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    Intervista ad Aleš Kot: la risposta a tutto è “amore”

    Ales Kot è uno dei più interessanti e complessi autori del panorama statunitense. Abbiamo parlato con lui delle sue opere, della sua visione e delle idee dietro essa.

    Provare ad inquadrare Ales Kot e i suoi lavori non è semplice. Il 34enne autore di origini ceche non scrive fumetti di semplice intrattenimento, ma sfida il lettore con storie controverse, disturbanti, che portano a fare riflessioni non banali e a giungere a conclusioni spesso inquietanti. Nei suoi lavori Kot parla di amore e politica, di linguaggio e violenza, di razzismo e diritti negati, il tutto ambientato in paesaggi distopici o post apocalittici, raccontato attraverso la lente del fantasy, del thriller, della fantascienza. Lo abbiamo intervistato per capire le idee e le riflessioni dietro a opere come Zero, Secret Avengers, The New World e in particolare uno dei suoi ultimi e più intensi lavori, Days of Hate, realizzato in coppia con Danijel Žeželj.

    The New WorldCiao Ales e grazie per il tuo tempo. Vorrei cominciare chiedendoti dell’inizio della tua carriera: sei nato in Repubblica Ceca, ma poi hai deciso di andare a Los Angeles e di cominciare a scrivere fumetti. Come mai Los Angeles e I fumetti? E cosa rappresenta per te, in generale, la scrittura?
    La risposta a tutto, ovviamente, è l’amore.

    Hai fatto molti lavori creator-owned, con artisti dallo stile più vario. Come scegli gli autori con cui collaborare? Pensi sempre prima alla storia e poi al team creativo o a volte accade il contrario?
    Cambia. Davvero, devo trovare un feeling in cui la sinergia tra me e l’artista e poi tra me, l’artista e il team creativo sia in continua costruzione, un qualcosa di più grande delle nostre energie messe assieme. È un cliché, ma semplicemente deve funzionare. Lo sai quando scatta. Impari a capirlo.

    Nella tua relativamente breve carriera sei già diventato un nome di rilievo dell’industria dei comics americani e hai creato fumetti di grande impatto. Sono spesso complessi, difficili e bisogna leggere e rileggerne le sfumature. E hai cucito assieme molte cose diverse, dai pensieri su politica e linguaggio alla fantascienza, al misticismo. Qual è l’elemento chiave che attrae così tanto nelle tue storie? Può essere la complessità e la sfida intellettuale che rappresentano?
    Non è più così. Quello era il “gioco” di una persona differente, penso. Non fraintendermi. Amo la struttura e la considero un elemento cruciale, ma davvero dipende da questo: questa è una storia che ho bisogno di raccontare proprio ora? È così reale da sembrare magica nella sua relazione con i miei mondi interiori ed esteriori? Se la risposta a entrambe le domande è sì, e le cose reggono, allora procedo.

    WinterSoldierUn aspetto interessante per me è stato vederti portare questa complessità in alcune serie Marvel che hanno avuto fortune alterne. Il tema della sicurezza nella propria patria e dell’etnicità in Iron Patriot non ha ripagato in termini di vendite, ma è andata meglio con la follia meta-letteraria della run dei tuoi Secret Avengers. Riguardando quelle storie, quali sono stati i punti di forza e le debolezze che ci trovi? Più in generale, lavorare alla Marvel cosa ti ha insegnato?
    Erano entrambe belle a loro modo, e sono entrambe cose passate e da leggere per chi lo vuole. Non mi sento davvero di guardare a loro in termini di punti di forza o di debolezza. È arte, non matematica. Ma so che non è questo che intendi, così proverò a rispondere un po’ meglio alla tua domanda: non ho avuto lo stesso livello di fiducia reciproca con l’editor di Iron Patriot rispetto a quello di Secret Avengers. Così ci sono state decisioni con Iron Patriot che sono state compromessi, che hanno reso il fumetto meno efficace di quanto avrebbe potuto, anche se penso ancora che sia bello e che abbia dato alla Marvel un personaggio che amano e usano tuttora. Anche Secret Avengers è stato, d’altra parte, oggetto di alcuni piccoli compromessi, ma è stato più vicino a ciò che io volevo esattamente che fosse e ne sono orgoglioso.
    Il mio lavoro alla Marvel mi ha insegnato molto ma è stato anche un tutt’uno con un periodo duro della mia vita in cui ho dovuto fronteggiare la malattia di Lyme e l’emergente PTSD della mia infanzia, così devo ancora fare i conti completamente con ciò che mi ha insegnato. Principalmente guardo a quel periodo della mia vita con sempre meno giudizio e sempre più accettazione.

    Pensi che lavorerai ancora in futuro per le Grandi Due o ti senti meglio con la libertà totale delle proprietà d’autore?
    Davvero non penso per niente alle Grandi Due. L’ho fatto alcune volte, negli anni, ma non le ho in alcun piano del mio futuro per i fumetti. Questo significa che non lavorerò più con loro? Certamente no. È una questione di vedere dove ti porta la vita. Se il progetto è giusto, la possibilità c’è sempre. 

    Zero_CoverDal momento che sto parlando con te, non posso non nominare Zero. Riassumo questa serie solo con una parola: folle. Come ti è venuta l’idea per questo fumetto psichedelico, intricato e stratificato?
    Ho lavorato sul senso della natura patriarcale di James Bond e di figure simili attraverso le lenti di una SF di pura azione. Sapevo che fare questo inevitabilmente mi avrebbe aiutato a fare luce sull’ambiente patriarcale in cui sono cresciuto e, forse, mi avrebbe aiutato anche ad allontanarmi da questo, a sfidarlo e forse a trovare alternative. E così è stato.

    Zero comincia come una spy-story e lentamente si trasforma in qualcosa di completamente differente, fino a diventare una storia meta-letteraria che porta a un tributo a William S. Burroughs. Che ruolo ha avuto la sua figura e più in generale la poetica beat, nel tuo diventare uno scrittore?
    In realtà non è propriamente un tributo a lui, piuttosto alla donna che ha assassinato e al figlio che ha ignorato. Ha a che vedere davvero con il tema della paternità e con il lasciare andare. Ma davvero: volutamente non è dedicato a lui, è dedicato a loro.
    Burroughs è stato importante perché mi ha aiutato a capire che il linguaggio è un virus e che ci puoi giocare continuamente. Non era l’unico in tutto questo, ma è stato importante. Oltre a ciò, i beats sono stati importanti per me in primis perché sono stati tra le prime forme di letteratura degli anni ’60 su cui abbia messo gli occhi. Ovviamente uno cerca di andare oltre una volta che capisce quanto fossero per la maggior parte sciovinisti e pigri come uomini e scrittori, benché io continui ad ammirare molti loro libri singolarmente.

    MaterialParliamo di un tuo nervo scoperto: Material. In un’intervista hai detto che questo è uno dei tuoi più importanti progetti. Una storia che parla di razzismo, stato di polizia, sistema detentivo. Un po’ di tempo dopo hai annunciato che avresti interrotto la serie. Non ti chiedo il perché, piuttosto cosa significhi per uno scrittore mettere fine a una storia, soprattutto, con grande consapevolezza e lucidità.
    Ho sempre pianificato la serie come una sequenza di cicli di 4 capitoli ciascuna con i propri temi e i propri personaggi, così terminare dopo il primo non è stato così difficile come potrebbe sembrare. Il libro, semplicemente, non era in grado di sostenersi da solo commercialmente e non volevo mettere il mio team creativo in quella situazione a dispetto del loro affettuoso impegno. Cosa significa per me? Tutto ha una fine. È così. Può esser doloroso – lo è stato – ma è a posto così.

    Escludi di far ripartire la serie?
    Sì, non mi interessa.

    Parlando di uno dei tuoi ultimi lavori, Days of Hate, vorrei partire con una semplice domanda: come è nata l’idea per questa serie e per la collaborazione con Danijel Žeželj?
    Ho bisogno di concepire quello che vedo come un possibile futuro. Lo vedo ancora nello stesso modo, tristemente. E ho sempre voluto lavorare con Danijel.

    Ti faccio un paio di domande che ho fatto anche a Danijel e che, in realtà, possono essere adattate a molti dei tuoi lavori, dato il ricorrere di temi correlati alla politica, alla storia, al linguaggio e all’attualità. In Days of Hate tu e Danijel Žeželj, entrambi nati in Europa ma cresciuti artisticamente negli States, parlate di problemi radicati sul territorio Americano, benché comuni a molti altri paesi. Qual è il punto di vista di un ragazzo nato in Repubblica Ceca sugli Stati Uniti, sulla loro politica e sulla società? Cosa puoi vedere che una persona nata e cresciuta negli States non vede?
    Mi stai chiedendo di scrivere un libro, ma l’ho già fatto. Ma dirò di più: The New Word, che parla degli Stati Uniti dopo la Terza Guerra Mondiale, attualmente sta diventando un film che sto producendo con la Warner Bros. C’è troppo da dire per una semplice risposta. È un processo continuo. Non sono qui per immaginare cosa una persona nata e cresciuta negli Stati Uniti possa vedere o meno. Sono interessato a esplorare quello che io posso vedere e il modo per farlo è attraverso il mio lavoro.  Quello che posso dire è che essendo nato in un regime totalitario, vedere cadere l’occupazione militare e crescere poi in una democrazia… tutto questo mi ha insegnato molto sulla fluidità, personale e sistemica e universale e sulle differenze fra “mappa e territorio” e sul trauma (ancora, e tutte le relative stratificazioni), e, e… vedi? Potrei continuare davvero per molto tempo.

    Cover-Days-of-Hate-1_webIn questo fumetto, oltre alla riflessione sulla situazione attuale c’è anche una discussione sul linguaggio, verbale e non verbale. Linguaggio che viene usato per mentire, manipolare, indurre in errore. Un tema che torna in molti tuoi lavori. Pensi che oggi il linguaggio sia usato come un’arma, come un mezzo per creare fazioni e scontri? E che ruolo pensi possano avere i fumetti nella riflessione sui meccanismi linguistici?
    Il linguaggio è sempre stato usato come un’arma. Penso sia necessaria una riflessione sul fatto che sia necessario il linguaggio e se lo siano gli scrittori. Perché noi abbiamo narratori prima che scrittori.

    Nelle storie c’è una manciata di personaggi, infatti la storia poi si concentra su 4 personaggi rappresentanti diversi gruppi etnici. Da dove arriva il bisogno, oggi, di raccontare la vita di persone di diversa etnia e cultura negli Stati Uniti?
    …dalla vita?
    Non voglio essere impertinente, ma quale altro modo ci sarebbe di raccontare storie oggi, nel 2020? È già abbastanza fastidioso essere parte della Supremazia Bianca che io lo voglia o no, per il fatto che il mondo è organizzato così. Non ho bisogno di peggiorare la cosa con la mia scrittura. Questo non significa che una storia sugli uomini bianchi – o sugli uomini bianchi predominanti – non debba essere raccontata. Ma se lo fai, racconti il punto di vista dei bianchi o almeno sei sicuro di essere consapevole del loro posto nella storia.

    Oltre a essere fortemente politica, la storia ha anche una parte fortemente intima. Qual è l’elemento chiave che lega l ‘intimità al politico e al sociale presente nella storia?
    Tutto è politico. Compreso l’intimità. Che lo si voglia o no, il mondo attorno a noi ci dà informazioni e noi le diamo al mondo. Ogni tipo di distinzione è mera illusione.

    L’amore è un altro tema che torna spesso nelle tue storie e di solito lo tratti da una prospettiva non convenzionale. Che ruolo ha l’amore per te? È un modo di combattere il sistema e affermare i diritti umani, come in Days of Hate o The New World? O è un modo per fuggire dal sistema?
    Cercare di ridurre l’amore in parole è un modo per non viverlo.

    Ho fatto a Danijel la stessa domanda e sono curioso di sentire la tua versione: alla fine di Days of Hate mi sono sentito affaticato, quasi perso: è un finale dolceamaro, con una piccola speranza oscurata da un cielo pesante. Era il tuo obiettivo? E cosa ti ha lasciato questo fumetto?
    Penso sia un capolavoro e vorrei non averlo mai dovuto scrivere. Ma dobbiamo testimoniare quello che sta accadendo. È il minimo che dobbiamo fare.

    Chiudiamo con una domanda classica: su cosa stai lavorando dopo Days of Hate? Che piani hai per il futuro?
    Il modo migliore per saperlo è seguirmi su https://twitter.com/ales_kot, come pure sul mio profilo Instagram https://www.instagram.com/aleskotsays/. Posto notizie e alcune tavole e disegni in anteprima. Ti dirò che c’è un nuovo progetto con Danijel, un horror mitologico sui vichinghi e sono molto emozionato, così come Lost Soldiers una miniserie a fumetti in uscita ambientata tra il Vietnam e il confine USA-Messico con i disegni di Luca Casalanguida. E avanti con ancora molto che arriverà.

    Intervista realizzata via mail tra dicembre 2019 e gennaio 2020, traduzione di Walter Troielli

    Ales Kot

    Ales Kot_2

    Nato a Ostrava (Repubblica Ceca) nel 1986, Ales Kot è scrittore, regista, produttore di film, fumetti, prodotti televisivi e videogames, tra i più creativi, prolifici e apprezzati del momento sulla scena statunitense. Nel 2012 esordisce in Image Comics con Wild Children e la miniserie Change. Da allora ha legato il suo nome alla casa editrice con titoli stimolanti, interessanti e controversi come Zero, The New World, Wolf, Material, Generation Gone, The Surface e Days of Hate. Oltre a scrivere per Image ha lavorato per Marvel Comics (Secret Avengers, Iron Patriot, Bucky Barnes: Winter Soldier), Valiant (Dead Drop), Titan (Bloodborne) e Dynamite (James Bond: The Body).

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