Il romantico Jason fra immedesimazione e distacco

Il romantico Jason fra immedesimazione e distacco

A distanza di molti anni dai tentativi della defunta Black Velvet, 001 Edizioni pubblica nuovamente il norvegese Jason in Italia, con una raccolta di racconti sospesi fra silenzi, atti privi di volontà e incapacità di cogliere i reali sentimenti del prossimo.

Grazie a 001 Edizioni torna in Italia Jason, un autore norvegese fin troppo trascurato nel nostro paese.
Ho ucciso Adolf Hitler, raccolta di tre storie brevi, offre un’esauriente panoramica dello stile e della narrazione tipica dell’autore. L’ultimo racconto, certamente il più notevole dei tre, dà anche titolo al volume e risale al 2006.

Silenzio, assurdo e romanticismo lirico: la poetica di Jason

Se dovessimo riassumere la poetica di Jason in due parole queste sarebbero certamente silenzio e assurdo.
Da un lato il silenzio, perché ciò che lega tutti i protagonisti è l’incomunicabilità. Durante la narrazione non sono quasi mai presenti balloon di pensiero dei personaggi, e questo vuoto è riempito da facce mute e attonite. È demandato insomma al lettore il compito di decifrare il loro sentire interiore.

Dall’altro abbiamo l’assurdo, il nonsenso. Ognuno di questi personaggi mostra chiaramente come la situazione che sta vivendo gli sia sfuggita totalmente di mano, senza alcuna idea della motivazione, né alcuna possibilità di modificare questa ineluttabile condizione: nessuno di loro sa perché agisca in quel modo.

Il vero filo conduttore dei racconti è però rappresentato da una vena di romanticismo lirico che costituisce il motore dell’azione nella vita quotidiana dei protagonisti: tutti sono spinti da risentimento, gelosie e tensioni che nascono nella vita di coppia.
Sono queste piccolezze accumulate interiormente a montare costantemente i gesti irrazionali – violenti e pieni d’odio, ma allo stesso tempo inconsapevoli e mai realmente voluti – dei personaggi verso le persone amate che hanno attorno.

L’incomunicabilità e il peso reale della Storia nel racconto

Nell’ultimo racconto, Ho ucciso Adolf Hitler, questa situazione è particolarmente evidente. In un mondo immaginario in cui l’omicidio è normalmente accettato dalla società, il protagonista è un assassino professionista su commissione, assoldato da mogli gelose e amici risentiti, ma Jason presenta questa figura come un annoiato impiegato.
Viene a crearsi inoltre un paradosso quando uno dei bersagli da eliminare è proprio Adolf Hitler, e lo svolgimento di questo compito comporta un viaggio nel tempo: diviene difficile a questo punto per il lettore vedere in Hitler un antagonista nel racconto, quando è egli stesso una vittima e il protagonista è a sua volta un freddo omicida.
L’irruzione dell’irrazionale nel quotidiano non scalfisce però in alcun modo i personaggi, che rimangono ebeti nei loro sguardi vacui di fronte a tali situazioni assurde: i protagonisti hanno a che fare con strani omicidi, lupi mannari, viaggi nel tempo, tuttavia il loro pensiero fisso resta focalizzato sull’insicurezza e sul timore di non godere della fiducia altrui.

L’autore gioca con le aspettative del lettore, risultando però sempre imprevedibile, senza ricorrere a trovate metatestuali, riportando a un contesto di quotidiana banalità circostanze decisamente straordinarie; il tutto con una narrazione che evita i climax, adottando un ritmo sobrio e costante che ben si addice alla resa dell’indolenza dei suoi personaggi.

In uno dei pochi dialoghi in cui i protagonisti esternano le proprie paure, si arriva poi a una riflessione a cui l’autore non dà risposta: in questa storia ucronica Hitler è infatti stato ucciso nel ’38, la seconda guerra mondiale non è mai avvenuta, eppure il mondo non è il posto migliore che tutti ci aspetteremmo.
Jason tenta dunque di porre l’accento su come la Storia abbia spesso un peso molto marginale nelle nostre vite quotidiane, e i piccoli eventi siano il vero sale delle nostre esistenze.
L’incomunicabilità nelle relazioni sociali è dunque lo spettro più pericoloso e temuto, e ad esso Jason non sembra fornire aspettative risolutive: solo nella vecchiaia i due protagonisti dell’ultimo racconto sciolgono finalmente le loro riserve e si parlano davvero per la prima volta, ma ormai è troppo tardi.

Immedesimazione e distacco: un antropomorfismo funzionale

Il tratto minimale e pulito di Jason è indissolubilmente legato alle fascinazioni della ligne claire, in particolare quella di Hergé e Edgar P. Jacobs: le sue tavole sono organizzate metodicamente e focalizzate sull’azione e sui personaggi.

La scelta di protagonisti antropomorfi, anch’essa in bilico fra due esigenze contrastanti, porta a un equilibrio straniante di rara brillantezza: se da un lato l’animale umanizzato diviene il simbolo archetipico in cui chiunque potrebbe immedesimarsi, come avviene per personaggi iconici quali ad esempio il Topolino di Floyd Gottfredson, dall’altro la dolorosa freddezza del racconto ha bisogno di essere stemperata attraverso un distacco maggiore del lettore, come mostrato sapientemente dalla scelta grafica operata nel Maus di Art Spiegelman.

Jason vuole che i suoi personaggi/animali divengano non degli esseri umani, ma L’Essere Umano, tuttavia al contempo cerca una maggiore dissociazione del lettore, per permettergli di cogliere l’ironia tagliente delle situazioni rappresentate. È proprio questo contrasto, unito all’ambiguità morale dei suoi personaggi, simultaneamente innocenti e colpevoli, agenti e inerti, a costruire il grande fascino di queste opere.

Abbiamo parlato di:

Ho ucciso Adolf Hitler e altre storie d’amore
Jason
Traduzione di A. Trabacchini
001 Edizioni, ottobre 2019
150 pagine, brossurato, colori – 18,00 €
ISBN: 9788871820811

Clicca per commentare

Rispondi

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *