L’infanzia narrata: intervista ai curatori di Fascia Protetta

L’infanzia narrata: intervista ai curatori di Fascia Protetta

Fascia protetta e' un progetto, nato in seno all'associazione culturale Double Shot, significativo e importante; un'antologia, scritta e disegnata per lo piu' da autori giovani alla ricerca di spazio, che racconta dell'infanzia secondo il punto di vista dei bambini. Un argomento importante, oggi come ieri e forse ancora di piu',...

Abbiamo intervistato i tre curatori dell’antologia Fascia Protetta, Francesco Frongia (FF), Giorgio Trinchero (GT) e Samuel Daveti (SD), a cui si è unito uno degli autori, Angelo Farinon (AF).

Disegno di copertina per Fascia ProtettaSono dell’idea che un libro antologico, perché funzioni in maniera ottimale, necessita tanto di singole storie ben scritte, indipendenti, quanto di una linea comune, una scelta stilistica, d’intenti o tematiche. Possiamo affermare che questo è il caso di Fascia Protetta, che si riconosce decisamente nella citazione di Philip Roth che apre il volume: “Nessuna infanzia è priva di terrori“.
FF: Solo in un secondo momento la citazione di Philip Roth ci è sembrata emblematica degli elementi comuni emersi dal complesso delle narrazioni. L’idea fondamentale alla base di fascia protetta è stata quella di realizzare un volume concretamente collettivo.
La tematica dei bambini è complessa… Problemi linguistici, relativi alla auto-rappresentazione, alla memoria storica e individuale, pongono limiti importanti alla realizzazione di un storia ma, contemporaneamente stimolano la discussione.
Non esiste un infanzia, ma molte infanzie diverse, come esistono luoghi, epoche e forme di socialità che influenzano pesantemente il vissuto, rendendolo unico. Attraverso una narrazione collettiva, forse, si riesce meglio a rappresentare la ricchezza della formazione di un individuo.
GT: Parliamoci chiaro, il volume parte dal fatto che Checco progettava da anni una storia sulla sua infanzia, ma per riuscire a portarla a termine, aveva bisogno che qualcuno lo obbligasse, di una scadenza.
Quindi ha convinto tutti gli altri a fare una storia sull’infanzia, e poi ha affidato la cura (editoriale e grafica) a Sam. La citazione di Roth è stata scelta proprio dal curatore, nella fase finale, come eccezionale sintesi. Anche quando non è esplicitamente rappresentato, l’orrore è ben presente in queste storie, o nella loro realizzazione… scavare nei miei ricordi di bambino mi ha fatto sentire orribilmente vecchio.
SD: Perché ho scelto la frase di Roth? Eravamo a buon punto, mi arrivavano le prime tavole in consegna e iniziavo a impaginarle. Non avevamo dato limiti a nessuno, di nessun tipo, se non quello di parlare dell’infanzia. E si vedeva. Ogni storia aveva stili grafici e narrativi completamente diversi. Eppure le storie “magicamente” stavano bene insieme. In un primo momento non riuscivo a spiegarmelo. Poi mi sono imbattuto nella frase di Roth e ho capito dove stava la magia, quale era il legame.
AF: La “cosa” bella è che dato l’argomento, le storie si sono incastrate perfettamente tra loro senza nessun tipo di premeditazione voluta. Credo che la frase di Roth, a lavoro concluso, sia stata una specie di conferma che quando si affrontano certi temi, quando si cerca di raccontare storie che hanno una matrice comune come l’infanzia, non c’é bisogno di nessun tipo di lavoro di “pre-produzione”. Le cose vanno da sole, perché bene o male, si parla di esperienze che abbiamo vissuto tutti, chi in un modo, chi in un altro.

Parlare di infanzia, del ruolo dei bambini e di quanto oggi si tenda a sottrarre loro la spensieratezza, la loro realtà in crescita per renderli dei “piccoli uomini” anzitempo, credo sia estremamente importante. Come e perché il fumetto può essere uno strumento efficace per affrontare questa tematica?
FF: L’infanzia è un laboratorio aperto verso la vita, è la curiosità fatta persona. Nell’infanzia si generano e si smascherano quasi tutte le ipocrisie e le convenzioni del mondo adulto. I bambini spesso le intuiscono e le rielaborano e, stravolgendone il senso, immaginano “altro”, per se e i propri amici. Immaginare è molto vicino al raccontare e al disegnare… ecco perché un fumetto.I disegni danno, spesso, la possibilità di dare forma ad angosce sottili e appena immaginate.
GT: Credo che il problema, nel nostro mondo occidentale, non sia tanto la creazione di “piccoli uomini”, quanto di un enorme dilatazione dell’adolescenza, stimolata anzitempo nei bambini e giustificata ben oltre la soglia della maturità. L’esplosivo periodo dell’adolescenza dovrebbe forse partire più tardi, e sicuramente interrompersi con l’età adulta.Purtroppo la nostra società ha eliminato gli antichi riti di passaggio, senza sostituirli con avvenimenti altrettanto efficaci… volutamente, perché il target adolescente è il consumatore perfetto. Il fumetto è continuamente usato per descrivere/intrattenere l’adolescenza, spesso con esiti nostalgici o giovanilistici.
Volevamo confrontarci con l’infanzia, per ricordare e ricordarci quanto fosse tremenda e bellissima. Trovo che i fumetti siano perfetti per raccontare le dualità come questa.
In una storia dal tema forte, come “La Caccia”, gli autori fanno una dichiarazione immediatamente visibile, un patto con il lettore: “questa è una storia a fumetti, non preoccuparti”, ed è a quel punto che ne colpiscono ancora più efficacemente la sensibilità, dopo averlo “intenerito” con un approccio “disneyano”. La storia del Ravazzani è assolutamente drammatica, ma elude il rischio patetismo con la scelta di un tratto caricaturale, ricco ma essenziale.
In entrambi i casi la rappresentazione visiva, sintetica o stratificata, rende le storie reali, proprio perché non viene usato uno stile realistico.
AF: Nel mio caso, senza uno strumento narrativo come il fumetto, non avrei potuto far intuire il distacco e l’incomunicabilità che esiste tra il mondo dei bambini e quello degli adulti. Lo stesso vale per la storia di Brunilde e Giorgio (ma alla fine per tutte), senza i “disegni”, si sarebbe perso quella componente tipica che va a creare l’immaginario collettivo di un bambino, fatto per lo più di immagini, suoni e sensazioni.

Ogni racconto, a suo modo e con toni e stili completamente diversi, attraverso metafore o con stretto realismo, sottolinea l’enfasi con cui un bambino vive piccoli e grandi accadimenti. Il passaggio all’età adulta rappresenta sia la perdita di una impagabile visione fantastica e immaginifica, quanto l’acquisizione di una serie di protezioni personali capaci di difendere la persona dai traumi della vita.
FF: L’infanzia è sovente una vita a responsabilità limitata, quando il bambino forza i vincoli parentali e finalmente è solo con i propri simili, entra nel mondo adulto con tutte le proprie paure e i propri limiti. In questo passaggio epocale si perde forse gran parte dell’invenzione pura, occupati come si è a definirsi all’interno di infinite sottoculture che ti possano rappresentare.
SD: Finita l’adolescenza ci curiamo di risultare “idonei” alla vita adulta. Per farlo entriamo consapevolmente nel territorio della finzione, piccola o grande che sia. Inizia il periodo della sopportazione, della mediazione, delle azioni calcolate. Sentiamo la voglia di controllare gli eventi per essere sempre preparati. Potenzialmente liberi di esprimerci ci auto-censuriamo.

Come sono stati scelti gli autori per il volume? Avete cercato qualcuno che avesse già nelle sue esperienze fumettistiche il giusto mood per l’operazione, o avete cercato anche di coinvolgere stili apparentemente lontani dal tema?
FF: La scelta di stili tanto diversi tra loro ci è sembrata funzionale alla ricchezza immaginifica del mondo interiore dei bambini. Fascia protetta ha avuto una gestazione singolare; è semplicemente la sintesi di tante chiacchiere (post cena) di un gruppo di persone che frequentandosi e conoscendosi si sono confrontati con i loro ricordi infantili. L’ultimo passo è stato disegnare e rifilare il linguaggio delle storie.
GT: Le persone che hanno partecipato si conoscono più meno tutte personalmente, alcuni sono amici che hanno condiviso moltissime esperienze, altri hanno rafforzato rapporti proprio facendo il volume. Non c’é stata un selezione a monte, ma una naturale affinità, intesa non dal punto di vista stilistico, quanto piuttosto dalla condivisione di un’etica del raccontare.
AF: In un bar mi è stato chiesto: vuoi fare una storia sull’infanzia? Io ho risposto: come no, non la faccio?

Ho sottolineato la varietà di stili: si va dal fantastico puro di Trinchero e Rossi, alle storie che scivolano nell’onirico di Brunilde Galeotti, dagli animali antropomorfi di Daveti/Deplano/Fabris, all’iperrealismo sporco di Farinon/Palloni/Marzano. Una coesistenza sulla carta non facile, che pero’ funziona molto bene. Quanta supervisione c’é stata sulle singole storie? Quanto lavoro di editor per ognuna?
FF: L’editing è stato leggero, incredibilmente ogni autore, senza grandi sollecitazioni, ha narrato un tassello “diverso” dell’infanzia con modalità espressive ,”evidentemente sentite”, al di là del proprio stile professionale (alcuni autori lavorano per la Francia, altri per la pubblicità etc..).
AF: Personalmente, fino a quando non ho visto tutte le storie insieme avevo dei dubbi sulla riuscita… Poi, quando le ho lette insieme, raccolte in un unico volume, mi son reso conto che funzionavano perfettamente. Pur correndo un grosso rischio, siamo stati tutti liberi di esprimerci senza nessun tipo di paletto, raggiungendo a mio avviso un ottima alchimia.

Ho trovato tra tutte la storia di Giallo, “Quant’é bella la violenza”, la meno centrata rispetto all’operazione di Fascia Protetta, perché al di là del disegno cartoonesco (con un gusto che richiama i cartoon degli anni ’70), i testi non restituiscono la sensazione che si ritrova nelle altre, non sembrano espressi dal punto di vista di un bambino. È anche l’ultimo autore a chiudere il libro (visto che l’ultimissima storia è una prova all’acquaforte di Galeotti, è pare quasi una “bonus track”). C’é quindi un senso in questa scelta, come una chiusa di tutti i racconti, una sorta di postfazione disegnata?
FF: Concordo con te sull’apparente estraneità della storia di giallo, sebbene non pensata, assomiglia alla postfazione di un mondo già adulto. Tuttavia questo è il bello di quest’albo, la capacità di stimolare nei lettori altri racconti, altre infanzie, mettendo in disaccordo tutti e facendo contenti altri. Il libro una volta riposto, continua a lavorare nel ricordo di altre infanzie, cogliendo punti di vista non assolutamente programmati dagli autori, arricchendolo.
GT: Io invece ho trovato la storia di Giallo perfetta per parlare di un argomento fondamentale nella vita dei bambini, diciamo dalla mia generazione in poi: la televisione. Le 4 tavole apparentemente classificabili come divertissement, scherzano sull’argomento generale del libro: quanto l’infanzia forma l’adulto. Un auto-ironia che a mio parere rende più credibile il lavoro nel complesso.
Allo stesso tempo queste 4 tavole sono la replica perfetta della struttura di un programma televisivo, per dirla con il poeta “non dice niente, ma lo ripete lentamente”. Questo uso di immagini violentissime nella prima pagina, ma trattate quasi come fotogrammi subliminali, non immediatamente percepibili, la struttura didascalica, la ripetizione demenziale di pochissime informazioni, palesemente sbagliate, mi sembra la perfetta rappresentazione di un programma televisivo del pomeriggio. Non tanto quelli dedicati all’infanzia, ma tutti gli altri, che i bambini subiscono completamente, essendo giustamente in una fase di formazione dello spirito critico.

Riferimenti:
Recensione di Fascia Protetta
Double Shot, sito ufficiale: www.doubleshot.it

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