Riflessi di una vita nulla di nuovo aggiunge e nulla toglie all’inquadramento di una figura storica di primaria importanza, per quanto ancora ammantata di mistero, quale quella di Tina Modotti.
Abbiamo parlato di:
Tina o Maria. Riflessi di una vita
Ivo Milazzo, Anna Rita Graziano
Edizioni NPE, 2021
120 pagine, cartonato, colori – 19,90 €
ISBN: 9788836270606