In occasione di Lucca Comics & Games 2015, abbiamo avuto la possibilità di intervistare James O’ Barr presso lo stand delle Edizioni BD, rivolgendogli alcune domande su cosa rappresenti per lui Il Corvo oggi, a distanza di quasi trenta anni.
James O’ Barr, che ha studiato scultura rinascimentale e fotografia, è cresciuto in un orfanotrofio di Detroit senza aver conosciuto i suoi genitori.
Nel 1978 la sua ragazza Bethany venne uccisa in un incidente da un automobilista ubriaco: l’evento segnò James al punto da spingerlo ad arruolarsi nei marines, per tentare di placare il senso di colpa e la sofferenza. Durante il periodo dell’arruolamento era di stanza in Germania e illustrava manuali da combattimento. Fu proprio nel 1981, a Berlino, che gettò i semi de Il Corvo, a oggi la graphic novel indipendente più venduta della storia, con quattro milioni di copie. Ha lavorato con i principali editori americani (Dark Horse, Image Comics, Anubis Press) e attualmente vive in Texas.
Il Corvo è nato come una catarsi del dolore provato per la perdita di una persona cara. Eppure, è rimasto al tuo fianco per tutti questi anni, attraverso nuove storie. Possiamo considerarlo come l’impossibilità di liberarsi definitivamente dal dolore? O esso si è trasformato?
Più che una catarsi, al di là della violenza contenuta nella storia, sono arrivato a considerarlo come una celebrazione dell’amore. Il fulcro della narrazione è l’amore che si prova l’uno per l’altro. Ho cercato di sottolineare l’importanza di vivere il momento, di non attendere finché non è troppo tardi. Voglio dire, mi ci è voluto molto tempo per arrivare a questa consapevolezza, ho dovuto rielaborare il lutto a lungo. Il Corvo è nato come una riflessione sulla rabbia per la perdita dell’amore. Sono stato arrabbiato per ciò che era accaduto per molto, molto tempo.
Come ti senti a scrivere e disegnare questo personaggio oggi?
Tutto ciò che scrivo e disegno è per me un diario personale, in cui esploro i miei sentimenti, non sono così diverso dalla maggior parte della gente. Tutti condividiamo gli stessi sentimenti, le stesse sensazioni, le stesse perdite, i piccoli paradisi datici dall’amore per poi perderli. È un sentimento universale. Ero in Russia di recente e ho avuto la stessa sensazione: per quanto si dica di essere diversi, tutti cerchiamo di essere accettati, di ottenere l’amore o il perdono. È proprio per questo motivo che credo che il Corvo abbia avuto successo e sia stato serializzato per più di 26 anni, perché affronta temi universali: prima o poi, perderemo qualcuno che amiamo, che sia un genitore, un fratello, un amico.
Quello che mi sento di dire è che sono molto cambiato da quando ho iniziato a scriverlo: adesso non sono più arrabbiato. Sono felice per il tempo che sono riuscito a condividere con determinate persone. Ho fatto pace con Dio e mi sento felice come persona.
Qui in Italia non abbiamo visto molte altre tue opere oltre al Corvo, che è quindi diventato un mito a sé stante superando la fama del suo autore. Cosa ne pensi?E’ vero, ho prodotto più di 12.000 pagine a fumetti ma questa resta l’opera per cui sono conosciuto. Ma a me sta bene, lo considero un figlio, ne sono orgoglioso. Mi ha dato l’occasione di vivere una vita soddisfacente. Certo, sono orgoglioso anche delle altre cose che ho prodotto, ma questo è mio figlio. Adesso sono a Lucca, dopo 20 anni, e sono felice.
Sei d’accordo con l’idea che una volta pubblicate, le storie appartengano ai lettori e non più agli scrittori?
Sì. Quando scrivi o disegni qualcosa, lo stai dando al pubblico e speri sempre che si crei una sorta di connessione, perché non mi sento così diverso dai miei lettori, tutti condividiamo.
E’ una cosa meravigliosa sapere di non essere solo, sentire che qualcuno prova le tue stesse sensazioni e sentimenti. A me è successo per la prima volta con i Joy Division, mi sono sentito come se qualcuno riuscisse a esprimere esattamente cosa stavo provando. Mi sentivo solo, incapace di meritarmi qualcosa, mi sentivo un mostro, e questa band mi ha fatto sentire capito. Trovo bellissimo che le persone percepiscano questo tipo di cose nel mio lavoro. Certe sensazioni ti portano a isolarti, non ne vuoi parlare con amici e famiglie. Facciamo finta di essere felici tutto il tempo. È giusto sentirsi tristi e poterlo esprimere. È ciò che ci rende quello che siamo.
In che modo sei stato coinvolto nella produzione del primo film?
Ero molto coinvolto, dall’inizio alla fine, e la cosa di cui sono insoddisfatto è che eravamo molto legati al budget. Era un film da 10 milioni di dollari, una cifra con cui oggi si girano circa 90 secondi di Big Bang Theory. Quindi ero impossibilitato a fare molte cose. È in preparazione un altro film che sarà molto, molto simile al fumetto, quasi un adattamento pagina per pagina. Vorrei riuscire a inserire tutte le metafore visive, come i cavalli e gli alberi, o le immagini delle finestre e delle sedie vuote, sono cose per me molto importanti e mi rende felice poterle inserire in questo nuovo film. Il film con Brandon Lee rappresenta circa un 30% del libro e come spesso accade quest’ultimo ha più livelli di lettura e profondità, perciò vorrei inserire più dettagli.
Quando dovrebbe uscire il nuovo film?
Dovremmo iniziare a girare il prossimo Halloween, stanno finendo di preparare i set, ma mi sembra una previsione ottimistica. Io spererei di iniziare a girare nel giorno di San Valentino perché è una storia d’amore. Le donne di solito la vedono come tale, mentre gli uomini vedono una parabola di vendetta, ma nel profondo resta una storia d’amore. È un’ultima lettera a qualcuno che ho amato.
Cosa ricordi della tragedia di Brandon Lee?
Anche dopo tutti questi anni, per me è ancora molto difficile perché Brandon per me era come un fratellino, gli volevo molto bene ed era una delle persone più dolci e generose che abbia mai conosciuto. Non posso spendere abbastanza buone parole per lui. Disegno il Corvo ma non disegno Brandon Lee, perché ancora mi si spezza il cuore.
Intervista svoltasi a Lucca Comics & Games 2015 il 29 ottobre da Giulia Prodiguerra e Giuseppe Lamola.