“[…] non ricordavo di aver avuto per tutto questo tempo un pensiero tendente a salire in alto verso Dio, oppure a scendere in basso dentro me stesso per un Esame dei miei comportamenti […]“ Robinson Crusoe – Daniel Defoe
Laggiù, in fondo, dietro una pesante porta ovale di metallo c’è una stanza. All’interno uno spazio mangiato da un buio umido e appiccicoso che ti sembra di respirare goccioline d’acqua. Non vedi niente ma percepisci la presenza di una grossa macchina, composta da una serie di ingranaggi stretti in una carcassa di metallo. Lo scopo di questo meccanismo è semplicemente quello di consentire di rallentare, fino quasi a fermarsi. Per giungere in questa stanza devi discendere nelle viscere dell’enorme bestia. Questo animale affetto da gigantismo è una nave da guerra e calarsi nelle sue interiora è un po’ come digradare metaforicamente dentro noi stessi, alla ricerca di un luogo che sia riparo sicuro, mentre fuori tutto corre.
Georges Guibert, un giovane oceanografo in cerca di avventura, si arruola in marina e al porto di Brest viene imbarcato come segnalatore sulla corazzata “La Bellicosa”, una vecchia bagnarola sempre in avaria che sembra uno sconfinato cantiere attraversato da una brulicante e indaffarata varia umanità. La nave, mastodonte di acciaio costretto alla catena in un porto pieno di imbarcazioni militari, salpa all’improvviso per dare la caccia ad un misterioso sottomarino nemico, pericolosa presenza invisibile nascosta dalle spumeggianti acque marine.
Da questo semplice spunto inizia il cammino del nostro protagonista che abbandona la terra ferma per approdare al microcosmo fantastico della nave, confine all’interno del quale fioriscono le tensioni e si agitano spettri di una possibile guerra. Un viaggio che interessa il protagonista e i suoi compagni così come la nave stessa che affronta le insidie del mare. Imbarcazione dall’altezza vertiginosa e dall’architettura imponente e pesante, “La Bellicosa” riempie lo sguardo di chi la osserva a tal punto che l’occhio, per farla entrare tutta nel campo visivo, sembra costretto a curvarne la prospettiva, distorcendo le linee della sua forma fino a restituire un senso di febbrile, disarmoniosa instabilità.
Ed è proprio la nave a prendersi la scena fin dalle prime battute, accomodandosi sulla sedia del coprotagonista della storia, presente in ogni inquadratura anche in qualità di sfondo che sigilla gli esseri umani all’interno di ambienti claustrofobici per restituirli alla terra ferma dopo averli sballottati nei suoi labirintici meandri. Il colore verdastro delle fiancate che richiama il salmastro e poco salutare colore dei fondali marini si staglia contro un cielo plumbeo, in un gioco di rimando tra colori piatti, privi di brillantezza e assenti di gioia. Negli spazi angusti delle sue cabine regna un senso di soffocante chiusura, così come nei corridoi e nelle scalette di metallo che collegano i suoi molteplici piani. Solo quando le inquadrature si spostando sul chilometrico ponte, racchiuso tra solidi parapetti, l’occhio sembra cominciare a correre nuovamente libero, allentando quel senso di respiro corto del narrato. La nave, nel suo peregrinare, sembra intorpidita e sognante, in attesa del confronto con un nemico tanto invisibile quanto, forse, inesistente. Tutto ciò che accade assume i contorni sfumati di un grottesco sogno collettivo che colma gli spazi tra “la Bellicosa” ed il suo equipaggio, entrambi persi chissà dove nel mezzo del mare.
Il viaggio della corazzata è anche il viaggio degli uomini che la abitano, api frenetiche all’interno di un microcosmo sociale fatto di piccole cabine, incombenze giornaliere e rigide regole. In questa società chiusa e stratificata emerge il personaggio di George Guibert tramite il quale scopriamo l’ecosistema della nave che lega indissolubilmente al ristretto ambiente fisico i suoi occupanti. Uomini ritratti con linee essenziali, figure grezze e sgraziate nei movimenti, sghembe e barcollanti, utili a trasmettere l’idea di una profonda instabilità emotiva e relazionale che affligge l’umano. Esseri che, abbandonata la terra ferma, ricercano una nuova identità sociale nella ferrea gerarchia militare all’alba della seconda guerra mondiale. L’attesa del combattimento spinge i personaggi a un confronto con sé stessi, mettendone a nudo le personalità, le paure e le debolezze.
Nella loro rappresentazione si può notare la forte influenza nell’autore delle collaborazioni passate con David B., ovviamente con le dovute e logiche differenze. Non è per niente forzato, e non vuol certo sminuire il lavoro di Blain, accostare certe figure e certi volti allo stile dell’autore de Il Grande male: si veda esempio la tavola 15, nella quale il delirio onirico del protagonista Georges Guilbert, sofferente per il mal di mare, sembra essere uscito dalla mano e dalle chine del più illustre collega.
L’opera può essere vista come un romanzo di formazione, nel quale il percorso per l’ascesi passa attraverso un cambiamento che, in questo caso, è figurato dal viaggio o meglio l’imbarcarsi per l’ignoto.
Un viaggio d’iniziazione che il protagonista compie in due sensi: il primo è orizzontale, sopra le onde, e coincide con la scelta di arruolarsi in marina all’alba della seconda guerra mondiale e di lasciare momentaneamente alle spalle la giovane moglie. Scelta consapevole e voluta, che prefigura, a meno di una tragica fine, una partenza e un ritorno nello stesso luogo e alla stessa vita; anche se di mezzo ci saranno mari, tempeste, navi e sottomarini che cambieranno per sempre l’orizzonte che avrà, poi, di fronte.
È il mal di mare, debolezza del nostro protagonista, l’elemento scatenante del suo secondo viaggio. inaspettato e casuale, ma altrettanto e forse più decisivo per la formazione dello spaurito timoniere, e si compie in verticale. È un viaggio all’interno del ventre dell’enorme nave da combattimento su cui si è imbarcato, alla ricerca di un luogo tranquillo dove la forza oscillatoria delle onde giunga ad attenuarsi. Un percorso iniziatico compiuto tramite un lungo vagabondaggio verso il basso, passando per anguste scale e corridoi bui alla ricerca del riduttore di velocità, il gigantesco ingranaggio essenziale per la regolazione della forza dei motori; un viaggio che assomiglia fortemente ad un percorso tortuoso ed accidentato dentro la parte più segreta del nostro essere alla ricerca di uno spazio particolare. Una stanza, un luogo metaforico, nel quale rallentare i pensieri, le nostre paure e il ritmo della nostra vita, allontanandoci dagli altri per recuperare un equilibrio sfuggente. Un’incredibile discesa, che avrà i suoi risvolti drammatici, ma che diventerà immediatamente il fulcro dell’intera vicenda. E se in questo caso il viaggio (o meglio il vagabondaggio) materialmente è verso il basso, sembra quasi che sia la metafora di un percorso interiore faticoso e tormentato.
Differentemente dal primo, questo secondo viaggio non ha destinazioni certe e difatti il finale quasi aperto, che per certi versi lascia un senso di incompiutezza e di amarezza, descrive questa sensazione. Il protagonista è stato sbarcato, ma non ritroverà lo spirito e le aspettative con cui era partito. Tutto sembra diverso, lontano e sfuocato. Nella testa rimane la sensazione che il destino ha preso strade inaspettate e che dentro qualcosa è cambiato. Alla fine niente rimane uguale e anche Il bellicoso viene smantellato per rinascere a nuova vita, come il nostro Guilbert.
Un viaggio affascinante rappresentato da disegni dalla perfetta resa artistica che creano la giusta corrispondenza tra luoghi oscuri o illuminati da viscerali tinte e gli stati d’animo del nostro George, trovando una perfetta sintonia tra parola scritta e disegni. L’immensità della nave che rimanda alla vastità dell’animo umano, sembra porsi a monito degli incauti viaggiatori che volessero intraprendere un’analoga discesa nella propria dimensione interiore. Un luogo oscuro pieno di oggetti fragili, di dislivelli, di passaggi proibiti e segreti dove possiamo vagabondare per giorni col rischio di perderci senza ritrovare la via d’uscita.
Il riduttore di velocità è l’opera che nel 1999 ha fatto conoscere ed apprezzare Christophe Blain fuori dai confini della Francia facendogli compiere un importante passo verso la piena maturità artistica. L’autore filtra la tradizione delle BD attraverso uno sguardo che rimanda alla pittura espressionista, realizzando disegni dalle linee curve che vanno nella direzione della ricerca di sintesi nella forma e l’uso del colore quale strumento per esprimere le tensioni e gli stati d’animo, in cui le figure vengono deformate e piegate nello sforzo di raccontare le difficoltà di una vita in preda ai capricci del mare ed incatenate nel ventre di un mostro di metallo che lo naviga.
Discostandosi dal racconto realista della sua esperienza militare raccolto nei “Taccuini di un marinaio”, Blain ci conduce in un viaggio metaforico e inatteso, introducendo l’elemento fantastico nella sua narrazione per farla diventare maggiormente evocativa e farci avvicinare alla reale essenza della vita su una corazzata da battaglia. Un luogo invivibile, oscuro, puzzolente e rumoroso. Mantenendo una minima quota di realismo e un tono che incrocia il comico e il grottesco, l’autore realizza una miscela perfetta che gli consente di soddisfare in pieno l’esigenza di comunicarci il suo vissuto da marinaio.
Il risultato qui va realmente oltre gli intenti, accompagnandoci ad accostarci non solo alla vita su una imbarcazione militare, ma portandoci a compiere, nel contempo, un viaggio dentro noi stessi. Nel 2001 Blain pubblica il primo capitolo di Isaac il pirata, opera che lo consacrerà quale grande autore contemporaneo. A differenza de il riduttore di velocità, nel quale l’autore componeva un racconto in bilico tra esperienze personali e fantasia, le avventure di Isaac vengono ispirate dalla sola voglia di avventura. Un’opera che si dimostra improntata ad una maggiore leggerezza, svincolata dalla ricerca di un linguaggio efficace per filtrare la realtà attraverso elementi fantastici, che trova la sua cifra stilistica nella narrazione del percorso di crescita e maturazione del protagonista inserito in un racconto ironico e dissacrante che a tutt’oggi manca di un vero epilogo.
Abbiamo parlato di:
Il riduttore di velocità
Christophe Blain
Traduzione di Stefano Sacchitella
Oblomov Edizioni, 2021
88 pagine, cartonato, a colori – €20,00
ISBN 9788831459341