Siamo nel 6000 a.C., la civiltà neolitica sta lentamente soppiantando quella paleolitica. I primi tentativi di allevare gli animali e coltivare il terreno vengono condotti a scapito di quanti hanno bisogno dei boschi per cacciare gli animali di cui si cibano. Acca e Gi sono parte di una tribù che è stata inglobata, in maniera coatta e violenta, da un gruppo di raccoglitori/allevatori; per loro il tempo delle scorribande nei boschi è finito, al posto degli archi adesso usano zappe e rastrelli per lavorare nei campi sotto lo sguardo e le botte dei loro nuovi padroni.
L’insofferenza dei due ragazzi per questa nuova condizione è fortissima, specie per Acca, nonostante – o forse anche per – le perentorie raccomandazioni del padre che pretende obbedienza assoluta verso la nuova tribù. Riusciti a fuggire, i due scoprono che la libertà tanto agognata, più che di speranza, è ricca di difficoltà e sofferenza. Con Il sentiero delle ossa, Ettore Mazza debutta nel mercato italiano dopo alcune storie pubblicate su Brace, la rivista del collettivo omonimo di cui Mazza è tra i fondatori. La scelta dell’ambientazione è sicuramente originale e decisamente poco praticata dal fumetto odierno. Come ben spiegato nella postfazione firmata da Jacopo Conforti, l’avvento del neolitico trasforma radicalmente i costumi di un’umanità finora dedita principalmente alla caccia, cambia il rapporto con la natura, sempre meno subìta e sempre più “vittima”: dei disboscamenti utili a rendere i terreni coltivabili o della cattività imposta agli animali che cominciano a essere allevati. Ma la stanzialità cambia anche i rapporti tra simili, si rafforza il senso di comunità e l’esigenza di costruire riti e pratiche che consolidino e demarchino l’appartenenza ad un determinato gruppo, con la conseguente emarginazione o eliminazione dell’altro.
Acca e Gi decidono di uscire dal gruppo, di recuperare quella libertà che la nuova condizione nega loro, sperando così di lasciarsi alle spalle i soprusi e la violenza, per scoprire che non si è mai liberi fino in fondo, perché, per quanto lontano si possa fuggire, c’è sempre qualcun altro ad accompagnarci od ostruire il nostro cammino. Senza dimenticare il destino, che incombe e “marchia” ciascuno di noi per condurci a seguire ostinatamente un sentiero di cui non conosciamo la destinazione.
Con il suo stile verosimile e ricco di dettagli e la sua narrazione sintetica, Mazza dà vita a un racconto caratterizzato da una voce forte e personale, che si muove con sicurezza ricorrendo al testo solo quando strettamente necessario, confidando spesso nelle proprie capacità di narratore per immagini e nell’attenzione del lettore. Uno stile asciutto che rischia di sacrificare la comprensione di alcune sequenze a causa di scelte non ottimali ma che complessivamente, anche grazie alla colorazione in cui spicca, per così dire, il ricorso marrone e il verde fango, riesce efficacemente a restituire l’atmosfera oppressiva respirata dai protagonisti. È evidente, nella precisione con cui l’autore raffigura maschere, strumenti e rituali, l’attenzione alla documentazione storica: del resto la natura e gli strumenti per affrontarla (e quindi sopravvivere), passano sovente dal ruolo di sfondo a quello di protagonisti della vicenda al pari dei personaggi.
Personaggi che si muovono in maniera coerente in un contesto piuttosto verosimile: una delle difficoltà – ci immaginiamo – nel raccontare questo tipo di storia consiste nella possibilità effettiva dei personaggi di padroneggiare un linguaggio verbale complesso. A questa problema Mazza risponde optando per un ricorso estremamente parco a dialoghi perlopiù semplici e rapidi; sono molte le vignette completamente mute (mancano anche le onomatopee) in cui campeggia la natura. Attraverso di esse Mazza comunica il passare del tempo e gli stati d’animo dei protagonisti, mentre utilizza le soggettive per restituire lo sguardo dei personaggi al lettore. E attraverso l’uso di disegni a tutta pagina scandisce il ritmo della lettura, dividendo in maniera raffinata il racconto in paragrafi.
Un altro merito da ascrivere all’autore è il mancato ricorso ad escamotage ruffiani: Mazza evita di aggiornare e attualizzare i connotati dei personaggi e della storia, trasformando le vicissitudini dei due ragazzi protagonisti nel racconto di due moderni adolescenti, né dà vita al classico (e alle volte, pare, inevitabile) triangolo amoroso, nonostante l’inserimento di un personaggio femminile nell’intreccio. Anche la struttura del racconto, che si discosta dalla tripartizione tradizionale, introduzione, sviluppo e conclusione, costituisce un elemento peculiare e uno dei tratti distintivi di questo lavoro.
Il sentiero delle ossa è un libro ricco, per la cura profusa dal suo autore nel confezionare tavole caratterizzate da un segno accurato e una grande attenzione alla narrazione che, nonostante non sia – come abbiamo già detto –priva di difetti evita qualsiasi forma di facile drammatizzazione o spettacolarizzazione, optando per una sintesi tutt’altro che superficiale, che lascia al lettore ampi spazi di interpretazione. Una volta terminata la lettura si resta con degli interrogativi che costituiscono un invito rivolto al lettore a espandere i confini della vicenda racchiusa nelle pagine del volume.
Abbiamo parlato di:
Il sentiero delle ossa
Ettore Mazza
Edizioni BD, 2019
176 pagine, cartonato, colori – 17,00 €
ISBN: 9788832757026