Magneto non è un eroe è il titolo di una miniserie scritta da Skottie Young per le matite di Clay Mann, ma è anche un mantra, un continuo memento per gli X-Men e per i lettori dei fumetti con i mutanti per protagonisti. Erik Lehnsherr, o se vogliamo Magnus, o ancora Max Eisenhardt, è un personaggio tanto controverso quanto interessante, che fa della propria costante ambiguità il suo punto forza, conquista il pubblico con il suo piglio energico e il fascino oscuro che cinismo e risolutezza esercitano, titillando la voglia di rivalsa degli uomini.
Magneto è il mostro che non possiamo permetterci di scatenare nella nostra quotidianità, quando ci sentiamo discriminati, colpevolizzati a sproposito e, soprattutto, quando siamo vittime di ingiustizie. A lui basta indossare un elmetto che impedisce al suo amico/nemico di sempre di entrargli nella mente, iniziare a fluttuare e controllare i metalli per risollevare le sorti dell’homo superior.
Almeno, un tempo questo era sufficiente. Cullen Bunn, sceneggiatore che ama raccontare i villain delle major supereroistiche, lo mostra in difficoltà, depotenziato, costretto a muoversi in borghese, di soppiatto, e ad accettare l’aiuto di una sconosciuta. Se i poteri non funzionano più come in passato, non si sono affievolite la sete di vendetta e la voglia di rivalsa, non viene accantonata la missione di tutta una vita: difendere i mutanti e attestarli in una posizione socialmente dominante.
Ricordi
La fedeltà alla causa e la coerenza non vengono meno e non può essere altrimenti se il passato torna sempre a tormentare l’animo. Magneto ha vissuto l’orrore del Nazismo, si è piegato agli ordini delle SS quando ancora non era in grado di piegare a proprio piacimento gli oggetti, si è nascosto, è scappato ed è sopravvissuto.
In Famigerato, il primo volume (di due) edito da Panini Comics, Bunn inserisce alcuni flashback che propongono eventi accaduti al giovane Max durante la Seconda Guerra Mondiale. Per farlo, attinge al lavoro di Greg Pak e Carmine Di Giandomenico che, in Magneto: Testamento, hanno sapientemente raccolto gli indizi sparsi precedentemente da Chris Claremont e John Byrne per scavare a fondo nel passato del villain, concentrandosi sugli anni trascorsi in un lager. Per mezzo delle matite di Gabriel Hernandez Walta non assistiamo a un semplice copia-incolla di vignette perché, sebbene i rimandi siano evidenti, si instaura un gioco di incastri al termine del quale entrambe le opere risultano arricchirsi vicendevolmente.
Il tratto dello spagnolo, già di per sé capace di restituire l’atmosfera cupa della narrazione con il chiaroscuro e i segni graffianti quali quelli lasciati da una penna biro, acquisisce ulteriore teatralità grazie ai colori di Jordie Bellaire. Infatti, per le analessi le tavole assumono varie gradazioni di grigio e azzurro guadagnando incisività al punto che la disperazione degli ebrei arriva senza filtri palliativi agli occhi del lettore, come accadeva osservando le plumbee copertine di Testamento firmate da Marko Djurdjevic (potrebbe non trattarsi un caso).
Walta punta molto sull’espressività del protagonista e, nel presente narrativo, lo caratterizza sulla base dei movimenti dello sguardo e della bocca. Tristezza, stanchezza e desiderio di vendetta appaiono come deformazioni di un volto appesantito dall’esistenza e, più prosaicamente, dai trattini di una barba rasata da poco che si vorrebbe tenere corta, senza però disporre del tempo necessario per una cura costante.
Ancora, sfregiato e tumefatto, il viso di Magnus torna per pochi istanti a essere lo stesso dei giovani deportati che restavano immobili per il terrore. Sebbene negli anni di una maturità che si avvia alla vecchiaia tenti di proibirsi di provare paura, egli non può che sgranare gli occhi di fronte all’apparire improvviso del gerarca Hitzig, figura sfruttata dal Teschio Rosso per torturare il signore del magnetismo.
Dolore
Johann Schmidt, storico avversario di Capitan America, compare negli ultimi capitoli della storia, quando la serie regolare di Magneto incrocia Uncanny Avengers di Rick Remender sulla strada che porta all’evento Axis. Nel volume sono raccolti due episodi della testata vendicativa, sceneggiati proprio da Remender per le matite di Salvador Larroca e di Daniel Acuña. Il cambio di registro, dal racconto intimo e quasi marginale alla saga più generalmente supereroistica, è palese tanto per la presenza di un elevato numero di personaggi quanto per la repentina accelerazione del ritmo, dettata dalla maggiore rilevanza data all’azione.
È impossibile non notare il cambio di rotta nella trama e nello stile, perché all’improvviso la vicenda personale di Erik, una crociata individuale dai toni crepuscolari contro i persecutori dei mutanti, si fonde con qualcosa di più grande e inaspettato. Se è vero che per gradi la sua indagine lo porta a Genosha, luogo in cui i sensi di colpa riaffiorano incontrollabili perché legato a una strage di portatori del gene X, è lecito pensare che la vicenda deflagri per mezzo di un meccanismo troppo forzato.
Malgrado questo iato, Bunn riesce a far risuonare la propria voce nei numeri 9 e 10 della sua testata, portando avanti la commistione tra passato e presente attraverso la comparsa di Hitzig. Sebbene il gerarca sia stato assassinato da Wolverine nelle pagine di Uncanny X-Force di Remender, egli torna a tormentare Magneto per volontà del Teschio Rosso, ora in grado di penetrare nella mente degli avversari.
La visione è una tortura: il tedesco che tanti ebrei aveva straziato negli anni Quaranta è ancora una volta di fronte alla sua vittima. L’esperto Erik, che aveva dovuto affidare a Logan il compito di togliere di mezzo l’ormai anziano aguzzino perché incapace di affrontarlo di persona, torna a essere il giovane Max che si aggirava tra le spoglie capanne del campo di concentramento. Colui che ha ucciso uomini, robot e mostri nel corso della sua carriera di terrorista, che non ha mai esitato nel momento di far scorrere il sangue nemico è alla mercé della memoria.
Approfittando dell’intrusione di Schmidt nel cervello del protagonista, Bunn ne riassume alcune vicende in una sequenza onirica disegnata da Javier Fernandez, già chiamato ad alternarsi con Walta in altri passaggi della serie. Il suo segno è più sottile di quello del collega, più lieve e meno carnale, sembra puntare più sulla trasmissione del nervosismo che del dolore, tuttavia ben si sposa con l‘atmosfera concitata che permea il rapido susseguirsi delle scene.
Dan Brown, il colorista che affianca Fernandez, sceglie sempre toni più accesi di quelli spenti e opachi di Bellaire, finendo per contrastare con lo sviluppo drammatico della trama. La criticità, però, non si riscontra nel caso delle tavole che sintetizzano l’epopea di Magneto, perché le tinte slavate distinguono la dimensione dell’immaginario dalla realtà.
Metallo
Vittima, ma anche carnefice: Famigerato mostra molte sfaccettature di Magnus. Egli è solito ripagare con la stessa moneta coloro che giudica colpevoli e, sebbene i suoi poteri non siano efficaci come un tempo, i mezzi non gli mancano. Costretto a confrontarsi con storici nemici dei mutanti quali Sentinelle, Purificatori e Marauders, sfoggia un irriducibile dinamismo, arrivando ad affermare che la mutazione è adattamento, per spiegare che non sono le abilità speciali a definire l’homo superior.
Ecco allora che, diminuita la potenza, subentra la creatività, mentre violenza, crudeltà e sadismo continuano ad aumentare. Solo un elemento è fondamentale: la presenza del metallo. È sufficiente una graffetta per uccidere una donna; basta muovere delle chiavi per porre fine all’esistenza di un uomo; i pali della segnaletica verticale diventano più letali di lance e spade; infine, tutto ciò che è metallico assume la funzione di elmetto, corazza e mantello se finemente lavorato.
Sui dettagli del materiale prediletto da Erik si sofferma il nostro sguardo, guidato dalla regia di Walta che dedica riquadri più piccoli dallo sfondo azzurro a oggetti come borchie, chiodi, lancette e fibbie.
Come il protagonista è abile ad avvalersi del magnetismo in base alle proprie esigenze, così Bunn è bravo a gestire i tempi del racconto alternando azione e introspezione, mantenendo comunque quest’ultima preponderante. Attraverso le didascalie riusciamo a realizzare un’impresa a stento compiuta da Charles Xavier: entriamo nella mente del villain e ne conosciamo angosce e ambizioni.
Il fumetto è, per buona parte del suo andamento, il risultato della sinergia tra sceneggiatore e artisti: i testi sono ordinati e graffianti tanto quanto le matite di Walta, le parole evocano le stesse sensazioni alle quali i colori di Bellaire danno corpo. Al flusso di coscienza continuo e cadenzato dall’importanza di alcuni singoli termini fanno da contraltare i dialoghi secchi e sintetici, dall’incedere intermittente.
Solo in un’occasione si ha l’impressione che la scrittura ricorra a una soluzione di comodo, quando Magneto prevale su un Predatore X che cerca di entrare nella sua testa. Il cliché dei ricordi troppo dolorosi per l’avversario è abusato e sembra affrettato in una narrazione che tanta importanza dedica alla memoria.
Al netto di questa sbavatura, il volume si ritaglia uno spazio importante nella mitologia del personaggio, arricchendone il passato e indagandone minuziosamente la psiche, anche quando l’interferenza del filone principale delle storie dell’universo Marvel rischiava seriamente di portarlo fuori strada.
Abbiamo parlato di:
Magneto #1 – Famigerato
Cullen Bunn, Rick Remender, Gabriel Hernandez Walta, Javier Fernandez, Salvador Larroca, Daniel Acuña
Traduzione di Fabio Gamberini
Panini Comics, ottobre 2018
264 pagine, cartonato, colori – 25,00 €
ISBN: 9788891241443