Intervista agli autori di G.I.A.D.A., “pop novel” di Amianto Comics

Intervista agli autori di G.I.A.D.A., “pop novel” di Amianto Comics

Con G.I.A.D.A. la commedia sexy adolescenziale sbarca nel mondo del fumetto grazie al collettivo Amianto Comics. Abbiamo raggiunto gli autori per farci raccontare il dietro le quinte di questa storia di disagio provinciale anni ‘90 intrisa di dialetto toscano.

Dopo Whoop! A fistful of bananas la collana Amianto Comics Presenta dell’omonimo collettivo toscano propone una commedia sexy ambientata tra le mura di un liceo toscano durante gli anni ‘90. Il volume è realizzato da Mordecai e Leonardo Cino, che hanno gentilmente risposto alle nostre domande.

Mordecai (aka Marco Cei) è nato in un giorno infausto per l’umanità, fosse anche solo per la sua comparsa. Dopo una lunga epopea nel rutilante mondo cinematografico come filmaker indipendente (indipendente per lo più dal guadagnare soldi), a torto o a ragione torna al suo primo amore, il fumetto. Che questo amore sia ricambiato, è a tutt’oggi questione dibattuta. Ama bere bene, mangiare meglio e l’ironia sopra ogni cosa.

Leonardo Cino si riassume in poche parole: un disegnatore fresco di diploma. Si appassiona del raccontare storia, creare mondi e avventura che lo avvincono e divertono, nella speranza di riuscire a trasmettere tali sensazioni al lettore.


Ciao ragazzi e benvenuti su Lo Spazio Bianco.
Iniziate raccontandoci qual è stato il percorso editoriale di GIADA
e come è nata la vostra collaborazione.
Mordecai (M): Dunque, il tutto è nato quando i miei ex compagni di corso di sceneggiatura han deciso di fiondarsi in questa nuova avventura editoriale di Amianto. Eravamo d’accordo di massima che avrei scritto per loro una Pop Novel, ma inizialmente doveva essere una vicenda storica, ambientata nel Medioevo, una delle mie passioni. Poi ci siamo arenati e mi è tornato in mente questa vecchia sceneggiatura, la prima che ho scritto in vita mia, originariamente scritta per un film. Avevo 25 anni , pensa te, e un film non lo è mai diventato: mi son detto, perchè non farlo diventare un fumetto allora? Leonardo l’ho conosciuto sempre alla Scuola Internazionale di Comics, mi piaceva il suo stile e l’ho coinvolto in questa follia. Chissà se se ne è pentito… Si è fatto un gran mazzo, penso GIADA sia stato un bel banco di prova per lui. Credo se la sia cavata egregiamente.
Leonardo Cino (LC): Il progetto nasce dalla mente di Mordecai. Dopo qualche breve contatto con gli Amiantici durante gli anni della allora Scuola Internazionale del fumetto d Firenze, ho avuto il piacere di incontrarli nuovamente in svariate fiere del fumetto in Toscana. Probabilmente già nel radar del gruppo, sono stato poi contattato dal grande Marco Cei e dopo qualche incontro preliminare ci siamo messi a lavoro. Dopo qualche incertezza iniziale da parte mia, la produzione ha preso un buon ritmo e a parte qualche piccolo problema di percorso, siamo riusciti a portare a termine il progetto con soddisfazione.

In GIADA un elemento importante della trama è il teatro. Mordecai, preferisci il cinema o il teatro? In quale dei due linguaggi ti sei imbattuto per primo e come sei invece arrivato al mondo dei fumetti? Leonardo, tu sei appassionato di teatro o GIADA ti ha avvicinato ad un nuovo linguaggio?
M: Ho iniziato facendo teatro, fin da piccolo, poi una volta capito che ero troppo brutto per fare l’attore, mi sono spostato dietro alla cinepresa al cinema. Ho fatto il filmaker per vent’anni, e ora conto di scrivere fumetti per altri venti. Se non sarò ancora morto, magari mi do alla narrativa, nell’ultimo quarto di vita! In realtà i fumetti sono stati però il mio primo amore. Da piccolo disegnavo dei fumetti con il mio bassotto tedesco nel ruolo dello Snoopy di turno. Quando ho deciso di mollare il rutilante mondo cinematografico, è stato naturale tornare al mio primo amore. Quindi per tornare alla tua prima domanda, preferisco raccontare, a prescindere dal mezzo scelto.
LC: Personalmente, grazie all’ambiente in cui sono cresciuto, il teatro è un linguaggio che soprattutto da adolescente ho conosciuto da spettatore, attore e da partecipante dietro le quinte, seppur in minima parte. Devo ammettere che negli ultimi anni me ne sono un po’ allontanato, ma quando lavoro sulla recitazione dei personaggi, spesso cerco di utilizzare quei piccoli trucchi e accortezze, derivati dal teatro, che spero aiutino a convogliare le emozioni che vorrei esprimere.

Mordecai, GIADA era dunque nato vent’anni fa come soggetto per un film: cosa ti ha convinto che potesse funzionare per un fumetto? Quali modifiche hai dovuto effettuare per adattare la storia a questo linguaggio?
M: Era proprio una sceneggiatura completa, che è stata asciugata, resa meno parlata, tagliata di alcune scene… insomma, cambiare è cambiata, anche se non nella sostanza. A convincermi è stato più che altro il desiderio di non lasciarla sepolta in un cassetto… pardon, in un file del computer.

Quanto è stata dura, superati i 40 anni, riprendere una sceneggiatura pensata a 25 che ha per protagonisti dei diciottenni? Ti è venuta la tentazione di attualizzare cronologicamente la vicenda – spostandola al presente contemporaneo – o credi che l’ambientazione anni ’90 fosse imprescindibile al tipo di racconto che volevi fare?
M: No, non direi che è stata dura. Non sono poi così vecchio! Attualizzarla al periodo contemporaneo, però, non sarebbe stata la stessa cosa. Eravamo i primi a vedere un cellulare, la rete è entrata nelle case quando eravamo grandicelli. Il senso di isolamento non sarebbe stato lo stesso, oggi. Una provincia era ancora di più provincia: l’ambientazione in quegli anni è un elemento importante per la storia.

La sceneggiatura di GIADA presenta un’alta quantità di vignette per tavola: Leonardo, se l’hai fatto, come hai modificato il tuo stile per venire incontro alle esigenze della storia?
LC: Purtroppo ancora oggi il mio stile rimane poco malleabile. Data la poca esperienza e la necessità per il mio primo vero lavoro di mantenere consegne e qualità, ho cercato di trovare la giusta via di mezzo che mi permettesse di mantenere una produzione costante, senza degenerare il tratto. Una volta trovato quel giusto mix, ho proseguito la produzione raffinando e perfezionando le mie linee.

Quanto della vostra esperienza liceale è presente nel volume? Vi rivedete in qualche personaggio in particolare?
M: Io questa gente la conosco tutta, i vari Mattone, Menighetti, eccetera. Sono la summa di tutti i compagni avuti nella carriera scolastica. Di Francesco, condivido il background monofamiliare, il lutto materno in età precoce; ma tutti loro li ho conosciuti di persona, in un certo senso.
LC: Personalmente i luoghi e le ambientazioni dove si svolge la storia sono pesantemente ispirati all’ambiente provinciale toscano dove tutt’ora vivo. È in quelle strade con anziani a passeggio, camioncini pieni d’erbacce, giardini verdeggianti e condomini affollati che sento affiorare gran parte del mio passato da liceale.

Negli ultimi anni il sesso mostrato è stato sdoganato in serie tv e fumetti (varie autoproduzioni hanno trattato il tema dell’eros, una su tutti Attaccapanni Press). In GIADA il sesso è un elemento importante della storia, se ne parla tanto ma non viene mai minimamente mostrato: è stata una scelta per far empatizzare il lettore con la verginità del protagonista o si è trattato di una scelta editoriale per rendere il prodotto adatto a qualsiasi età?
M: È stato piuttosto inconscio; il sesso è un falso problema per Francesco, che deve solo decidere di tirarsi fuori dal pantano in cui si è infilato da solo. La morte di sua madre, l’alibi di GIADA sono solo la strada che consciamente o meno si è scelto per non essere né carne né pesce: il sesso, la sua mancanza più che altro, è solo l’aspetto esteriore di un problema interno a cui ha scelto di non dare risposta. Naturale quindi che non si abbondi di scene di sesso: il fulcro della storia sta altrove. Non a caso, quando sceglie di rompere i suoi schemi, le soluzioni arrivano in tutti gli aspetti che prima lo affliggevano.

Un elemento particolare di GIADA sono i dialoghi, quasi sempre in dialetto fiorentino. Avete avuto qualche commento dai lettori non toscani? Questo aspetto ha reso la lettura più difficile per alcuni o invece l’ha resa più fresca, realistica?
M: Questa è stata un’idea più degli Amianto che mia, ma penso che GIADA non sia di difficile lettura per i non toscani. In particolare il Benassi [Alessandro Benassi, uno dei tre fondatori di Amianto Comics ndr] mi citava continuamente Leonardo Pieraccioni o Francesco Nuti come riferimento, e io iniziavo a bestemmiare, che son venuto su a colpi di Carlo Monni e Renzo Montagnani. Ma son più vecchio di loro, che vuoi farci, ognuno ha i suoi riferimenti.

Ritenete che il fumetto abbia le potenzialità per raccontare più storie come quella di GIADA o rimane un genere che si può approfondire solo nell’audiovisivo? Solitamente nel fumetto insieme a queste storie di vita quotidiana adolescenziale si inseriscono anche aspetti fantastici od onirici, totalmente assenti in questo vostro lavoro.
M: Dici ? Sarà che appunto ho 45 anni e i sogni ormai preferisco fabbricarmeli, ma credo che alla fine siano solo due mezzi e due tecniche diverse di raccontare una storia; tutto può essere raccontato con tutto, basta non fare cinema mentre scrivi fumetti e viceversa, sennò da qualche parte un fio lo paghi.
LC: Prima di GIADA una storia senza un twist che sfociasse nel sovrannaturale e fantastico non mi sarebbe interessata. Ma grazie a questo progetto ora più di prima ritengo che ogni genere di storia può essere raccontata in maniera interessante e coinvolgente. Non credo ci sia limite al tipo di storie che il fumetto può raccontare. Soprattutto per noi che le creiamo, il fumetto ci permette di essere registi, costumisti, direttori di scenografia e sceneggiatori. Per questo avremo sempre la libertà di esprimere ed esplorare nuovi stili e modi di raccontare storie.

Negli ultimi anni si sono moltiplicati i fumetti opzionati per diventare film: ipotizzando che accada anche per GIADA diteci che attori vedreste bene in quale ruolo.
M: Ostia, difficile. Carlo Monni mi è pure morto nel frattempo e Fontani sarebbe stato il suo ruolo… di toscani di quella tempra c’è rimasto solo Marco Messeri, mi sa. Ci vorrebbe una simpatica e un po’ matta per Costanza, anche non toscana… chissà se Virginia Raffaele potrebbe starci. Per il resto, son tutti ragazzi diciottenni, che vuoi che ti dica… non ho mai sopportato i trentenni al cinema che interpretano i diciottenni. Quindi non li conosco, questi attori troppo giovani!
LC: Beh, se bisogna sognare, meglio farlo in grande no? Per ora l’unica che mi viene in mente è Cara Delevingne nel ruolo di Giada.

Grazie, ragazzi.

Intervista realizzata via mail tra il 19 e il 22 giugno 2018.

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