Italiani alla conquista del Giappone

Italiani alla conquista del Giappone

Morning, una delle piu' popolari riviste fumettistiche del Giappone, da tre anni presenta un concorso aperto a tutto il mondo volto alla ricerca di nuovi talenti. Tra i finalisti, sette sono autori italiani: Adriano Barone, Simone Altimani, Andrea Iovinelli, Massimo Dall'Oglio, Salvatore Pascarella, Rosa La Rana, Mario Mazzo. Li abbiamo...

Italiani alla conquista del GiapponeLa presenza in numero degli italiani tra i finalisti del “International Manga Competition” è un ennesimo segno di come in Italia, anche di fronte a un mercato non proprio aperto agli esordienti o agli stili non omologati, i buoni autori non manchino. Un segno che va ad aggiungersi alle collaborazioni ormai consolidate di tanti artisti con la Francia e con gli USA, come testimonia in questo caso la Chesterquest della Marvel, che ha portato a lavorare per il colosso statunitense una nutrita schiera di autori del bel paese, come Marco Turini, Matteo Lolli, Antonio Fuso, Jacopo Camagni, Vincenzo Cucca, Marco Castiello, Matteo Scalera, Serena Ficca, Michele Bertilorenzi, Sara Pichelli, Tomas Bennato e Matteo De Longis.
Una fuga di cervelli, o solo il naturale processo di globalizzazione del mercato fumettistico? Senza inoltrarci maggiormente in un argomento complesso e affascinante, presentiamo un’intervista collettiva a sei dei sette finalisti italiani al concorso indetto da Morning. Varie anticipazioni “ufficiose” che circolano in rete portano a pensare che nessuno di loro abbia vinto il premio finale, ma è apprezzabile il loro impegno nel proporsi e il risultato raggiunto.

Iniziamo con una vostra breve presentazione per i nostri lettori?
Adriano Barone:
Nato a Rho (MI) il 09/07/76, attualmente lavoro come addetto alle comunicazioni. Al momento scrivere è un’attività che svolgo rinunciando al tempo libero (che non ho più), al sonno (di quello ne ho parecchio) e un po’ anche alla salute (quella, fortunatamente non manca). All’URL www.adrianobarone.com ho un blog che aggiorno abbastanza frequentemente.
Simone Altimani: Mi chiamo Simone Altimani, nato a Magenta (MI) il 30 marzo 1988. Mi piacerebbe diventare disegnatore professionista, al momento mi limito a fare tesoro di esperienze come questa.
Salvatore Pascarella: Salve a tutti, sono Salvatore Pascarella, 20 anni, comune studente alla Facoltà d’Architettura di Napoli che nel tempo libero (ormai sempre maggiore rispetto a quello dedicato all’università) disegna fumetti, e che spera con tutto se stesso di non usare la futura Laurea ma appenderla come cimelio e guadagnarsi il pane disegnando manga per il resto della vita (ride).
Rosa La Rana: Salve! Mi chiamo Rosa La Rana (non è uno pseudonimo! ^^), ho 22 anni, vivo a Napoli e sono laureata in Architettura, Corso di Disegno Industriale per la Moda.
Andrea Iovinelli: Sono Andrea Iovinelli, sono nato nel 1974 e vivo a Roma. Al momento lavoro con due case editrici francesi, come sceneggiatore di due serie: Underskin (Les Humanoides Associes) e Vestiges (Clair de Lune). Poi ho scritto anche alcune storie brevi, tra cui un in uscita a giugno in un’antologia della collana Hanté, con l’editore Soleil, e in passato anche un numero di Lazarus Ledd.
Massimo Dall’Oglio: Ho 35 anni e vivo/lavoro nell’assolata città di Cagliari. Disegno fumetti professionalmente da circa 2 anni collaborando in Francia con les Humanoides Associes, per cui realizzo la serie Underskin scritta da Andrea Iovinelli e in Italia con Star Comics, disegnando Jonathan Steele. Ho cominciato a disegnare fumetti nel 1993 dopo aver frequentato un corso di fumetto e per moltissimi anni ho fatto il visualizer per molte agenzie pubblicitarie fino a quando nel 2000 ho aperto un mio studio grafico che tuttora gestisco. Non leggo moltissimi fumetti, faccio sempre una gran selezione prediligendo le storie di fantascienza. I fumetti che riesco a leggere ricoprono un po’ tutto il globo terraqueo dall’oriente all’occidente, non mi sveno per i “classici”, mi piace la lettura in generale (soprattutto quella cyberpunk), la musica e pratico il kendo.
Mario Mazzo: Mi chiamo Mario Mazzo e son nato in un giorno di maggio del 1979 da qualche parte vicino a Verona. Attualmente svolgo un discreto numero di lavori in qualità di grafico e cerco, nei ritagli di tempo, di portar avanti alcuni miei progetti a fumetti.

Come nasce la vostra passione per il fumetto (giapponese e non)? Quali sono i vostri autori preferiti?
Adriano Barone:
Uhm… quante migliaia di battute ho a disposizione?
Scherzi a parte… sono stato un grande lettore sin da bambino e ho imparato a leggere con i fumetti (Topolino, nel caso specifico). Non ho mai smesso, si è solo ampliata la gamma delle mie letture: prima i Bonelliani, poi i supereroi americani (che scoprii nel ’92 con la Image), i manga, i fumetti della Vertigo e per ultimo il fumetto francese.
Ho conosciuto i manga grazie ad alcuni compagni di liceo che mi prestarono alcune uscite di Granata Press (Dominion, Pineapple Army) e Star Comics (Orange Road e Video Girl Ai). Il danno era fatto.
Ma se mi dovessi chiedere come è nata la passione per il manga, direi che negli anni ho maturato la convinzione che l’approccio narrativo giapponese sia quello che più mi interessa a causa dell’assoluta centralità del personaggio e della sua emotività. Inoltre lo “standard” stilistico nipponico prevede un’estrema sinteticità del tratto. E un tratto, più è sintetico, più è fumettistico, a parer mio. Anche il fatto che in Giappone si raccontino fumetti su praticamente qualsiasi argomento lo trovo entusiasmante. Autori preferiti… eh. La lista sarebbe chilometrica. Elencando il minimo sindacale: Jack Kirby, Go Nagai, Will Eisner, Hirohiko Araki, Frank Miller, Andrea Pazienza. E anche se non è un autore completo, Warren Ellis.
Simone Altimani: Ho sempre avuto la passione è per tutto ciò che rientra nell’ampia area delle arti visive, il fumetto è sicuramente una delle mie preferite. Di autori preferiti ce ne sono troppi. Posso citare quelli che mi hanno influenzato di più, come Toppi, Mastantuono, Cyril Pedrosa, Enrique Fernandez, Scott Morse, Mike Mignola… no sono davvero troppi!
Salvatore Pascarella: La passione vera e propria scoppia intorno ai 15 anni, quando un’amica mi fece conoscere questo meraviglioso mondo prestandomi alcune serie manga (Inuyasha, Evangelion). Tra i miei autori preferiti ci sono senza dubbio Inoue, Miura, Oda (un genio), Soryou, Yazawa, Tsutomu Takahashi, Nihei e Obata. In generale comunque, può piacermi qualsiasi forma di fumetto, dall’underground al coreano, americano, disneyano, italiano (adoro Leo Ortolani e la serie di Dylan Dog).
Rosa La Rana: Fin da piccola ho sempre amato gli Anime, ma i manga li ho scoperti solo al liceo. Quando ero al secondo anno, infatti, alcune mie amiche presero a leggerli in classe ed io m’incuriosii. Così decisi di provare ad andare in un negozio di fumetti e da allora ne leggo moltissimi, anche se per la maggior parte manga. Mi piacciono tantissimi autori, ma i miei preferiti sono senz’altro Naoki Urasawa (che stimo tantissimo, soprattutto per trame e sceneggiatura!!!), Takehiko Inoue, Natsuki Takaya, Yoshihiro Togashi, Ai Yazawa e Ryoko Ikeda.
Andrea Iovinelli: Nasce con le mie letture d’infanzia, con Asterix e Lucky Luke, poi con il Giornalino e ancora più in là con Nathan Never. Più grandicello infine, verso il ’94, proprio con Lazarus Ledd e grazie ai manga, e da allora la mia passione non s’é più fermata. Gli autori che hanno un posto riservato nel cuore ce ne sono troppi, quindi mi limitero’ a un solo nome, anche perché è un po’ il mio faro, il mio “maestro”, l’ispiratore principe delle mie storie: Naoki Urasawa.
Massimo Dall’Oglio: Il mio primo manga è stato Grey di Yoshihisa Tagami nell’edizione della Granata Press, mi piacque tanto, ma tanto tanto tanto ^__^ da allora cominciai a cercare altre letture simili e quando poi venne pubblicato anche Orobi (dello stesso autore) non smisi più di acquistare e leggere manga. Ovviamente la mia debole mente aveva superato con danni irreversibili l’epoca dei cartoni jappo e di conseguenza il passaggio al manga fu una cosa piuttosto naturale. Nella mia personale classifica il primo posto rimane occupato da diversi anni da Eden di Hiroki Endo che assieme a Masamune Shirow è il disegnatore che mi piace di più, Akira ormai è un fuori classe come Ghost in the shell e Taniguchi nella sua titanica produzione. Mi fanno impazzire Kio Shimoto (Otaku Club) e Rumiko Takahashi, mi piace il Miller di Ronin, sbavo per Mignola e osanno Gibbons per la grande “intelligenza artistica”. Potrei continuare con una sfilza di altri autori jappo e americani ma penso che poi diventerei troppo noioso. Del nostro bel paese mi piacciono (scrittori e disegnatori) Alberti, Mari, Piccato, Vinci, Accardi, Medda, Memola, Manfredi, Castelli… basta… divento davvero noioso.
Mario Mazzo: La passione verso questa forma narrativa nasce sicuramente dal mio interesse verso il racconto per immagini, sia esso cinema, incisione, pittura o, appunto, fumetto.Se devo far dell’amarcord personale e cercare di risalire al primo fumetto che ebbi modo di leggere, direi le celebri Sturmtruppen di Bonvi, dato che m’era capitato in gioventù di collezionare gli albi di queste strip umoristiche. Ripensandoci ora devo dire di trovare piuttosto bizzarro quel mio inizio, in effetti, pur apprezzando la strip comica (e nella fattispecie adoro il lavoro di Bonvi!) non riesco in alcun modo ad avvicinare questo particolare stile narrativo alla mia ricerca.
Venendo ai manga, credo che il mio avvicinamento a questa scuola sia stata cosa inevitabile visto che da sempre m’ero sbizzarrito nel ricercare uno stile che permettesse la trasfusione su carta del ritmo cinematografico dell’azione. Diciamo che il manga m’ha fornito utili mezzi per raggiungere lo scopo. Se si chiede una lista dei miei autori preferiti si rischia di scoperchiare una sorta di vaso di pandora! Troppi artisti vi sono che attirano le mie attenzioni. Provo a citarne alcuni a briglia sciolta.
Tra i mangaka posso dire d’essere nato con Shirow Masamune ed il suo Ghost in the shell. Poi adoro Samura Hiroaki ed il suo L’immortale. Otomo con Akira (manga e film) e Miyazaki con Nausicaa (manga, soprattutto) credo siano imprescindibili. Poi, sicuramente, Q Hayashida, Oku Hiroya, Miwa Shiro, Araki Hirohiko (anche se lo trovo un po’ in apnea, ultimamente), OKAMA, Abe Yoshitomi, Nihei Tsutomu, eccetera. Di puri disegnatori poi ho estrema passione per Murata Range e Terada Kazuya, due autentici colossi. Parlando di fumettisti internazionali mi tocca essere un po’ scontato, l’ammetto, ma non posso evitar di citare Moebius ed Enki Bilal. Poi Simon Bisley e Mike Mignola, sicuramente. Di italiani adoro lo stile di Toppi.

Il vostro modo di fare fumetto si ispira a qualche autore in particolare?
Adriano Barone:
No. Essendo anche autore di cortometraggi e di prosa, ed essendo anche abbastanza vecchio, direi che sono arrivato al punto in cui ho sviluppato un mio stile personale.
Simone Altimani: Mmm… no, preferisco prendere le cose che mi piacciono di più da ogni fumetto che mi passa sotto agli occhi, cercando di farle mie.
Salvatore Pascarella: No, non credo. Narrativamente tendo a seguire una linea credo abbastanza personale, ma ovviamente sono molti gli autori che mi influenzano “trasversalmente”, in generale (e come tutti credo) tendo ad assimilare tutto quello che mi colpisce di un autore per poi rielaborarlo alla mia maniera. Probabilmente comunque quelli che sento più vicini al mio modo di raccontare sono Inoue, Kei Tome e Tsutomu Nihei.
Rosa La Rana: Non credo di avere un autore in particolare al quale m’ispiro. Semplicemente cerco di raccontare nel modo più spontaneo possibile quel che sento. Per il disegno vale lo stesso discorso. Anche se in passato sono stata sicuramente influenzata da qualche autore (ricordo un periodo in cui fui molto influenzata dalle CLAMP), ora mi sento abbastanza “libera” e credo di aver sviluppato uno stile abbastanza mio (anche se sicuramente orientaleggiante).
Andrea Iovinelli: Il punto di riferimento principale, almeno in questo periodo, è proprio Urasawa, ma le influenze sono molteplici, e non provengono solo dal mondo del fumetto, ma da tutto ciò che mi circonda e che fa parte del mio personale mondo, del mio insieme culturale. Il tutto pero’, senza farsi condizionare troppo, perché l’ispirazione dev’essere appunto solo tale.
Massimo Dall’Oglio: In primis Shirow accompagnato dalle geometrie di Otomo con un pizzico di sensibilità di Vanna Vinci insaporito da una buona dose di Hiroki Endo… il piatto è pronto! Il punto è che mi sforzo come un dannato per cercare di essere personale ma quando cresci anni ed anni leggendo e “guardando” certi fumetti l’imprinting è inevitabile no?
Mario Mazzo: Come può far intuire la lista che ho riportato più sopra, tendo ad essere attirato da quegli autori che sanno anteporre l’immagine alla parola. Nei miei lavori il testo trova sempre meno spazio rispetto all’immagine. Dinamismo della narrazione quindi, che non vuol dire azione senza dialogo, inseguimenti, combattimenti e null’altro, ma sequenza d’immagini atta al creare un racconto. Ammetto che certi fumetti ricolmi di dialoghi non m’hanno mai attirato più di tanto, soprattutto in quei casi in cui il disegno viene mortificato rispetto alla parola scritta.

Quali sono le vostre esperienze nel fumetto in Italia?
Adriano Barone:
In passato ho pubblicato qualche storia breve su Strike della Star Comics. Attualmente la mia graphic novel “4 Seconds” è serializzata a episodi di 6 pagine sulla rivista “Horrorshow”, e su Monstars 3 (Nicola Pesce editore) si può trovare “Perdonami, Padre”, una storia di fantascienza di 16 pagine. Poi ho un sacco di progetti, ma nessuno ufficialmente approvato, quindi inutile parlarne.
Simone Altimani: Ho collaborato con altri disegnatori sul fumetto “Mojito” edito dalla SF Edizioni e ho realizzato la breve storia divisa in due parti “Il duro lavoro di un esorcista”, pubblicata sui numeri 2 e 3 della rivista contenitore “Monstars”, edita da Nicola pesce editore.
Salvatore Pascarella: Assolutamente nessuna, non sono un professionista, sono uno studente universitario e ho davvero ancora MOLTA strada da fare e non ti nascondo che mi sento anche un po’ “inadeguato” per un’intervista del genere (ride).
Rosa La Rana: Non ho esperienze nel fumetto in Italia. Ho sempre disegnato e disegno tuttora per passione.
Andrea Iovinelli: Poche e disparate. Il già citato Lazarus Ledd, una storia per Mono, la rivista della Tunué, e una piccola apparizione su Scuola di Fumetto. Stop.
Massimo Dall’Oglio: La prima è stata con Comic Art che nel 1997 pubblico’ ANGELI, la storia con cui assieme allo sceneggiatore Claudio Fattori vinsi il Pierlambicchi d’oro a Prato. Ho poi realizzato una breve storia erotica per la collana POPup dell’ex Phoenix (mai pubblicata perché la casa editrice chiuse i battenti), poi il nulla… fino a quando Federico Memola mi affido’ pochi mesi fa una storia per L’extra di Jonathan Steele. Prima della Star Comics solo autoproduzioni e collaborazioni con micro realtà editoriali.
Mario Mazzo: Praticamente nulle. Ovviamente, come ogni fumettista di belle speranze, potrei citare alcune porte prese in faccia… ma credo che i più rischierebbero d’annoiarsi leggendo aneddoti del genere, dacché non credo di far differenza in queste mie esperienze. Rischierei un effetto déjà vu.

Credete sia possibile distinguere nettamente delle differenza tra la scuola fumettistica italiana e giapponese?
Adriano Barone:
Personalmente non credo al concetto di “scuola”. Credo che esistano semplicemente: 1) autori con una propria identità, e che in quanto tali possono trarre ispirazioni dalle fonti più disparate, quindi non solo da fumetti, men che meno solo da autori del proprio paese e 2) uno standard di produzione “mainstream” a cui si adeguano dei professionisti che non hanno pretese di autorialità. Forse più che di scuole, si può parlare di “tradizione iconografica” (inserendo nel discorso anche la pittura). In questo caso l’approccio realistico italiano (ma direi occidentale) è ovviamente agli antipodi di quello sintetico giapponese.
Simone Altimani: Non mi piace generalizzare su prodotti così diversi come quelli presenti nel campo del fumetto, sia in Giappone che in occidente.
Salvatore Pascarella: Beh, a mio parere di differenze ce ne sono, ma non sono così vaste come la maggior parte delle persone potrebbe pensare. Ad esempio, il “realismo” grafico nelle anatomie e nei volti, che è banalmente quello che a colpo d’occhio sembra differenziare maggiormente un manga da un volume di Dylan Dog, è in realtà l’ultima differenza, la meno importante. Il mercato manga, lì dove è nato, in Giappone, non ha in realtà alcun canone grafico preciso (concetto ribadito dallo stesso Shimada, caporedattore e capo giuria del contest)e spazia dall’iperrealismo al comico, alle influenze dei comics americani. Cio’ che quindi distingue sostanzialmente la cultura fumettistica giapponese da quella italiana, è sostanzialmente una maggiore libertà nella regia (le caratteristiche vignette aperte, contrapposte ad uno schema più chiuso e sistematico del fumetto italiano)ma soprattutto una diversa impostazione narrativa, a mio parere più “cinematografica”, dinamica nel manga, nonché l’attenzione posta sui personaggi e la loro introspezione, che nel manga è molto più marcata.
La cultura manga è un particolare modo di raccontare, per come la vedo io, nonché una ricerca stilistica e grafica più particolare e di più ampio raggio.
Rosa La Rana: Sicuramente ci sono delle differenze, radicate nella cultura di paesi cosi differenti.
Una cosa che subito salta all’occhio è la diversa impaginazione che caratterizza i fumetti orientali e quelli occidentali. I manga presentano vignette “più libere”, spesso aperte (anche se ci sono autori che utilizzano vignette chiuse. Un esempio ne è il sopraccitato Naoki Urasawa^^). Quelli occidentali sono solitamente caratterizzati da schemi più rigidi. Ma ogni regola ha una sua smentita, quindi ci potrebbero essere autori occidentali che usano vignette aperte e viceversa.
Andrea Iovinelli: Bé, certo, ovvio. Le differenze sono molteplici, sul piano narrativo, quello grafico e infine anche, e forse soprattutto, dal punto di vista linguistico.
Massimo Dall’Oglio: Urka! Sono proprio l’opposto! Sono due modi di raccontare storie completamente diversi perché scaturiscono da culture e realtà storico/sociali estremamente diverse. A me questo abisso piace da morire perché sono un amante delle contaminazioni e prendo selettivamente dall’uno e dall’altro mondo quello che mi piace (apriti cielo!). Dovendole distinguere sottolineerei quella che chiamo “tendenza narrativa”: là dove il fumetto italiano racconta per sequenze di fotogrammi, nel manga tanto la griglia quanto le inquadrature lavorano per dare l’idea di un movimento continuo, di un “divenire” dell’azione. Chiaramente questi concetti vengono fuori dalle opere degli autori di spicco e non si può certo generalizzare… esistono un sacco di manga brutti e inguardabili/illeggibili, come capita anche nel fumetto italiano. Questa è ovviamente la mia opinione personale.
Mario Mazzo: Che sia possibile distinguere le due scuole è cosa sicura. Quel che invece appare un po’ meno ovvio è il ruolo che l’autore ha dinnanzi a queste distanze tra scuola e scuola. Io son convinto che da parte d’un autore più che cercare le differenze vi deve essere un’urgenza indirizzata alla riscoperta delle convergenze tra i vari stili. Insomma, credo sia molto più stimolante creare nuovi spazi andando a lavorare in quei luoghi di confine tra scuola e scuola.
In questo ragionamento si può notare, infine, come il concetto di scuola sia, più che altro, portato avanti da quei professionisti che vanno a tuffarsi nella corrente più massificata del linguaggio fumetto. Se pensiamo al fenomeno del jumpismo, ad esempio, da molti considerato autentico esempio di scuola giapponese, io mi permetto d’aggiungere che nessuno tra gli autori giapponesi oggi più interessanti si vanno ad imbrigliare in una gabbia espressiva del genere. Lo stesso Inoue, che da Jump è partito col suo Slam Dunk, se n’é prima possibile allontanato. Insomma, vi sono certamente delle scuole ma personalmente tendo ad osservare con più attenzione chi, all’interno di queste correnti, cerca delle vie per uscirne.

Negli ultimi anni, le contaminazioni sono sempre più presenti, con una rilettura di certi stilemi in “salsa italiana”. È questo anche il vostro approccio, o preferite staccarvi dalla produzione nostrana?
Adriano Barone:
Vedi sopra. Credo che esistano autori, non tendenze.
Ogni autore si lascia ispirare da ciò che trova interessante. Da QUALSIASI cosa, compresi appunto i fumetti creati in altre parti del mondo. Perciò, per un autore curioso, la “contaminazione” non è “una tendenza”. È un metodo.
Se un autore si ispirasse solo a quello che è stato fatto nel suo paese, personalmente lo riterrei un autore molto limitato.
Dubito anche che esista un qualsiasi autore che in maniera programmatica pensa “ora prendo questo elemento visivo e lo riciclo secondo canoni visivi italiani”. E se esiste, dev’essere una persona tristissima.
Simone Altimani: Cosa significa “salsa italiana”? Non mi risulta che tutta la produzione italiana abbia un unico approccio verso il fumetto, la produzione italiana è fatta da tanti autori, tutti con un metodo ed un approccio al fumetto personale e diverso dagli altri.
Salvatore Pascarella: Fare dei discorsi “nazionalistici” per me non ha mai avuto molto senso. Esiste solo l’autore del fumetto e il suo modo di raccontare, che può essere determinato da tante e tante cose. Parlare di contaminazione italiana o giapponese quindi, può voler dire tutto e nulla. Ad ogni modo ben vengano le contaminazioni, ben venga un fumetto che si evolve sempre di più, e che cerca sempre nuove forme di espressione.
Rosa La Rana: Devo dire che ho sempre pensato semplicemente “Voglio raccontare questo nel modo più spontaneo possibile”. Tutte le volte che ho creato una storia mi sono sempre posta come obiettivo quello di raccontarla nella maniera più consona possibile, seguendo l’istinto, senza basarmi su particolari regole, n’é di narrazione, n’é d’impaginazione.
Io amo disegnare e raccontare mostrando le immagini cosi come si materializzano nella mia mente. Insomma, di solito, le scene che mostro nei miei fumetti nascono sempre da “illuminazioni” improvvise! XD Per questo non penso né di volermi staccare dalla produzione nostrana, né altro. Mi basta raccontare al meglio ciò che sento! ^^
Andrea Iovinelli: Per chi come me è cresciuto leggendo ogni genere di fumetto, è impossibile distaccarsi da quello che un retaggio culturale indissolubile. Fa parte di me, e non potrei ignorarlo nemmeno se lo volessi.
Massimo Dall’Oglio: Sono Italiano non giapponese e nemmeno americano! Desidero raccontare storie in Italia e non ho come obiettivo primario una pubblicazione in Giappone soprattutto perché non credo di essere in grado di realizzare un manga giapponese. Vado con il mio stile dove ci sono possibilità di collaborazioni stimolanti, ecco perché ho partecipato al MIMC. Ho una tendenza grafica che s’ispira all’oriente ma la mia cultura, il mio mondo “visivo”, la maniera di concepire il fumetto sono italiani; mi piacciono le contaminazioni e se il manga giapponese mi offre degli strumenti interessanti perché non provare ad usarli? Saranno poi il pubblico e a monte la lungimiranza del mio editor a confermare o smentire se quello strumento che ho scelto è vantaggioso nel raccontare una storia. Ci tengo molto a sottolineare che per me il disegno deve lavorare al 100% per la storia, se qualche strumento narrativo orientale limita o fa inceppare il racconto sono il primo a metterlo da parte.
Mario Mazzo: Sul valore delle contaminazioni credo d’essermi già espresso. Da parte mia non ho mai posto nessun limite agli elementi che vanno ad influenzare il mio modo di comporre la tavola. Certo, di primo acchito, il mio lavoro potrebbe risultar tutto fuorché cosa fatta da un italiano ma, ad occhio attento, son convinto che il fatto d’essere italiano si possa notare, per cui non credo sia nelle mie intenzioni il volermi distaccare nettamente dalla produzione italiana (almeno non da tutta!).

Esiste in Italia un potenziale pubblico per il “manga italiano”? Quali potrebbero essere le strategie editoriali per l’affermazione di questi prodotti?
Adriano Barone:
Cos’é il “manga italiano”? Esiste qualcosa del genere?
Pubblicizzare prodotti come “manga” anche se realizzati da fumettisti italiani mi sembra una tecnica di marketing buona o cattiva o ininfluente come tante altre. Come sempre, conta prima di tutto la qualità del prodotto: se un fumetto è buono e si ispira a quelli che sono considerati comunemente stilemi grafici riconoscibilmente giapponesi, resta un buon fumetto, indipendentemente dalle etichette. Se per venderne più copie gli si appiccica la definizione di “manga”…va benissimo. Bisogna fare QUALSIASI cosa pur di vendere. Il fumetto è un prodotto commerciale, e l’obiettivo finale è venderne quante più copie possibile. Ma tutto questo arriva dopo. Se il fumetto è una merda, non lo vendi, sia che lo definisci “manga” che -ehm- “graphic novel”. Una strategia editoriale potrebbe essere quella di NON pubblicare fumetti mal scritti e mal disegnati da autori occidentali (italiani o meno) definendoli “manga italiani” o “global manga”. Altrimenti l’impressione del lettore potrebbe essere che “esistono autori occidentali che vogliono imitare i manga e li imitano pure male, quindi perché perdere tempo con delle brutte imitazioni? Meglio comprare gli originali giapponesi”.
Simone Altimani: Un manga giapponese fatto da italiani? Credo che se fatto bene troverebbe tranquillamente un suo posto nel mercato. Fatto bene pero’ non significa leggere un manga giapponese e riproporne le caratteristiche più evidenti. L’iconografia giapponese è presente ovunque nei “nihon no manga“, dai personaggi alle situazioni in cui si trovano.
Sarebbe bene che chi si cimentasse nell’impresa di fare un manga giapponese che abbia senso, si studiasse la storia del paese, dello shintoismo e tutte le leggende popolari ad esso strettamente legate. Elementi presenti in ogni singolo aspetto del manga alla giapponese. Non è una cosa così semplice. La mossa commerciale ha senso solo se raggiunge per lo meno gli standard dell’import.
Salvatore Pascarella: Certo che esiste, e non è un “potenziale” pubblico. Il pubblico che legge manga in Italia lo abbiamo già, ed in percentuale veramente considerevole. Un buon manga, sia che esso venga realizzato da un giapponese o un italiano, o un francese, resta pur sempre un buon manga, e potrebbe conquistarsi un suo pubblico senza problemi.
Bisognerebbe semplicemente essere più aperti alle sperimentazioni, e soprattutto dare più fiducia a progetti del genere, migliorare la distribuzione in fumetteria e spendere qualcosa in più nel pubblicizzarli (alcuni progetti italiani a mio avviso davvero validi sono stati veramente ignorati e per questo destinati A PRIORI al dimenticatoio). L’Italia può contare fumettisti davvero talentuosi a mio avviso, ma l’editoria italiana sembra non vederli, e come succede ormai in tutti i settori, i migliori talenti “espatriano”.
Rosa La Rana: Se si parla dell’Italia si tocca un tasto dolente purtroppo! Sinceramente non so se ci sia un possibile pubblico per il “manga italiano”. Sono piuttosto scettica! In Italia il manga mi sembra quasi più una moda che altro!
Gli stessi lettori di manga mi sembrano prevenuti verso altre forme di fumetto che si distacchino dal manga made in Japan.
Il punto è che si dovrebbe considerare il fumetto in sé e per sé come mezzo di comunicazione, invece sembra che si siano creati vari schieramenti. Chi legge manga, “odia” i fumetti occidentali e chi legge fumetti occidentali “odia” i manga.
Se la situazione rimane cosi non credo si possa andare molto avanti. Le stesse case editrici nostrane sono prevenute e sembrano non intendano pubblicare minimamente fumetti in stile orientaleggiante. Insomma non si guarda molto al valore dell’opera in sé e per sé. Io credo che anche il pubblico che legge manga non sia ben disposto ad acquistare qualcosa in simile stile creato in Italia.
Andrea Iovinelli: Secondo il mio modestissimo parere, sì, esiste. Le strategie non sta a me formularle, ma agli editori. Io dico solo che è sufficiente la volontà, e la serietà. Investire in modo serio in un progetto, non tanto per provare nella speranza di fare il colpaccio. E investire significa mettere in preventivo che probabilmente i primi anni saranno in perdita, e che i ricavi con i relativi benefici arriveranno solo col tempo. Questo significa essere editori, cioé imprenditori, ovvero persone che investono assumendosi un certo rischio. Io spero che qualcosa cambi in questa direzione, e alcuni tentativi, seppur timidi, in questi ultimi tempi ci sono stati. Sul fatto se ci siano o meno autori degni di essere pubblicati, mi pare che il risultato raggiunto dai cinque progetti italiani nel concorso indetto da Kodansha fornisca una risposta più che esaustiva.
Massimo Dall’Oglio: Non mi piace “manga italiano”. Per me esistono modi di raccontare storie come esistono i generi musicali, io racconto in un modo che qualcuno può definire manga come potrei suonare jazz, nessun pero’ mi dice mai: ahhh tu fai jazz italiano. Il pubblico poi è poco perché fondamentalmente in Italia si legge poco, i manga che vendono numeri importanti sono quelli che hanno a monte l’equivalente televisivo, io non credo che Eden abbia un venduto come quello di Naruto. Per le strategie c’é poco da pensare o da inventare, se da una seria analisi del mercato viene fuori una domanda allora si mette in piedi l’offerta no? Per strutturare un’offerta che crei lei stessa domanda e mercato ci vogliono risorse economiche piuttosto importanti e non so se in Italia una cosa del genere sia fattibile. Gli Humano in Francia ci stanno provando con la testata Shogun ma è un cammino molto rischioso e Andrea ed io con Underskin siamo sempre consapevoli che il progetto potrebbe interrompersi anche all’improvviso.
Mario Mazzo: Più che altro bisognerebbe chiedersi se esiste un pubblico.Lo so, rischio di parlar per frasi ad effetto ma sono convinto che in passato sono state fatte scelte che hanno portato il media fumetto a mostrare segni d’invecchiamento precoce davvero allarmanti. Di mio potrei dire che sono convinto che un buon prodotto può sempre trovare il suo giusto spazio se pensato e fruito nei giusti modi. Certo, come già ho scritto, sono stati commessi molti errori in passato e proprio riguardo al “manga italiano” c’é da dire che in molti ancora ricordano della sciagurata impresa dello “spaghetti manga”.
Insomma, più che per il “manga italiano”, credo che il pubblico vada avvicinato con nuovi prodotti di qualità. E se questi prodotti di qualità s’ispirano anche ai manga… Beh, perché no?

È giusto secondo voi la scelta di ambientare dei fumetti in Italia o pensate che questo sia un limite dal punto di vista narrativo?
Adriano Barone:
Vedi risposta precedente: una buona storia, con una coerenza visiva/stilistica/formale/contenutistica è una buona storia, punto. Una storia ambientata in Italia può avere il medesimo valore “universale” di una storia ambientata a Tokyo o Calcutta o Beijing. Le storie di Pazienza erano limitate da un punto di vista narrativo perché ambientate in Italia?
Simone Altimani: No, non credo sia un limite.
Salvatore Pascarella: Tutto deve essere funzionale a ciò che racconti. Se l’ambientazione giusta è l’Italia sarà lì che dovrà essere ambientata, e quando tutto in un fumetto funziona, narrativamente uno sfondo italiano non potrà di certo rappresentare un limite.
Rosa La Rana: Perché mai porsi il limite di ambientare le storie in Italia! Ogni luogo può fare da sfondo ad una storia. Talvolta il luogo non è solo di “contorno”, ma dà alla storia qualcosa di vero, la completa. Non credo bisogni ambientare per forza le storie in Italia se si è italiani, cosi come non credo fosse necessario mandare una storia ambientata in Giappone al concorso della Kodansha, solo perché giapponese! La mia storia, in vero, era ambientata in Inghilterra, quindi né Italiana, né tanto meno Giapponese! ^^
Andrea Iovinelli: No, assolutamente, perché un limite? Anzi, credo che l’Italia sia un’ambientazione straordinaria, ed è sufficiente pensare alla mole di storia che abbiamo alle spalle per capire quante possibilità offra il nostro paese. Nessuno al mondo può vantare tanta storia e cultura quanto noi, e se autori ed editori scelgono le ambientazioni di altri paesi, è solo perché noi tutti (mi ci metto io stesso) siamo malati di esterofilia. Soffriamo di un inspiegabile complesso d’inferiorità, in generale e nei confronti di tutti, e siamo succubi in ogni campo dell’intrattenimento culturale così come dello scibile della cultura statunitense, mentre invece, se avessimo un briciolo di orgoglio e di cervello, dovrebbe essere, non dico l’esatto opposto, ma quasi. Per secoli l’Italia ha esportato cultura in tutto il mondo, ha rappresentato il punto di riferimento primario per ogni artista e fondato le basi della moderna civiltà Occidentale, ed oggi invece, ad assumere atteggiamenti provinciali, e subire il peso delle altre culture, siamo proprio noi.
Massimo Dall’Oglio: No, perché dovrebbe essere un limite? Se la storia è buona, i disegni fatti bene e se i tutto e assemblato, prodotto e distribuito seriamente e professionalmente, non vedo proprio uno scoglio insormontabile. Il punto è fare BENE il prodotto. Sicuramente sono un ingenuo ma non ho mai pensato che un lettore non acquisti a priori un fumetto solo perché è ambientato a Roma e il protagonista si chiama Luigi. Per fortuna poi sono solo un disegnatore e lascio volentieri all’editore la soluzione del problema.
Mario Mazzo: Sarei un folle a pensar ciò! Già ci sono troppi limiti nella vita reale non vedo perché dovrei porne altri in quel che disegno. Una buona idea può funzionare in qualsiasi ambiente. Oltretutto l’opera che ho spedito a Kodansha era ambientata nella mia città ad inizio novecento! Credo che basti per dimostrare la bontà della mia risposta.

Manga in vendita....Il fumetto deve essere solo un momento di distrazione per il lettore o è giusto che esistano anche i fumetti che affrontano tematiche sociali?
Adriano Barone:
Devono esistere solo film d’autore o solo film commerciali? Deve esistere solo Moccia o solo Pynchon?
Il fumetto è un mezzo espressivo. Con un mezzo espressivo uno ci fa quello che gli pare.
Simone Altimani: Il fumetto può essere usato per trasmettere qualsiasi messaggio o emozione. Usare questo mezzo solo per far passare più velocemente qualche minuto mi sembra uno spreco assurdo.
Salvatore Pascarella: Il bello del fumetto è proprio questa possibilità di scelta.
Il fumetto può avere mille target, mille significati, mille generi, può raccontare per intrattenere e può raccontare per “educare”.
In quanto arte, il fumetto resta comunque una forma di “comunicazione”, per cui credo sia giusto che il mercato del fumetto offra una gamma vasta, a 360 gradi, per tutte le fasce d’età, per ogni gusto, senza alcun tipo di discriminazione(ed ancora una volta il mercato del fumetto giapponese insegna).
Rosa La Rana: Io credo sia giusto che esistano anche fumetti che affrontino tematiche sociali.
Il fumetto è un’opera, non ha nulla in meno rispetto ad un libro o ad un film (anzi credo che il lavoro di un fumettista sia molto simile a quello di un regista^^), quindi credo che come tale debba affrontare le tematiche più svariate.
Andrea Iovinelli: Il fumetto è una forma di espressione, un linguaggio. Come tale, ognuno ha il diritto di comunicare ciò che più gli piace attraverso il fumetto. Non vedo proprio perché non dovrebbe essere giusto. E in ogni caso, si possono affrontare benissimo tematiche importanti e delicate anche facendo del “semplice” fumetto di intrattenimento. Sta solo all’intelligenza e alla bravura dell’autore, e alla sensibilità del lettore, far sì che ciò avvenga.
Massimo Dall’Oglio: Come ho già detto, ritengo il fumetto un modo di raccontare storie e le storie possono essere di puro intrattenimento, impegnative o “impegnate”. Purché sia fatto bene e ci sia di contro un pubblico disposto ad accoglierlo.
Mario Mazzo: Anche qui non vedo perché ci si debba porre dei limiti. Uno degli elementi di maggior fascino del mercato giapponese legato al fumetto risiede proprio nella sua varietà di proposte. Dal titolo di massa (di qualità o meno) al prodotto d’estrema nicchia (anche qui di qualità o meno). L’unico obbligo, credo, sia l’avere un obbiettivo preciso. Sia esso un target di pubblico o un messaggio da dare (a pochi come a molti), l’importante è cercare una via stimolante ed efficace.

Secondo voi come deve essere il rapporto tra lo sceneggiatore e il disegnatore? Chi disegna deve seguire alla lettera le indicazioni di chi scrive o è giusto che possa cambiare e rielaborare le tavole ?
Adriano Barone:
Il bello del fumetto è che è un media collaborativo. Se ho un’idea molto precisa su una soluzione visiva, la descrivo dettagliatamente e soprattutto la motivo in fase di sceneggiatura, altrimenti lascio molta libertà al disegnatore.
Ma in generale, se comunque il disegnatore ha idee diverse su come risolvere una vignetta o la composizione di una tavola, se ne discute e si giunge a un accordo. L’importante è che il risultato finale sia il migliore possibile.
Simone Altimani: Il rapporto deve essere di assoluta collaborazione, non ci deve essere uno stacco tra le parti e nessuna di queste deve prevalere sull’altra.
Salvatore Pascarella: Io credo che un disegnatore debba avere la possibilità di esprimersi nelle tavole col suo stile,ma è compito dello sceneggiatore capirne l’impronta e di conseguenza “adattare” il suo soggetto all’interno di uno specifico canale comunicativo, proprio e caratteristico del disegnatore cui si rivolge, in modo da creare qualcosa di autentico. Allo stesso modo il disegnatore ha delle regole da rispettare,la regia delle tavole spetta allo sceneggiatore, ed è compito del disegnatore rispettarla, magari con qualche libertà di operazione ma che in nessun caso vada a modificare l’intento comunicativo dello sceneggiatore.
Rosa La Rana: Premetto che non ho mai lavorato con uno sceneggiatore, perché per la verità io ho sempre amato scrivere le storie in primis, più che disegnare. Per me vengono prima le storie e i personaggi, poi il disegno come diretta conseguenza.
Non mi diverto molto a disegnare semplicemente per farlo. Dietro ad ogni mio disegno deve esserci un significato, una storia…che solitamente creo io! ^^ Comunque credo che debba esserci innanzitutto sintonia tra sceneggiatore e disegnatore e che se necessario il disegnatore debba poter variare e rielaborare le tavole.
Andrea Iovinelli: Questione delicata e complessa. Dipende dai singoli casi, dalla sintonia e dall’affinità tra gli autori, da cosa si cambia, dove si cambia e quando lo si fa. Bisogna sempre avere grande riguardo per il lavoro altrui, così come non si deve cadere nell’errore di sopravvalutarsi. Penso sia opportuno in ogni caso, per una mera questione di rispetto del lavoro del compagno, consultarsi sempre con lo scrittore prima di effettuare un cambiamento non previsto. La chiave del problema comunque, penso risieda nell’avere una qual certa dose di umiltà.
Massimo Dall’Oglio: Mmmh ne ho accennato prima, la storia ha un’importanza fondamentale e il disegno dovrebbe lavorare sempre per lei. All’inizio, quando esce un prodotto nuovo, il disegno ha un peso non indifferente perché è la prima cosa che il lettore vede sfogliando l’albo ma è inutile creare delle aspettative con un super disegno se poi al terzo numero la storia crolla o è inesistente. Come disegnatore cerco sempre di soddisfare tutte le richieste del mio sceneggiatore dando per scontato che anche lui rispetta il mio ruolo e mi concede un buon margine creativo/propositivo. Andrea per esempio non mi vincola troppo, se penso che l’aggiunta o l’eliminazione di una vignetta giochi a vantaggio del lavoro è sempre ben disposto ai cambiamenti.
Mario Mazzo: Credo che, leggendo le risposte da me date in precedenza, sia facile immaginare come sia un sostenitore del primato del disegno e quindi, di conseguenza, tendo a dare sempre maggiore rilievo al disegnatore. L’ideale sarebbe avere una totale sinergia tra disegnatore e sceneggiatore e che la costruzione della tavola fosse il miglior risultato dall’unione delle due unità al lavoro. Purtroppo non sempre è possibile tale sintonia (sia umana che professionale). Personalmente non ho mai apprezzato quel sceneggiatore che va a decidere, in tutto e per tutto, come suddividere la tavola senza dar spazio al disegnatore. Sul fatto che troppo spesso, come mente principale d’un fumetto, venga ricordato prima di tutto lo sceneggiatore… avrei molto da ridire.

Come siete venuti a conoscenza del concorso e come vi siete iscritti? La presenza italiana è stata veramente massiccia, come conferma il numero di finalisti: a cosa è dovuto secondo voi?
Adriano Barone:
Avevo letto della prima edizione vinta da un’autrice pubblicata da TokyoPop e del fatto che ci fosse una seconda edizione del concorso. Ho fatto un minimo di ricerca on-line e ho trovato il sito. Da lì ho seguito le istruzioni (veramente poco complicate: la storia deve essere compresa tra le 12 e le 50 pagine e bisogna usare una cornice 180 x 270 per i disegni) e ho spedito il pacco (a dire il vero, i pacchi, dato che ho partecipato con due opere, disegnate da due artisti diversi). La presenza italiana penso sia dovuta al fatto che uno ci prova sempre. Oltre a questo, potevo lavorare con Simone, che a livello di stile è uno sperimentatore instancabile: partecipare a un concorso che chiede ESPLICITAMENTE cose disegnate in uno stile particolare mi sembrava logico. E poi lavorare in Giappone credo sia il sogno professionale di molte persone che fanno fumetti.
Simone Altimani: È stato Adriano Barone a farmi conoscere il concorso e a propormi di partecipare su una sua storia, ho accettato ben volentieri.
Salvatore Pascarella: La notizia del contest l’ho reperita tramite internet, ma lessi un inserto anche su una nota fanzine.
La presenza dell’Italia è stata effettivamente considerevole, e ne sono veramente contentissimo(non ti nascondo che anche in questa situazione mi sento abbastanza “inadeguato” ah ah). La presenza italiana dimostra che i fumettisti italiani, nonostante gli impedimenti “nostrani” ad uno stile narrativo del genere(il manga), hanno in realtà molto da raccontare e questo è stato evidentemente apprezzato.
Rosa La Rana: Sono venuta a conoscenza casualmente del concorso navigando in internet, tra l’altro meno di un mese prima della scadenza! ^^” Probabilmente in Italia ci sono persone valenti, che qui non hanno modo di trovare la loro strada. Forse per certi versi gli italiani si sono sentiti più stimolati, perché vedevano in questo concorso una grande opportunità.
In altri paesi (in primis in Francia) ci sono più possibilità per i fumettisti di pubblicare che in Italia. Ma anche di francesi c’é stata una presenza massiccia! Va beh! Questo probabilmente proprio perché lì hanno la “cultura del fumetto”. Qui i fumetti vengono considerati, dalla maggior parte delle persone, “roba” per bambini!
Andrea Iovinelli: Sinceramente non ricordo con precisione, ma presumo di averne letto in un qualche comunicato stampa su uno dei vari siti di informazione. L’iscrizione è semplice: basta inviare la propria storia alla Kodansha. Quanto alla presenza italiana, bé, è presto detto: siamo uno dei principali importatori di manga e al tempo stesso siamo tra i più importanti paesi per ciò che riguarda la “cultura fumettistica” in generale, forse dietro solo a Giappone, USA e Francia in tutto il mondo.
Massimo Dall’Oglio: Ho scoperto il MIMC chattando con un amico. All’inizio pensavo di far tutto da solo poi pero’ ho chiesto ad Andrea se voleva aiutarmi, ero sicuro che con lui sarebbe venuto un ottimo lavoro (per tornare alla domanda di prima sulla qualità della storia) e così è stato. Siamo molto orgogliosi di Hermes e con gli Humano stiamo lavorando ad un adeguamento del progetto per il formato BD. Fare fumetti in Italia non è semplice e non mi meraviglia che molti autori partecipino a concorsi internazionali, oggi il lavoro bisogna cercarselo un po’ in tutto il mondo e il MIMC può anche aprire nuove strade. Io per esempio ho partecipato perché volevo mettermi alla prova in Giappone, ero ansioso di sapere come un’importante casa editrice giapponese avrebbe valutato il mio lavoro.
Mario Mazzo: Del concorso ne sono venuto a conoscenza per caso leggendo qualche sito d’informazione. L’iscrizione, ammetto, ch’é avvenuta sotto la spinta di terzi prima e come sfida personale poi. La presenza massiccia di finalisti italiani non saprei spiegarla con precisione. Di sicuro v’é da considerare il fatto che molti disegnatori alle prime armi (e quindi più inclini ai concorsi) sono nati leggendo manga e, di conseguenza, si sono creati una sorta d’Eldorado editoriale giapponese da contrapporre al deserto italico (percepito o reale che sia).

Come sono nate le storie da mandare in concorso? Le avete scritte appositamente, o sono nate precedentemente?
Adriano Barone:
Entrambe le storie che ho mandato le avevo già scritte. Semplicemente sono state completate con una scadenza precisa invece che in base agli “altri” impegni lavorativi miei e dei disegnatori.
Salvatore Pascarella: Personalmente è nata da un momento all’altro. Anzi, a dire il vero stavo lavorando ad una storia completamente differente, di cui avevo già messo su un bel po’ di tavole. È stato un azzardo, una scintilla improvvisa che ho deciso di assecondare, per questo non mi sarei MAI aspettato il risultato ottenuto.
Rosa La Rana: La storia che ho mandato al concorso è legata ad un’altra storia che ho iniziato a scrivere l’estate scorsa. Praticamente ho ripreso i personaggi di questa mia storia, ma invertendo i ruoli. Il protagonista, Kerr, della mia storia principale, dal titolo Enarmonia, è diventato uno dei comprimari…e il co-protagonista, Ernest, è diventato il protagonista.
Ho mostrato un episodio, che in Enarmonia era stato raccontato da Kerr in un flashback, visto pero’ attraverso gli occhi di Ernest al presente, in Enarmonia Sensibile. (insomma…non so se ho reso l’idea @_@)
Andrea Iovinelli: No, sono nate apposta per il concorso.
Massimo Dall’Oglio: Hermes è nato appositamente per il MIMC ma quando poi abbiamo finito le tavole ci siamo subito accorti che era un buon progetto e che non si sarebbe esaurito con il concorso.
Mario Mazzo: Sì. L’opera in questione è nata appositamente per il concorso (ed il titolo esatto sarebbe Giano e non come erroneamente riportato dal sito Kodansha Giano notturno). Ovviamente, visto l’esiguo tempo di cui potevo disporre, ho dovuto utilizzare alcune idee che serbavo per ben altri progetti e non nascondo che dalle basi che ho creato si possano trarre altri racconti se non addirittura una serie!

Di cosa parlano, in breve, le vostre storie?
Adriano Barone:
Mr. Doe è la storia di un bambino che vuole essere più famoso di Gesù. La storia copre tutta la sua infanzia, in cui il protagonista matura proprio questa decisione.
Salvatore Pascarella: Tabitha è una sorta di fantasy-investigativo, è un po’ un minestrone di generi e parlare della trama senza raccontarla in realtà dall’inizio alla fine è impossibile(ride). Posso raccontarti lo sfondo delle vicende invece, ovvero una convivenza tra un livello di vita “contemporaneo”, tecnologico dei giorni nostri, ed un livello di simulazione “reale” di un mondo medievale(di convivenza tra mondo reale e simulazione di gioco virtuale abbiamo avuto parecchi esempi,vedi Hack/sign ed il cyberpunk in generale, la mia idea di base è stata quella di portare agli estremi questa convivenza, rendendo reale, concreto il mondo del “gioco”). I due mondi hanno ovviamente vite proprie, distinte e indipendenti e con restrizioni di accesso per entrambi i lati, ci si trova inoltre in una situazione in cui il mondo “realmente simulato” si espande(per affluenza di massa dalle città) a danno del mondo tecnologico, sull’orlo del sottopopolamento. E poi ci sono dei terzi personaggi, che vivono invece come nomadi, spostandosi da un mondo reale all’altro…il protagonista è uno di loro, e fa parte di un gruppo investigativo sulle tracce di un fantomatico Tabitha, di cui non si conosce identità, aspetto né capacità, a parte la possibilità che quest’entità sconosciuta determini il collasso del mondo del gioco. Dopo più di due anni di indagini, un componente del gruppo sembra aver reperito informazioni fondamentali sull’identità di Tabitha che potrebbero mettere a rischio l’integrità stessa del gruppo investigativo.
Rosa La Rana: La storia è ambientata nell’Inghilterra di metà ottocento. E una storia che mostra il modo particolare che Ernest, un pianista, ha di rapportarsi al mondo, alle cose ed il suo relazionarsi con gli altri.
Per un verso non vi è proprio una “trama”. Mi piace dire che le mie storie prima di essere storie, sono sempre storie di qualcuno. In questo caso la storia era di Ernest, quindi ho focalizzato molto l’attenzione su di lui e sulla sua particolare sensibilità al mondo ed alla musica, in quanto egli percepisce in ogni piccola cosa un suono. È, in più, una storia di amicizia. Ed infine, è una storia che lega amicizia e musica. E un po’ difficile da spiegare per la verità. Bisogna leggerla per capirla appieno.
Andrea Iovinelli: Non posso dire molto, perché stiamo presentando la storia ad altri editori, ma in breve direi che è una storia cyberpunk, con temi centrali la ricerca della propria identità e della verità.
Massimo Dall’Oglio: Vedi la risposta di Andrea!
Mario Mazzo: Giano narra di un incontro tra due personaggi. Un incontro accaduto in un’ipotetica città europea agli inizi del secolo XX. Uno dei due protagonisti dovrà ridestarsi dal torpore d’una realtà ambigua ed asettica. Il tutto rappresentato con una curiosa scansione narrativa. Ammetto che l’opera vive più di suggestioni visive che di parole.

Cosa pensate le abbia distinte dalle tante che saranno giunte al concorso, per farle arrivare tanto in alto?
Adriano Barone:
Lo stile di Simone, punto. Particolarissimo: colori direttamente sulla matita, senza tratto. Simone è uno sperimentatore instancabile, ed è in grado di disegnare personaggi incredibilmente espressivi, cosa che in Giappone, dove l’importanza data al personaggio è enorme, ha giocato senz’altro un ruolo fondamentale.
Simone Altimani: La storia di Adriano trovo sia fortissima, mi ha stimolato in maniera incredibile e mi ha spinto a sperimentare uno stile mai affrontato prima in vita mia. Poteva uscire una merda che rovinasse tutto come poteva uscire un buon prodotto. Pare abbiano apprezzato.
Salvatore Pascarella: Non ne ho la minima idea. Davvero. Ne sono ancora stupito. Potrei dirti forse un po’ lo stile (credo sia abbastanza personale), la trama ha buoni spunti, ma essendo obiettivi non ritengo il mio fumetto all’altezza degli altri(soprattutto rispetto ai professionisti italiani che conosco e di cui ho letto alcuni lavori).
Rosa La Rana: Sinceramente non lo so! Se penso alla realizzazione tecnica, credo che avrei potuto fare di meglio.
Probabilmente la giuria ha colto il mio messaggio. Ha capito il pensiero di Ernest. Quindi mi ritengo pienamente soddisfatta! ^^
Andrea Iovinelli: I magnifici disegni di Massimo Dall’Oglio!
Massimo Dall’Oglio: Andrea ed io siamo molto affiatati e anche appassionati del genere cyberpunk. Secondo me in tutto il lavoro è emersa questa passione che siamo riusciti a tramutare in un prodotto di qualità. Credo che la qualità dell’insieme abbia pagato.
Mario Mazzo: A dire il vero non saprei dire, con precisione, cosa possa aver colpito la giuria. Giano si basa su uno stratagemma narrativo non certo immediato, per cui credo che l’opera abbia fatto una buona impressione soprattutto per il disegno e la scansione delle vignette. Vignette, immagino, piuttosto scorrevoli. Poi, suppongo che pure l’ambientazione possa aver giocato a favore.

L’adesione al concorso è nata da una predilezione per lo stile genericamente indicato come “manga”, o per cercare uno spazio che da altre parti e in altri concorsi non avete trovato?
Adriano Barone:
Il concorso chiede ESPLICITAMENTE di mandare fumetti nello stile che si preferisce.
In un’intervista rilasciata dopo la prima edizione del concorso, Eijiro Shimada, editor di Morning e giudice principale del concorso ha dichiarato a proposito dei manga fatti in USA: “È molto simile al manga Giapponese. Ma io cercavo qualcosa di molto americano, non giapponese. Penso che i fumettisti americani stiano cercando di emulare un po’ troppo i manga giapponesi. Il termine “manga” è un po’ mal interpretato. Il manga dovrebbe essere una forma di espressione libera e senza restrizioni. I lettori americani che affermano che il manga deve essere fatto “in un certo modo”, devono venire in Giappone e vedere cosa chiamano noi manga. Ci sono un sacco di cose che non sono importate”.
Quindi tutto il discorso del “Manga in salsa italiana/occidentale”, se non supportato da una propria solida visione d’autore, non significa nulla. Trovare la propria voce è fondamentale, indipendentemente dalle influenze – esplicite o meno – che si possono avere.
Simone Altimani: Il concorso invitava a spedire materiale realizzato con qualsiasi stile e Adriano in questo aspetto mi lasciava carta bianca, non capita spesso, DOVEVO disegnare questa storia!
Salvatore Pascarella: Entrambe. Ma soprattutto per il secondo motivo. La possibilità di esprimersi nel proprio modo senza “paura” di venir giudicati per uno stile grafico, per una vignetta aperta, per una trama. Il fumetto è questo, dopotutto. E come abbiamo visto, i giapponesi ne hanno compreso il vero senso, aprendo il proprio contest a TUTTI, senza restrizioni di stili, nazionalità. Peccato che in Italia tutto questo non sia ancora stato capito.
Rosa La Rana: Direi che è nata per entrambe le cose. E in più volevo mettermi alla prova, volevo vedere se riuscivo a creare qualcosa di breve e significativo, tra l’altro in poco tempo. Insomma, forse è nata più come sfida personale!
Andrea Iovinelli: Principalmente per tentare di trovare uno spazio di pubblicazione, anche se insperato.
Massimo Dall’Oglio: Come sopra: ho partecipato perché volevo mettermi alla prova in Giappone, ero ansioso di sapere come un’importante casa editrice giapponese avrebbe valutato il mio lavoro.
Mario Mazzo: Innanzitutto s’é trattato d’una sfida, lo ripeto. Poi, ammetto che un concorso indetto da Kodansha può creare diverse aspettative in caso di vittoria altrimenti inimmaginabili. Non ho assolutamente partecipato spinto dall’idea di sfruttare il mio stile manga dato che in diversi colloqui mi son sentito dire di tutto riguardo il mio lavoro. Dal troppo manga al troppo poco manga. Ovviamente ognuno è alla ricerca di spazi propri.

Che speranze riponete in questo concorso?
Adriano Barone:
Nessuna. Sono contento di essere arrivato in finale (anche se appunto sono convinto che il merito sia tutto dell’eccezionale lavoro di Simone, non mio), perché mi ha dato un minimo di visibilità personale e una sorta di “riconoscimento” sulla qualità del mio lavoro e delle mie idee, ma non credo che ne verrà fuori qualcosa di più di una riga in più sul mio curriculum personale.
Simone Altimani: Di solito preferisco non aspettarmi nulla e rimanere con i piedi per terra. La soddisfazione è già grande, il resto è grasso che cola.
Salvatore Pascarella: Oddio, io non pensavo nemmeno di arrivare a questo risultato, in tutta onestà ho ottenuto anche di più di quello che mi aspettavo e/o meritavo. Per questo turno quindi, va bene così, da parte mia ho sentito veramente un grande “incoraggiamento” a continuare, da parte della Kodansha, e venire ripagati per i propri sforzi è davvero una cosa bellissima.
Rosa La Rana: Speranze? Più che speranze dirette, nutro speranze indirette! Ovvero spero che questo concorso faccia aprire gli occhi ad altre case editrici nostrane e non.
Andrea Iovinelli: Oggi, nessuna. Al momento della partecipazione, è naturale che una certa speranza, ancorché remota, c’era.
Massimo Dall’Oglio: Nessuna dal punto di vista economico/lavorativo, era un banco di prova per lo stile, per la tecnica narrativa, per un sacco di cose. Era una prova per me stesso, i concorsi mi rendono adrenalinico e mi mettono nella condizione mentale di produrre qualcosa che non andrà ad un generico lettore ma ad una commissione di esperti. Questo insieme di cose mi permette il più delle volte di fare un salto qualitativo. È come un esame… dopo che lo si supera ci si sente sempre un po’ più maturi.
Mario Mazzo: Beh, parlarne ora non ha più molto senso ma ammetto che, anche precedentemente all’annuncio della vittoria sfumata, non nutrivo chissà che genere d’aspettative.

Riferimenti:
Morning: e-morning.jp
Morning International Manga Competition: e-morning.jp/mimc/index.html
I finalisti della 2a edizione: e-morning.jp/mimc/result2/english.html
Adriano Barone, blog: adriano-barone.blogspot.com
Simone Altimani, blog: simonealtimani.blogspot.com
Salvatore Pascarella, pagina su deviantart: www.sorein703.deviantart.com
Rosa la Rana, pagina personale: enarmoniapmavdp.spaces.live.com
Andrea Iovinelli, blog: andreaiovinelli.blogspot.com
Massimo Dall’Oglio, sito: www.karmaspazio.it
Mario Mazzo, sito: www.noein.it

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