L’annuncio che due autori dal percorso e dallo stile finora considerati inconciliabili con il fumetto bonelliano avessero in progetto di scrivere e disegnare per Dylan Dog ha sorpreso molti. Akab e Ausonia sono accostabili al fumetto indipendente, underground, sono dotati di grandissimo talento e spirito artistico e in passato, sono stati spesso critici verso l’atteggiamento editoriale e la produzione culturale della Bonelli Editore. Per parlare di questa scelta apparentemente contraria alla loro indole, dobbiamo però partire da molto prima, conoscerli meglio e capire le loro ultime opere, ABC e Monarch.
Akab o Aka B (al secolo Gabriele di Benedetto) spazia tra pittura, cinema, animazione, ma tutto lo riporta inevitabilmente al fumetto. E’ stato uno dei fondatori dello Shok Studio per il quale ha pubblicato la serie Morgue; ha lavorato per le principali case editrici statunitensi. Con il collettivo Dummy ha scritto e disegnato Le 5 fasi (Edizioni BD). Il suo ultimo lavoro è Monarch (edizioni Logos) Il suo blog è mattatoio23.blogspot.com.
Ausonia (nome d’arte di Francesco Ciampi) nasce come illustratore collaborando con riviste di giochi di ruolo fino a Heavy Metal. Nel 2006 esce Pinocchio – Storia di un bambino (Pavesio), a cui seguono P-HPC Post-Human Processing Center, la trilogia Interni – o la miserevole vita di uno scrittore di successo, Le 5 Fasi (Edizioni BD) e infine ABC (Coconino), ultimo volume a fumetti pubblicato. È docente di fumetto e illustrazione alla Scuola internazionale di Comics di Firenze.
AUTORI E ARTISTI
Da osservatore esterno la vostra relazione col fumetto appare assai diversa: dettata dall’urgenza, istintiva, una risposta a un impellente bisogno per Akab; meno impulsiva, più tormentata per Ausonia. Quanto ho sbagliato nella mia visione e come vivete il rapporto con l’arte e il fumetto in particolare?
Akab: Credo che le cose siano più complesse. Il bisogno di fare risponde sicuramente a delle esigenze istintive, ma è anche vero che prima di trovare una sua forma concreta rimane per molto tempo nella testa, come una sorta di sottotesto latente ma continuo, quindi frutto di un ragionamento molto razionale. Premesso questo, nel momento della loro realizzazione prediligo forme immediate e tempistiche anti bibliche proprio per salvaguardarne la franchezza. Come dire che esiste un solo momento valido per cogliere la frutta. Per quanto riguarda l’ approccio al fumetto è talmente cambiato negli anni che non credo abbia senso darti una risposta visto che è in continua mutazione. Di base credo che l’arte serva, a chi la fa, per stare (un poco) meglio e a sperimentare la creazione dal punto di vista del creatore.
Ausonia: Vivo il processo della realizzazione di un fumetto – che nel mio caso può durare anni – con molta passione. Empatizzo molto con i miei personaggi, fino a sentirli reali. E questo… è molto faticoso per me. Non sono uno di quelli: “Che bello fare fumetti!”, mi costa molta fatica. Non mi diverte farli. Mi intriga, ne vengo rapito totalmente. Ma riuscire a portarli in tipografia è una liberazione ENORME.
Entrambi non concedete sconti nelle vostre opere. Il lettore deve essere attore di quel che legge, non limitarsi ad assorbire come davanti alla TV. Mi sembra una forma di rispetto per l’intelligenza del lettore. Qual è il vostro rapporto con i lettori, come lo vivete?
Akab: Le tue domande intelligenti portano dentro già delle risposte. Io potrei solo divagare parlandoti di me come lettore\pubblico. Salvo poche eccezioni mi interessa sempre meno la roba fatta da gli altri. e credo stia succedendo lo stesso a molte altre persone. Il punto è che forse ci stiamo accorgendo del valore del tempo. Oggi più che mai mi chiedo 10 volte prima di decidere se mi va di accordare due ore a tale regista o autore per sentire la sua storia. Mi sembra che si stia andando giustamente verso una strada in cui tutto queste genere di cose, tipo musica, letteratura, cinema, radio e tv non solo saranno gratis ma dovranno ritenersi fortunate se qualcuno se le caga ancora.
Ausonia: Con alcuni di loro, nel tempo, ci sono diventato pure amico. Ti confesso, però, che mi stupisce tanto vederli in fila per farsi autografare la loro copia, perché fino a quel momento non so niente di loro. Non mi interesso alle loro aspettative. Mi sento libero di scrivere e di disegnare solo ciò che interessa a me. Penso a ciò che mi piacerebbe trovare in libreria. Faccio i fumetti che vorrei leggere.
Che rapporto avete con internet, i social network?
Akab: Fondamentalmente penso serva a rubarsi il tempo uno con l’altro.
Ma come tutto è doppio e senza dubbio può essere usato in maniera sensata.
Io non ne sono in grado.
Ausonia: Con internet… in genere abbastanza buono. Con i social… boh. Sono solo su Facebook, lo uso spesso per i messaggi privati, hanno sostituito quasi totalmente le mail. Per il resto… lo trovo anche abbastanza ridicolo.
Mi sembra che entrambi arriviate al fumetto partendo da un’idea di arte che si può esprimere anche attraverso questa forma di comunicazione. Questo vi porta ad avere un punto di vista specifico su cosa sia il fumetto e come si possa fare arte con esso, piuttosto che con il cinema, la fotografia, l’illustrazione, etc etc?
Akab: Nel mio caso credo sia andata come quelle papere appena nate che scambiano come madre la prima cosa che vedono. Si chiama imprinting (una parola che contiene dentro di sé già la stampa): ecco, il mio lo è stato con i fumetti. Ho due fratelli più grandi che quando ero piccolo ne leggevano molti. Così tra i primi ricordi ho i cartonati di Asterix su cui disegnavo i supereroi Marvel. Misurarmi con altri media mi è sempre sembrato solo un modo per poter tornare con nuovi occhi al mio linguaggio madre. Proprio come le papere.
Ausonia: Con Interni ho provato a spiegare/spiegarmi quale fosse il mio approccio al fumetto. Ma mica ci sono riuscito a capirlo. Per certi versi, spero non mi sia mai del tutto chiaro come e perché faccio le cose come le faccio.
Parliamo dei rispettivi ultimi lavori
AKAB – MONARCH
Fumetto o libro illustrato, come consideri Monarch e, soprattutto, ti interessa trovargli una definizione?
Akab: Ovviamente no, non mi interessa. Ma visto che siamo qui a parlarne… L’essenza è raccontare una storia attraverso parole e immagini e questo è quello che faccio cercando di avere uno sguardo il meno possibile condizionato. È un modo per far si che sia la storia stessa a suggerirmi la forma. In Monarch è successo esattamente questo, più ragionavo su quelle tematiche più emergeva uno schema, una struttura, elementi che sembravano da soli trovare il loro esatto posto.
Come scegli il formato delle storie che vuoi narrare, come decidi se riversarle in fumetto o in altre forme?
Akab: Ho risposto sopra. In una parola direi abbandonandosi.
Monarch è nato in maniera organica, già con testo e disegni accoppiati? Quale è stato il processo creativo di quest’opera?
Akab: Mi sono imbattuto nel progetto MK Ultra moti anni fa è mi è subito risuonato come qualcosa che potesse contenere elementi universali. L’idea stessa di identità, cosa fa di una persona proprio quella persona e come sia possibile condizionarla, deformala a proprio piacere. Per molto tempo ho tenuto questa idea in testa arricchendola di volta in volta di vari pezzi come un delirante mosaico sulla dicotomia schiavo\padrone. Come ti dicevo poco a poco è emersa la struttura e una volta definita questa sono partito a scrivere il “primo libro” che poi ho illustrato; dopo di che sono passato al “secondo libro” trattandoli di fatto come due libri distinti ma complementari.
I disegni evocano ma non mostrano, al contrario di un testo più diretto eppure dotato di una sua “poetica”. Un equilibrio che è pure contrasto. Cosa volevi trasmettere con questa scelta narrativa?
Akab: Anche qui mi sembra di cogliere la risposta nella tua domanda. Monarch è sopratutto un libro sulla dualità. Meglio ancora sulla sua illusione. Questa cosa che ci spinge sempre a semplificare tutto facendoci schierare da una parte o da un altra, attratti dal conflitto in un giochino semplice quanto inesorabile. Ecco quindi che l’equilibrio emerge proprio in virtù di quel contrasto a cui fai riferimento.
Leggere ha una componente fisica, lo sfogliare le pagine. Monarch si compone di coppie di tavole, una di testo e una illustrata, e leggerlo crea come una cadenza, un ritmo musicale. Avevi una colonna sonora ideale in testa durante la realizzazione?
Akab: Musica poca, soprattutto conferenze assurde. Da i mentalisti a gli ipnotizzatori, da presunti torturatori a effettivi torturati, massoni e massaie, alieni e alienati ecc ecc.
Oltre allo sfogliare le pagine, il flip book obbliga a un altro gesto, quello di voltare il libro alla rovescia. Un gesto che non mi sembra gratuito ma con una sua componente narrativa forte. Ci racconti come hai pensato a questo formato? È nata prima la storia o prima l’idea del volume costruito così?
Akab: Man mano che ci lavoravo il tema del doppio, della simmetria, della specularità si è fatto talmente forte da suggerirmi la struttura palindroma. Capovolgere il punto di vista, anche fisicamente, mi è sembrato il modo migliore per esprimere questo concetto.
La violenza e l’orrore che esprimi sono molto reali e, per questo, annichilenti, difficili da sopportare. Richiamano la cronaca quotidiana tanto quanto casi ancor più estremi, eppure reali. Se da lettore sono testi e illustrazioni disturbanti, cosa significa scriverli, doverli domare, “guardare nell’abisso”?
Akab: Gente più intelligente di me che ho la fortuna di frequentare dice che ho una natura fortemente solare e potrei dire persino di essere una persona a mio modo leggera. Credo che sia proprio per questo che sono interessato ai lati così detti oscuri. Insomma vado a investigare le zone che conosco meno proprio per contrasto. È anche vero che quando ho scritto Monarch mi sono confrontato in prima persona con ognuno dei disumani 30 metodi e senza entrare nel dettaglio ti posso dire che non è stato affatto semplice né leggero. Alcune questioni erano talmente pesanti che l’unico modo che ho trovato per affrontarle è stato la poesia, e ho detto tutto.
AUSONIA – ABC
Arrivi a pubblicare per Coconino prima, per Bonelli a breve, sono punti di arrivo per certi versi, o solo tappe del tuo sperimentare diverse tipologie di editoria e di distribuzione?
Ausonia: Per me il vero punto d’arrivo è stato realizzare la trilogia Interni, un lavoro di tre anni totalmente autofinanziato. È stata una sfida entusiasmante e logorante. Che ha dato frutti inaspettati. Sono stati tre anni duri e bellissimi.
ABC era perfetto per Coconino, non poteva avere altro editore. Igort lo notò quando nel 2006 iniziai a pubblicarlo sul mio blog… poi… ho impiegato anni per portarlo a termine, ma mi piaceva l’idea di lavorare con lui, lo stimo molto. Coconino pubblica alcuni tra i migliori talenti contemporanei, non avvicinarmi a quella realtà editoriale sarebbe stato un atteggiamento antistorico anche per un cane sciolto come me.
Per un autore anche “sanguigno” quando si tratta di discutere in rete, in ABC affronti argomenti come la fede e la convinzione della vita dopo la morte. Ti va di parlarmi del tuo rapporto con la religione nel senso più alto, con la fede, il credere in qualcosa di più e di oltre l’uomo, e di quello con la Chiesa e le altre organizzazioni religiose?
Ausonia: Credo che nelle non-risposte presenti in quel fumetto ci siano già tutte le mie idee sull’argomento. In ABC non ci sono preti, non c’è la religione.
Non c’è Dio.
C’è solo un cimitero. Un prato dove vengono disposti ordinatamente i cadaveri.
E poi… non sono neanche così tanto convinto che quello sia un fumetto sulla morte. Forse a una prima lettura superficiale il tema pare proprio quello. Per me, invece, i ”B” (questa sorta di zombie gentili), che stanno tra gli “A” (i vivi) e i “C” (i morti) non sono altro che una metafora sull’evoluzione della crescita di una persona. Perché la storia parla della diciannovenne Laura che da adolescente sta per entrare nell’età adulta. Si trova là in mezzo. Spaesata e spaventata come i “B” della storia.
ABC offre molte domande, e pochissime risposte. Come la vita vera. Mi sembra un atteggiamento molto sincero da parte tua, un evitare di salire su pulpito, di portare le tue convinzioni sopra alla storia, al fumetto. Come è nata la storia e questa sua atmosfera malinconica?
Ausonia: È nata in una soffitta di una piccola casa del cinquecento in cui abitavo nel centro di Firenze. Me ne sono stato lì, chiuso pre ore, e ho disegnato di getto le prime pagine. Era una casa appartenuta a chissà quante famiglie e chissà quanta vita e morte aveva ospitato… è nato tutto lì, in mezzo a quei fantasmi.
Ci sono due momenti in particolare che mi hanno colpito. Il primo, il più evidente, quando Laura si rende conto del suo aspetto “reale” e il segno sintetico, fumettistico, lascia spazio a uno maggiormente realistico. Mi ha colpito intanto per il perfetto uso a livello narrativo: Laura è il tramite del lettore e si rende palese che quello che vediamo è il mondo attraverso i suoi occhi. Ci vuoi parlare di questa scelta narrativa?
Ausonia: Ci sono angoli della tua casa che se ti chiedessi di descriverli nel dettaglio tu non lo sapresti fare. Eppure quella casa, ogni sua parte, l’hai vissuta per moltissimo tempo. Noi vediamo tutto e guardiamo solo lo stretto necessario che ci consente di campare sereni. È un attitudine molto basica che abbiamo sviluppato per semplificare le cose. Il mondo intero. Ci nutriamo di semplificazioni. Continuamente.
Anni fa mi capitò di tenere un corso di disegno sul ritratto. Chiesi agli allievi, che erano quasi tutte persone mature se non anziane, di visualizzare il volto di un loro parente, di qualcuno che conoscessero bene. Il volto della moglie, del marito, di uno dei figli. Dicevano di riuscirci. Rimanendo ad occhi chiusi riuscivano a immaginare quei volti. Poi chiesi loro di abbandonare la visione d’insieme e di concentrarsi sui dettagli: le palpebre, il labbro inferiore, le narici e… andarono letteralmente in crisi! Nessuno di loro era in grado di “vedere” le giuste forme di quei volti. Dicevano che erano come “immersi nella nebbia”.
La settimana successiva portarono le foto del soggetto che avevano scelto… lasciai che le osservassero bene. Dedicarono molta attenzione nel guardare quelle facce, e si stupirono molto di alcuni particolari. Dicevano di essere sposati con quella persona da vent’anni e di non aver mai saputo che orecchie avesse. Avevano baciato quelle labbra per anni e non ne sapevano la forma esatta. Solo in quel momento potevano provare a ritrarli, e ogni tratto lasciato sul foglio era per loro una strabiliante scoperta. Erano formidabili le espressioni di stupore che avevano mentre disegnavano. Fu molto divertente per me. Divertente e illuminante. Perché un disegnatore la conosce bene la differenza tra il vedere e l’osservare ma non funziona per tutti così e l’idea di disegnare in modo diverso le soggettive di Laura nasce da qui. Le cose in ABC appaiono semplificate quando la protagonista non trova il coraggio di rapportarsi correttamente con ciò che la circonda, è come se escludesse totalmente certi dettagli per rendere la realtà meno complessa. Meno spaventosa. Nella sequenza in cui si guarda allo specchio e descrive in dettaglio il volto che vede, è come se stringendo i pugni prendesse consapevolezza della propria complessità di giovane donna. È un momento molto forte. L’herpes sul labbro, le lentiggini, i capillari degli occhi… Per la prima volta, insieme al lettore, vede se stessa.
Mi ha colpito anche perché ė il momento in cui metti maggiormente in gioco il lettore, rompi il patto dichiarando apertamente che si sta leggendo un fumetto. Mi sembra un momento di forte intimità e complicità con esso.
Ausonia: È complicato fare fumetti se decidi di voler ottenere un grado di immersività maggiore. Soprattutto è difficile perché le persone, in genere, non hanno molta dimestichezza con i fondamentali della percezione visiva. Non la si studia quasi mai a scuola e benché viviamo nella stupida società dell’immagine, quasi nessuno ha gli strumenti per interpretare ciò gli viene mostrato. Il disegno è un’impegnativa interpretazione del reale, è questa la differenza tra il fumetto come lo intendo io e il fumetto popolare, dove tutto è disegnato in modo molto realistico e stereotipato per non lasciare spazi interpretativi, o dubitativi, in chi legge. Ma l’elemento grafico, il segno, resta fondamentale, non è quella robetta che semplicemente accompagna in modo didascalico il testo, ma è parte integrante della narrazione. Del testo. Significato e significante sono i due elementi che contraddistinguono il fumetto. Il primo lo interpreti con l’emisfero sinistro e l’altro col destro. Simultaneamente. Leggere fumetti può essere un’esperienza percettiva unica. Clamorosamente complessa ed eccitante. Trovo che 29 critici di fumetto su 30 ignorino questo aspetto. TOTALMENTE. Trattano le vicende del fumetto in base a ciò che hanno letto nei balloons e quasi mai in base a ciò che leggono nel segno. Nella gran parte delle recensioni infatti si parla della storia e poi del disegno. Sì, come fossero due aspetti distinti e separati. Non sanno, questi 29 cialtroni, che dietro questa loro disgraziata dicotomia si cela la ragione che li dovrebbe spingere ad occuparsi d’altro.
Un altro momento, meno evidente, è quando il professor Honnorat svela di star scrivendo un racconto “che sembra parlare di zombie” intitolato “ABC”. Per un attimo ho “temuto” una deriva alla Interni, mi sarebbe sembrata forzata. Ma allora cosa sta a significare questo episodio? Perché hai sentito la necessita di inserirlo?
Ausonia: Pagina 208. Consapevole del fatto che tutti guardano ma quasi nessuno osserva, la 208 è una vera e propria pagina fantasma che ho inserito all’interno del libro. Tutti l’hanno letta, ma quasi nessuno la ricorda. A un anno e mezzo dall’uscita di ABC sei uno dei pochissimi che me ne parli, che non l’abbia rimossa subito dopo.
Quella è una parte del testo che mette in forte discussione la veridicità della storia. La mette talmente tanto in discussione che chi legge tende a cancellarla per non interrompere l’amata e rassicurante sospensione dell’incredulità. Per non “rovinarsi” la lettura. Per non abbattere le fondamenta della struttura narrativa e smettere di credere ciecamente all’autore. E lì, chi legge, fa ciò che fa Laura: omette un dettaglio. Un dettaglio, però, grosso come una casa. Perché lì ti viene detto che quel libro che stai sfogliando – forse – non è la storia della postina Laura che cerca di parlare per l’ultima volta con la nonna defunta… ma un racconto scritto dal vecchio e cinico professore in pensione. Il dubbio può restare, certo. Ma…
È un caso che Laura e il professor Honnorat non parlino mai dei “B”? Sono gli unici che non lo fanno. Sono quasi sempre da soli, e niente in quelle sequenze induce a pensare che nel loro mondo, nella loro realtà, esistano questi “zombie gentili”. Niente.
Forse, tutto ABC è solo un racconto fantastico e allegorico che il vecchio sta scrivendo come regalo per il compleanno della ragazza… del resto anche Interni era il titolo del romanzo al quale stava lavorando il protagonista di quella trilogia.
Chissà.
Perché una collocazione temporale tanto precisa, con le date a scandire gli avvenimenti, e perché proprio quegli anni, quei giorni? Cosa sono stati per te i giorni dal 1 aprile 2005 al 11 maggio 2005?
Ausonia: Guarda, al tempo dei social network e dell’iper-condivisione… non c’è niente di più prezioso che saper custodire i propri segreti.
DYLAN DOG
Siete sempre stati molto critici verso il fumetto Bonelli. Eppure avete accettato di mettervi in gioco su Dylan Dog. Perché?
Akab: Personalmente ho criticato una casa editrice con delle enormi possibilità di manovra, che vedevo incapace di alcun movimento, reiterare all’infinito albi che sembravano fotocopie sempre più sbiadite di antichi fasti. L’ho messa giù un po’ aulica per non prestare il fianco a gli haters.
Ausonia: Ad essere sinceri è la Bonelli che ha deciso di mettersi in gioco con noi. Voglio dire, avevo avuto altre proposte come disegnatore per quelle serie, proposte che avevo sempre rifiutato perché sono un autore completo e di ottimi disegnatori ne hanno a decine. Che bisogno c’era di avere me? Nessuno.
La proposta che ci è stata fatta è – storicamente – nuova per quella casa editrice, ci è stata data libertà espressiva totale. Non potevo rifiutare. Perché le mie ripetute e aspre critiche vertevano proprio sulla monolitica ripetitività delle loro proposte.
Quanto ha pesato la presenza di Roberto Recchioni? Quanto l’assenza di Sergio Bonelli?
Akab: In verità non saprei. Da quel che ho capito l’idea parte da Ausonia, in ogni caso credo nell’allineamento dei pianeti.
Ausonia: Molto in entrambi i casi.
Vi aspettavate certe reazioni alla notizia? Che ne pensate?
Akab: Il giorno che è stata data la notizia del mio coinvolgimento su Dylan Dog, 400 persone mi hanno tolto “l’amicizia” su FB. È una cosa che mi ha fatto molto ridere. Gurdjieff la chiama “la via del biasimo”.
Ausonia: Ho visto entusiasmo. E mi ha fatto piacere.
Come vedete questo impegno? Una sfida, un omaggio a un personaggio che fa parte dell’immaginario – volenti o nolenti – della nostra generazione, un’occasione per far vedere “come” intendete il fumetto… Cosa?
Akab: Tra il lavoro e un gesto dadaista.
Ausonia:Sì, un gesto dadaista.
Credete che il personaggio di Sclavi sia dotato di maggiore elasticità rispetto ad altri eroi Bonelli e per questo sia più adattabile ai vostri peculiari stili?
Akab: Non conosco gli atri personaggi. Dylan è l’unico che ho letto.
Ausonia: Pensa al numero uno di Sclavi/Stano… è un capolavoro. Se in quella serie esiste quell’albo… può esistere anche tanta altra roba buona. Personalmente parto da quello. Graficamente sembra una roba uscita dallo scantinato di un editore indipendente totalmente pazzo. E pericolosamente ubriaco. E lo dico in senso positivo.
Pensate che confrontarvi con un pubblico diverso dal vostro e molto più ampio possa rappresentare un’esperienza da cui trarre qualcosa?
Akab: A questa ti rispondo dopo che l’albo sarà uscito.
Ausonia: Boh, io mi sento un po’ come i Marlene Kuntz che vanno a Sanremo. Ma invece di portare la solita canzone melodica cerco di portarci un pezzo degli Einstürzende Neubauten…
Trovate necessario avere una cultura precisa della storia editoriale della serie, o pensate di mirare alle sue caratteristiche primarie, iconiche?
Akab: Faccio parte di quelli che hanno letto Dylan Dog fino al 100 e che, in qualche modo, pensano sarebbe stato meglio chiuderlo lì. È un po’ come per le rockstar o muoiono giovani o diventano patetiche. Questo per dire che è un personaggio che conosco bene e con cui ho avuto un forte legame in passato. Credo sia proprio per questo che attualmente lo detesto.
Ausonia: Conosco bene il personaggio, l’ho letto per anni… e sì, il soggetto che ho proposto ruota molto sulle sue caratteristiche più iconiche.
C’è una interpretazione grafica del personaggio che trovate vicina o comunque prenderete come riferimento?
Akab: Sto andando a memoria. Mi è venuto spontaneo non guardare nessun Dylan Dog.
Ausonia: Parlavo di Sclavi/Stano… Ma la mia storia sarà ausonica al 1000%.
Che genere di approccio pensate di avere con la storia e il personaggio?
Akab: Posso dirti l’approccio che non avrà. Non sarà una storia per dissacrarlo né per prendermi gioco delle istituzioni.
Ausonia: Dissacrante è già il fatto che ci facciano lavorare! (ride) La storia… sì, non voglio andare lì per sminuire il personaggio. Anzi, credo di aver scritto una sorta di brevissimo omaggio. A modo mio…
Quali sono le caratteristiche del personaggio che sentite più vicine alle vostre corde?
Akab: Scarsa varietà di vestiario
Ausonia: È un ex-alcolizzato, detesta la monogamia, usa l’ironia per non precipitare nella peggiore delle depressioni, ha poca fantasia nel vestirsi… fin qui mi somiglia molto.
Credete che il vostro contributo possa cambiare qualcosa nella serie, nella caratterizzazione di Dylan Dog?
Akab: Non credo. Anche perché se seguissero la mia versione dovrebbero chiuderlo.
Ausonia: Non è esattamente questo il mio scopo.
Quando e in che veste dovrebbero uscire i vostri contributi alla serie? (se si può dire)
Akab: Si potrebbe dire se si sapesse. Ma non si sa.
Ausonia: 2015. Forse.
THE END
Domanda di rito: cosa state facendo, fumettisticamente e non, in questo momento e cosa ci dobbiamo aspettare da voi prossimamente?
Akab: Tendo a lavorare a più progetti contemporaneamente (anche se ognuna delle mie personalità è convinta di dedicarsi continuamente ad uno solo ) e la cosa più strettamente fumettistica è un libro che Ernest Yesterday sta disegnando su miei testi. Titolo di lavorazione ARCA VUOTA. Si tratta di una serie di racconti brevi sulle ossessioni. La cosa che mi sta piacendo del lavorare con un disegnatore “esterno”, è che davvero ti puoi concentrare sulla regia avendo uno sguardo più lucido su i dettagli. le piccole cose. E come dicono i fashion designer “nessun dettaglio è troppo piccolo“ .
Ausonia: Niente. Dopo ABC mi sono preso una lunghissima pausa digerente. Sono due anni che non disegno.
Con molta lentezza ho ultimato la riedizione del mio Pinocchio – storia di un bambino, che uscirà alla prossima Lucca Comics per un editore diverso. E sto preparando la riedizione di Interni – o la miserevole storia di uno scrittore di successo, che uscirà in forma di omnibus per un editore molto serio. Progetti nuovi… uno solo, di cui ho il soggetto esteso. Ne volevo fare un fotoromanzo puro. Poi un fumetto… o un libro illustrato. Adesso sto pensando di trasformarlo in un romanzo breve. Ogni mese cambio idea per rimandarne la lavorazione…
Intervista rilasciata via mail tra Aprile e Maggio 2014
alda teodorani
12 Giugno 2014 a 14:53
per completezza vi segnalo i numeri della rivista di racconti e illustrazioni dedicati a Ausonia e AkaB
verderivista.blogspot.com/2014/04/verde-23.html?m=1
verderivista.blogspot.com/2014/01/verde-20.html
la redazione
12 Giugno 2014 a 16:25
Grazie per la segnalazione!
alda
12 Giugno 2014 a 15:03
ottima intervista! come voleva dimostrare il genio nasce prima nel cervello e poi passa alla mano !