Un racconto autobiografico non è solo parlare di sé, ma anche un’operazione arbitraria di collage. Ogni identità non si presenta come un monolite univoco, bensì come un insieme di più pezzi diversi, che nell’autobiografia vengono messi assieme per restituire una figura unitaria, sebbene parziale, a sé e alle altre persone, in cui potersi riconoscere e dirsi: “Anche io esisto”. Abbiamo parlato con Nicoz Balboa, autore del recente Play With Fire edito da Oblomov Edizioni, proprio di questo: di autobiografia, di percorsi sempre in divenire e di capirsi attraverso la narrazione.
Come altre tue opere (per esempio Born To Lose), Play With Fire esplora la tua vita interiore prendendo nota di tutto ciò che avviene intorno a te, tra lavoro, famiglia e relazioni sentimentali. Senti questo fumetto come un proseguo del tuo percorso di vita e da artista o come un punto di svolta?
Idealmente ho voluto che tra Born To Lose e Play With Fire ci fosse un legame, una strizzata d’occhio, ed è per questo che – anche se non sono temporalmente sequenziali – l’ultima immagine di Born To Lose è la prima di Play With Fire ed è anche per questo che tutti e due i libri hanno i titoli di due classici del rock a me molto cari. Per quel che riguarda il mio percorso invece, non so se esista la “svolta”, mi sento sempre in cambiamento perché sto cercando sempre di più di essere fedele a me stesso, al “segno” e al “racconto” che voglio portare avanti.
Da un punto di vista artistico, invece, come consideri Play With Fire in relazione ai tuoi precedenti fumetti, in particolare a Born To Lose (che citi anche nella copertina di PWF)?
Hai ragione per la citazione! La relazione tra i due è solo ideale, appunto, rispetto a quei dettagli che ti dicevo prima. In realtà i due libri hanno poco in comune sia per tematiche che per segno e, soprattutto, per costruzione. Born To Lose è una raccolta di diari senza riscrittura alcuna. Play With Fire invece l’ho scritto, riscritto, disegnato e ridisegnato per poter arrivare a questo finto effetto diario pur mantenendo diversi piani narrativi che mi servivano per raccontare, non solo un’esperienza autobiografica, ma anche il senso che hanno per me identità, libertà e cambiamento.
Oltre a realizzare fumetti, sei anche un tattoo artist. Queste due attività sono per te due lati della stessa medaglia oppure vanno su binari paralleli?
Mi sa che le due facce della stessa medaglia sono anche loro due piani paralleli e, nonostante questo, imprescindibili. I disegni per i tatuaggi e quelli delle storie autobiografiche arrivano da due parti diverse del mio modo di disegnare e raccontare. Nel tatuaggio racconto la storia del cliente, me ne approprio e la traduco in immagini nette e rifinite mentre nella mia auto narrazione posso permettermi gesti e sentimenti più eclatanti, figure abbozzate o pagine piene solo del mio autoritratto. Per ora nessun* mi ha mai chiesto un mio autoritratto su pelle, non so se accetterei (ride).
L’autobiografismo è un elemento imprescindibile del tuo lavoro, e da almeno una decina d’anni è diventato un modo di raccontare molto diffuso nel mondo del fumetto. Cosa significa per te raccontarti alle altre persone? Credi che quello autobiografico sia il percorso che avranno i tuoi fumetti anche in futuro, o hai in mente anche qualcosa di diverso? Stai lavorando a tal proposito a un nuovo fumetto?
Ho scoperto l’autobiografia a fumetto negli anni Novanta approcciandomi ad autori come Julie Doucet, Andrea Pazienza, Robert Crumb, Lynda Barry. L’autobiografia c’è sempre stata, fuori o dentro il fumetto. Sono un gran fruitore di autobiografie (che esse siano graphic novel, scrittura, poesia, documentario, musicale) e ho bisogno che altri artisti mi raccontino delle loro ferite per guarire le mie. Ma quando non riescono a guarirle del tutto, devo anche io raccontare un po’ della mia storia. L’autobiografia è spesso un gesto politico che afferma: «Anche io esisto». Chissà, un giorno, quando sarò talmente centrato e incarnato da non aver più bisogno di disegnarmi per capirmi, magari mi metterò a disegnare storie fantasy. Mi fa ridere solo l’idea. Per ora continuo il mio percorso di autobiografia a fumetti in maniera un po’ nascosta, solo per i lettori che mi seguono su Patreon.
Il percorso di scoperta che racconti in Play With Fire non è lineare, ma porta a rivedere e mettere continuamente in discussione la tua identità, la tua persona. Pensi che sia un percorso destinato a non concludersi mai?
E chi lo sa? (ride) Come dicevo poco più su, magari quando avrò 100 anni e vivrò sul cocuzzolo di una montagna… anche se ne dubito! Siamo umani e dobbiamo fare i conti con paure, dubbi e sentimenti umani! Quindi forse anche da eremita, sul cocuzzolo della montagna, avrò bisogno di disegnarmi per capirmi.
Anche se il titolo rimanda al fuoco, l’acqua è un simbolo molto ricorrente nel fumetto, e spesso messo in relazione proprio con il fuoco. In che rapporto si trovano questi due elementi?
Non l’ho fatto a posta, avevo l’idea del titolo e di voler raccontare questa sensazione di direzione e traiettoria che ho quando penso al fuoco. L’acqua invece si è imposta, l’acqua è il mio elemento naturale.
Il tuo stile passa da sequenze con tratti più rapidi e schizzati a splash page molto dettagliate e d’impatto, e ciò si vede in particolare nel rappresentare il tuo alter ego e gli altri personaggi. Questo passaggio serve principalmente a dare più enfasi a certi momenti narrativi ed emotivi oppure vuole mettere in risalto altri aspetti importanti del tuo fumetto, come per esempio il tema del corpo?
No, le splash page sono per respirare, per zoommare su un sentimento o un fatto, il corpo è presente dentro e fuori le splash page, il corpo è il mio terreno di battaglia: soprattutto in questo momento, in cui sto effettuando la transizione di genere, raccontare il corpo vuol dire raccontare l’identità.
Per le persone che ti sono accanto è stato difficile confrontarsi con tutti questi cambiamenti?
È una domanda un po’ intima e risponderò per grandi linee: le persone che hanno difficoltà con il cambiamento della persona che hanno davanti soffrono perché non riescono a fare un passo indietro per allontanarsi dal filtro personale attraverso il quale guardano il mondo, soffrono perché scelgono attivamente di non vedere chi hanno davanti ma vedono solo le loro paure e proiezioni! Ma non si può vivere la propria vita cercando di confarsi all’idea che le persone hanno di noi, non fa bene a noi ma non fa bene neanche a loro. Specialmente nell’ambito di una transizione di genere, le scelte sono molto intime e personali e non dovrebbero mai essere prese come un attacco personale.
Cosa consiglieresti a chi sta vivendo gli stessi dubbi, turbamenti e paure che hai vissuto tu?
Consiglierei di fermarsi, respirare, ricordarsi che non si è soli mai e dirsi che la vita ce la fa sempre a farci arrivare dove dobbiamo stare. E poi consiglieri anche di proteggersi, di fidarsi delle sensazioni che le persone amiche possono rimandare. Bisogna muoversi difendendo la propria salute mentale, non tutte le persone meritano una spiegazione. Bisogna proteggere chi si è, almeno all’inizio, finché non si è un po’ più forti.
Intervista realizzata via email nel mese di novembre 2020
NICOZ BALBOA
Nicoz Balboa è un tattoo artist e fumettista italiano che usa i suoi eventi di vita come ispirazione per opere che vanno dal disegno al tatuaggio, passando per il diario grafico, la pirografia e la pittura. Nei progetti Drawing My Life Ruined My Life e Nicoz Balboa Goes Porn (ma anche nei suoi libri Born To Lose e Play With Fire) Nicoz ci rivela le sue speranze, i suoi fallimenti (o i suoi successi) con un lavoro innocente, a volte lancinante, che è sempre sia tragico che umoristico. I temi della provocazione e della sessualità riemergono ripetutamente nei lavori di Nicoz, poiché la sua opera è saldamente radicata nella tradizione del discorso lgbtq e femminista.
Play With Fire: il bruciore del cambiamento e la fluidità del sé