Il poliziesco di Greg Rucka: Stumptown

Il poliziesco di Greg Rucka: Stumptown

Arriva in Italia per Edizioni BD “Stumptown”, il fumetto di Greg Rucka che ha ispirato la serie TV con Cobie Smulders.

Dex Parios è un’investigatrice privata di Portland, in Oregon, che riceve da una vecchia conoscenza l’incarico di indagare sulla scomparsa di una sua nipote. Il sospetto è che sia potuta fuggire con un ragazzo, ma ben presto Dex si trova invischiata in una vicenda più complessa e pericolosa.

Stumptown_coverIl caso della ragazza che si è portata via lo shampoo (ma ha lasciato la Mini) è il titolo del primo arco narrativo di Stumptown (da uno dei soprannomi con cui viene chiamata Portland, che è anche il nome dell’agenzia investigativa di Dex), fumetto ideato e sceneggiato da Greg Rucka per i disegni di Matthew Southworth: uscito in USA nel 2009 per Oni Press, raggiunge ora l’Italia per Edizioni BD sull’onda della serie televisiva con protagonista Cobie Smulders trasmessa nel nostro Paese su Fox, che si spera evidentemente possa fare da traino all’opera originale.

Chi conosce Rucka sa che ha sempre avuto un debole per trame di stampo poliziesco/procedurale: il mondo delle investigazioni e dell’hard-boiled l’ha riversato in opere come Gotham Central (ne abbiamo parlato qui e qui), testata DC Comics incentrata sul commissariato della metropoli di Batman, e fuori dal mondo dei fumetti si è distinto come romanziere con molti libri di genere, ad esempio la lunga serie sulla guardia del corpo Atticus Kodiac.

Il primo volume di Stumptown funziona come un orologio per quanto riguarda la stesura dell’intreccio: in particolare gli amanti di questo tipo di storie possono ritrovare l’atmosfera noir delle detective-stories più classiche, così come un andamento del racconto costituito da tutti gli elementi tipici e da un paio di svolte narrative apprezzabili.
Niente di particolarmente innovativo sotto il profilo della trama, ma mai come in questo genere si tratta di un dettaglio poco rilevante. Il lettore per primo si aspetta la riproposta di certi stilemi e la prova del nove sulla riuscita di un crime novel si gioca sullo spessore dei personaggi – detective protagonista in primis – e sulla capacità di creare un presupposto interessante debitamente complicato e intorbidito nel corso dello svolgimento.

Ed è qui che Rucka ha fatto centro: scagnozzi che cercano di dissuadere l’investigatrice a proseguire le indagini, criminalità organizzata, malaffare, il tutto come cortina di fumo che la protagonista deve superare per trovare la ragazza scomparsa, legata a certe persone e situazioni non proprio raccomandabili. L’ambientazione della grande provincia americana è adattissima al contesto e Dex vi si muove a suo agio.
Riveste una certa importanza formale la narrazione non consequenziale, per cui la storia parte in media res in un momento particolarmente concitato per poi riavvolgere il nastro e mostrare come si è arrivati a quel punto, stratagemma ripreso fedelmente in diversi episodi della serie TV.

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Dex Parios è l’altro elemento a favore della storia: lo sceneggiatore attinge a piene mani dalla grande tradizione dei detective privati della narrativa di genere e coniuga quelle caratteristiche nella figura di una giovane donna tosta, sveglia, capace di tenerezza nel prendersi cura di un fratello con la sindrome di down come di tenere testa a un boss del crimine.


È dotata di un’ironia tagliente e di atteggiamenti da bad girl: beve, fuma, ha problemi con il gioco d’azzardo, veste da maschiaccio, è indifferente alle multe e piuttosto rilassata nei confronti dell’ordine costituito. Caratteristiche con le quali si ritaglia un posticino nel pantheon degli investigatori “duri e cattivi” della tradizione poliziesca, aderendo perfettamente agli stereotipi classici ma aggiungendoci una componente femminile che è più difficile da rintracciare, se non negli ultimi anni. Un esempio simile e collaterale è infatti la Jessica Jones di casa Marvel, nata dalla fantasia di Brian Michael Bendis otto anni prima sulle pagine di Alias (qui il nostro approfondimento) ma diventata nota al grande pubblico nel 2015 con la serie a lei intitolata in streaming su Netflix.

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A proposito di trasposizioni televisive, la Dex del piccolo schermo appare piuttosto fedele alla controparte cartacea. In effetti la caratterizzazione datale da Greg Rucka è già particolarmente efficace per l’approccio alla narrativa procedurale delle grandi emittenti americane e i tempi sono fortunatamente abbastanza maturi per accettare una donna forte, sessualmente priva di imposizioni e restrizioni, dichiaratamente bisessuale e in grado di essere al centro della storia, al netto di qualche ingenuità e compromesso presenti qua e là, prevedibili considerando che stiamo parlando di un canale in chiaro.
Cobie Smulders incarna con entusiasmo il personaggio e offre un’interpretazione aderente all’originale: non c’entra solo la somiglianza fisica con il disegno, è proprio il carisma che l’attrice infonde nella parte a dare risalto a Dex in live-action.

Il pilot – dal titolo Lascia perdere, Dex. È Stumptown – adatta proprio la trama di questo volume e lo fa senza grossi stravolgimenti, soprattutto nel suo spunto iniziale e nei comprimari dell’indagine, divergendo più che altro nel dover introdurre elementi e personaggi che diventeranno ricorrenti negli episodi successivi.

Stumptown_4Per quanto attiene ai disegni di Matthew Southworth, questi costituiscono un valore aggiunto non da poco nell’economia della riuscita dello story-arc.
Dettagliato nei volti dei personaggi ma al contempo sfumato negli sfondi, il tratto dell’artista appare piacevolmente sporco nel modellare personaggi e ambienti, con grande uso di tratteggi e ombreggiature che restituiscono perfettamente il senso di “marcio” di un noir come questo. Per citare nuovamente Alias, ricorda un po’ lo stile di Michael Gaydos.
L’estetica di Stumptown appare così vagamente squallida, ed è una scelta che paga molto bene quando si tratta di illustrare strade in notturna, zone periferiche della città o l’interno di pub illuminati solo dalle luci soffuse.
Il segno nervoso e netto di Southworth trova poi particolare esaltazione nel raffigurare gli ematomi sui visi e particolari come barba ispida, cicatrici e vestiti sdruciti.

La regia delle tavole, infine, è particolarmente movimentata e sorregge in maniera dinamica la narrazione. Per accompagnare uno sparo il disegnatore sceglie un campo lungo su una doppia splash-page in cui innesta quattro vignette che si focalizzano sulla caduta della vittima e una sequenza di quadratini che fermano in tanti pseudo-fotogrammi il volo di un gabbiano che scappa in seguito al rumore. Per comunicare i sintomi di un tramortimento subito da Dex le vignette della tavola in cui cerca di rimettersi in piedi sono disordinate e fuori asse, storte e inclinate come carte alla rinfusa su un tavolo. Per contestualizzare un confronto con due sicari la pagina si riempie di vignette orizzontali piuttosto basse che si affastellano le une sopra le altre.

Sono solo alcuni esempi di come Southworth segua l’incedere della storia con ottime soluzioni che accelerano il ritmo di lettura nei momenti più convulsi della vicenda, che dimostrano buona padronanza del mezzo e versatilità nella gestione della tavola a fumetti.
Non mancano anche pagine dalla struttura più canonica e quadruple a effetto che “fermano” i momenti più tranquilli e dove spesso il disegnatore ne approfitta per concentrarsi sulla rappresentazione di affascinanti panorami visualizzati con un certo gusto e un occhio al reale.

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La resa finale viene aiutata in modo determinante dai colori di Lee Loughridge e Rico Renzi, con la supervisione dello stesso Southworth. La colorazione è perlopiù acida, con scelte cromatiche che sembrano attaccarsi come una colla a personaggi e ambienti. Gli spazi aperti, quasi sempre vissuti di notte, sono bui e caratterizzati da una predominanza di blu scuro e tonalità fredde. La sequenza finale, in particolare, che si svolge prima dell’alba su una spiaggia gioca molto sulle ombre e sui neri oltre che ancora sul blu, in una fusione tra cielo e mare.
Quando si tratta invece di visualizzare l’appostamento di Dex in auto, sono proprio trucchi di colore come il cambio della luce nell’arco delle ore o i fari della macchina che si accendono a determinare il passare del tempo e la transizione da un momento al successivo, accentuando anche l’atmosfera del racconto.
Gli ambienti chiusi sono quasi sempre monocolore, come il verde acido del casinò in cui gioca Dex e il marroncino dello studio della proprietaria, il grigio dell’appartamento abbandonato dalla ragazza scomparsa e il misto tra giallo e arancio appiccicoso che si trovano nell’appartamento del boss malavitoso.
Si tratta di una tavolozza curata e che contribuisce fortemente al mood della vicenda.

Stumptown_9Il caso della ragazza che si è portata via lo shampoo (ma ha lasciato la Mini) si presenta come un esordio più che piacevole per la serie, forte di una protagonista capace di conquistare con la propria risolutezza, di una scrittura sicura che sa come giocare con gli elementi del genere di riferimento e di un apporto estetico che, tra disegni e colori, catapulta il lettore direttamente al centro della vicenda e nella stessa Portland, in una maniera talmente vivida, immaginifica ma nello stesso tempo realistica, che nessun adattamento cinematografico o televisivo potrebbe replicare con lo stesso effetto.

Abbiamo parlato di:
Stumptown vol. 1 – Il caso della ragazza che si è portata via lo shampoo (ma ha lasciato la Mini)
Greg Rucka, Matthew Southworth, Lee Loughridge e Rico Renzi
Traduzione di Giulia Morganti
Edizioni BD, 2020
160 pagine, brossurato, colori – 15,00 €
ISBN: 9788834901229

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