Stefano Tamiazzo è l’autore del soggetto, della sceneggiatura (insieme a Gris de Payne) e dei disegni di Cynocephales, suo nuovo lavoro edito da ReNoir Comics. È anche direttore artistico e docente presso la Scuola Internazionale di Comics di Padova, sua città natale. Dopo aver vinto il Premio Perlambicchi, per Viz Communications pubblica il suo primo fumetto: A night’s dream of near…escape!!!. Prima di dedicarsi a La Mandiguerre insieme a Jean-David Morvan, opera grazie alla quale ottiene una nomination come “miglior disegnatore italiano” al Napoli Comicon, ha realizzato per la casa editrice giapponese Kodansha la storia Niente succede per caso. Abbiamo incontrato Stefano presso il negozio “Fumetti & Soda Padova” in occasione della presentazione di Cynocephales.
Com’è avvenuto il primo incontro con i fumetti e quando è nato il desiderio di diventare fumettista?
Come tutti i bambini degli anni Settanta disegnavo, il foglio era uno spazio bianco strepitoso. In casa c’erano sempre dei fumetti, perché mio papà e mio fratello li leggevano. Nei primissimi anni Ottanta, ho scoperto una rivista, comprata perché all’interno c’era una storia di Martin Mystère a colori e all’epoca ne ero un grande fan. Vi ho trovato anche un disegnatore pazzesco: Serpieri! Poi ho comprato i volumi di Un uomo un’avventura, ossia la modalità con cui la Bonelli portava in Italia storie di 46 tavole di grandi dimensioni tipiche della tradizione francofona. Si poteva apprezzare un’avventura come se fosse un libro o un film, dall’inizio alla fine, con vignette che fuoriuscivano, con un’impostazione della pagina libera dalle tre strisce, in un formato che dava al fumetto il valore di un oggetto prezioso. Così, ho deciso di regalarmi tutti i numeri di Orient Express, la rivista diretta da Luigi Bernardi, in cui erano contenute storie di Giardino, Manara, Saudelli e Magnus. Ricordo anche che compravo i fumetti facendomeli spedire da Alessandro Distribuzioni che, una volta, mi ha mandato in omaggio un Jonathan di Cosey e alcuni cataloghi di albi francesi. Ho scoperto gli Umanoidi e la Glénat. Dai 14 anni il piacere di disegnare si è radicato, ma ho rimandato ai 17 anni l’approccio più serio. Ho comprato Lo studio della figura in movimento di Burne Hoggarth che con il suo metodo ha formato molti disegnatori di supereroi. Ho fatto degli studi semplici di anatomia e velocemente ho acquisito consapevolezza. Ho cominciato presto a lavorare disegnando persone nei pannelli dei progetti di un architetto amante del cinema e dei fumetti.
Come sei arrivato a formare il tuo stile di disegno? Si è trattato di un processo graduale oppure è bastato dare sfogo alla creatività?
Ho letteralmente saccheggiato le tavole disegnate da Vittorio Giardino, pur non amando l’ambiente metropolitano e l’odierno, cogliendo la sua evoluzione nelle pagine di Sam Pezzo. Ho capito che non sapevo disegnare in modo realistico, ma che i fumettari hanno una natura alla quale non si devono ribellare. Della mia natura fa parte il segno grottesco: quando ho iniziato ad allargare bocche, a ingigantire occhi o a ridurli ai minimi termini, a giocare su elementi non realistici, il mio disegno ha acquisito compiutezza.
Lavorando a una vignetta singola ero bravo, ma quando montavo in pagina no. Allora ho cercato di capire come funzionava una storia, ho iniziato a studiare sceneggiatura, ho acquistato dei manuali cinematografici. Con l’aumentare delle conoscenze riguardanti sceneggiatura e regia, il mio disegno è migliorato notevolmente. Vicino a casa mia abitava un signore che si occupava di fumetti, durante il nostro primo incontro mi ha demolito, ma è stato prezioso, perché mi ha consigliato di dedicarmi al bianco e nero e di allenarmi soffermandomi sulle varie tipologie di ambienti, momenti, periodi e oggetti. L’ho fatto e mi è servito! Disegnare era la cosa più bella della vita, una sorta di religione.
Parlando in generale, quali sono le tue fonti d’ispirazione?
Non ci sono stati solo i fumetti. Dai 16 anni ho iniziato a guardare Lupin III e altri cartoni di Miyazaki e mi piacevano. Registravo il più possibile, soprattutto i cartoni animati, ma il primo amore è stato il cinema. Inevitabilmente certi meccanismi cinematografici mi sono rimasti impressi. Con l’avvento del videoregistratore, grazie al fermoimmagine mi esercitavo nelle piccole pose. Oltre a Miyazaki, ho saccheggiato i già citati volumi di Un uomo un’avventura, i lavori di Tardi, Cosey, Giardino. Poi ci sono Toppi, Battaglia e Pratt che hanno nutrito l’amore.
Oltre che disegnatore e sceneggiatore sei il direttore artistico della Scuola Internazionale di Comics di Padova. Quale può essere un primo bilancio, pensando a questa esperienza?
Quando Pavesio ha aperto la prima sede di Scuola Internazionale di Comics a Torino, mi ha proposto di collaborare. Venivo da un’esperienza decennale presso un circolo di Padova: insegnavo i rudimenti del fumetto, del disegno. Insieme a un amico che si occupava di teatro e cinema ho colto il potenziale della Scuola Internazionale di Comics e mi sono lanciato nell’avventura, aprendo la sede di Padova, con l’obiettivo di mettere a disposizione un centro di raccolta per gli aspiranti fumettari del Nord-Est. Negli anni abbiamo registrato numeri stupefacenti, in costante crescita, e ora abbiamo una quarantina di professionisti del fumetto, dell’illustrazione, dei videogiochi che insegnano a tantissimi studenti.
Passando al tuo ultimo lavoro, Cynocephales, come ti è venuta l’idea per il soggetto e cosa intendi raccontare? A quale pubblico ti rivolgi principalmente?
Prima o poi, per divertimento, tutti i fumettari disegnano una figura umana con una testa di animale. Ho raccolto un dossier e ho pensato a una rapina con personaggi che solo all’apparenza fossero mascherati, scartando l’ipotesi di costruire un fantasy basato su una fantomatica quanto trita profezia riguardante uomini diventati animali. Negli anni in cui non ho lavorato come disegnatore, perché la Scuola è diventata qualcosa di divertente e imponente, ho disegnato tantissimo, sperimentando a briglia sciolta. Assecondando la mia passione per la Storia, ho letto la tesi di dottorato di un amico sui mostri nella cristianità. Ho scoperto che nella mitologia carolingia Carlo Magno sconfigge i Sassoni con l’aiuto dei Cinocefali che sono una terza razza. Già nella Germania Tacito citava dei guerrieri che si rifacevano alla mitologia cinocefala. Ancora, alcuni scritti dei frati del IX secolo li accettano come esseri creati da Dio, mentre Paolo Diacono parla di guerrieri alti quattro cubiti. Chi ama la Storia può ricavare tantissimi spunti per i fumetti e per me è stato bello trovare l’appiglio storico per i Cinocefali. Ho pensato che Carlo Magno avesse concesso loro di continuare a vivere, seppure in un luogo angusto, poiché avevano contribuito alla vittoria in battaglia contro i Sassoni pagani. Ho deciso di tenere la catena a maglie chiuse per mille anni, finché uno di loro dice “basta”: non vuole più essere un mostro che combatte per gli altri, costretto poi a tornare nascosto. È una storia dura, intensa, che però si può raccontare senza spargere litri di sangue. Può essere letta da tutti, da un dodicenne e da un settantenne. Sono fiero del fatto che il volume richieda tempo nella lettura, come accade quando si fruisce dei fumetti di Pierre Christin ed Enki Bilal. La narrazione di fantasia si intreccia con la Storia, richiamando anche lo Studio Ghibli. Prendo a titolo d’esempio le vignette in cui il consiglio dei Cinocefali discute del colonialismo: è un pezzo di Storia che conoscevo bene ma che ho approfondito con una lunga serie di ricerche mirate.
Nell’approccio puoi individuare delle differenze tra Cynocephales e i tuoi lavori precedenti? Per esempio, rispetto all’esperienza de La Mandiguerre, per il tuo nuovo lavoro ti sei occupato sia dei disegni che della sceneggiatura. Che cosa cambia a livello di storytelling quando un disegnatore può raccontare la propria storia?
Quando un disegnatore e uno sceneggiatore collaborano, entrambi rinunciano a una parte del proprio ego per dare vita a un’opera che nel risultato non è più del tutto personale. Quando ho lavorato a La Mandiguerre sono stato fortunato, perché Jean-David Morvan mi ha chiesto di contribuire alla creazione del soggetto, lasciandomi la massima libertà nel disegno. Ha dato contorni definiti alle mie idee e per me era semplice trasportare sulla carta qualcosa che scaturisse anche dalla mia immaginazione. Grazie a Jean-David ho esaltato il mio modo di lavorare, anche modificando alcune sue direttive, perché gli mandavo degli storyboard molto dettagliati, mettendo a frutto la mia esperienza giapponese. D’altro canto, lo storyboard individuale richiede zero indulgenza, al punto che ho fatto e rifatto diverse tavole, cercando però di divertirmi, di assaporare il piacere di disegnare. Perlopiù si tratta di dettagli che danno un valore aggiunto al racconto, come suddividere in tante vignette una sequenza, per mostrare il punto di partenza e d’arrivo, guidando il lettore; riprendere piccole cose dai manga, però limitando l’uscita dalla pagina; attuare particolari giochi di masse. Durante il processo di lavoro mi sono trovato un po’ intrappolato, ma ho incontrato Gris de Payne che mi ha aiutato, revisionando i testi e offrendomi dei consigli che mi hanno dato nuova linfa. Inizialmente abbiamo collaborato, poi abbiamo scritto insieme. Altre piccole modifiche sono state fatte nella fase finale, quando Pierre Paquet di EP ha deciso di concretizzare la pubblicazione della storia, realizzando, grazie ad Andrea Rivi, una coedizione con ReNoir. Così il volume è uscito contemporaneamente in Francia, Italia, Belgio e Svizzera.
Perché hai scelto di creare una suddivisione all’interno della comunità dei Cinocefali, inserendo personaggi dall’aspetto umano? In generale, la razza mitologica e gli intrighi narrati nella storia possono essere metafora dell’attualità?
In mille anni alcuni Cinocefali si sono incrociati con umani normali. Se la parte pura rimane il braccio armato, i meticci diventano persone importanti, inserite nella società, creando un collegamento tra il mondo antico e il nostro mondo. Ho pensato a un racconto che mi permettesse di trattare un tema attuale, la diversità e la sua percezione. Tutto quello che ho disegnato, durante la mia carriera, ha un sottotesto. Per esempio, la storia di fantascienza che ho realizzato per partecipare al premio “Shikisho” di Kodansha, pur celato sotto uno stile-manga enfatizzato, richiamava il disastro del Vajont. Pensiamo a due personaggi di spicco di Cynocephales, Serge e Luc. Sono due giovani rampanti, eredi di una dinastia straordinaria, fieri in due modi diversi. Mentre Serge vorrebbe quasi uscire allo scoperto, Luc preferisce che i Cinocefali rimangano nascosti così da mantenere i privilegi di cui gode. Allo stesso tempo, quando si guarda allo specchio vede i suoi antenati mostruosi e prova un po’ di ribrezzo, percepisce un pezzo di sé che vorrebbe tenere nascosto. Malgrado il senso di colpa, alla fine la sua natura viene fuori, a causa di una paura che lo rende aggressivo.
Quali strumenti prediligi per realizzare la colorazione? Utilizzi sistemi digitali?
Il volume è stato colorato usando i Copic, che sono dei materiali straordinari, senza ritocchi digitali. Tutti gli effetti sono fatti a mano, usando perfino il bianco di cartone. Già a partire dalla copertina è stato fatto un grande lavoro manuale, grazie al contributo di due colleghi ex allievi della Scuola Internazionale di Comics, Carlo Piu e Simone Arena. Se si osserva, si nota che la “C” del titolo è una forgia, la “L” una pistola. All’interno, poi, c’è la sequenza di un temporale che riprende la suddivisione in fotogrammi tipica dell’animazione, col negativo, la china, l’effetto che riunisce al bianco. È stato divertente mettere i primi piani a china da contrapporre con le matite in distanza, aggiungendo una serie di giochi non realistici.
Per concludere, avendo la possibilità di lavorare con i giovani e di osservarne percorsi e passioni, pensi che sia cambiato qualcosa nel mondo del fumetto negli ultimi anni?
Una volta i fumettari avevano meno tecnica ma qualcosa in più da dire. Oggi ci sono varie scuole e corsi per formare disegnatori, illustratori, coloristi, sceneggiatori. Però rimane un mestiere antico: servono tanta passione, pazienza, a cui aggiungere metodo e disciplina. La novità sta nella necessità di diventare anche imprenditori di se stessi, contattando gli editori, ormai tutti presenti sul web. Non ci sono più scuse, perché le possibilità ci sono, vanno colte con consapevolezza. Bisogna anche fare attenzione alle esigenze del mercato: vendite che solo dieci anni fa erano considerate normali oggi sono straordinarie; di contro, le tempistiche si stanno stringendo. Con l’aumento dei titoli prodotti, la loro rilevanza nell’esposizione tra le novità è molto limitata, perciò si tende a privilegiare le saghe più corte.
Ringraziamo Stefano Tamiazzo per la sua disponibilità.