Il fumetto nello studio di Anna Segre, psicoterapeuta

Il fumetto nello studio di Anna Segre, psicoterapeuta

Anna Segre ci conduce in un viaggio attraverso l’uso del fumetto in psicoterapia. “Il fumetto fa bene” è al contempo un insieme di schede di lettura e di casi clinici, che mostra come i fumetti offrano punti di vista sul sé e sul mondo. Se solo li si legge con...

L’immagine come porta al sé

Nel suo agile volumetto Il fumetto fa bene – Letture come terapia, la psicoterapeuta Anna Segre propone una serie di schede di romanzi a fumetti che utilizza o ha utilizzato nel trattamento di pazienti. Per ciascuna opera indica le tematiche affrontate, offre una presentazione generale e quindi descrive i casi in cui l’ha utilizzata, proponendola al paziente, i riscontri ottenuti e le considerazioni su che cosa sia intercorso fra questi e l’opera; a conclusione un consiglio d’uso o indicazioni sul “fa bene perché”.

È importante notare che, talvolta, il collegamento opera-paziente si stabilisce tramite una scena, addirittura una specifica vignetta, altre attraverso lo scenario o un personaggio. In generale, gli esempi portati dalla Segre arricchiscono la casistica del rapporto fra l’essere umano e il racconto come organizzazione e confronto con l’esperienza (vedi anche Jonathan GottschallL’istinto di narrare, Bollati Boringhieri), ma le sue riflessioni ci offrono anche spunti sulla modalità di fruizione del fumetto, sul rapporto che si instaura fra il lettore e l’opera e, quindi, anche sulle prospettive di analisi e studio del fumetto stesso.

I casi presentati mostrano come la narrazione per immagini consenta ai pazienti l’elaborazione simbolica della propria condizione, offrendo loro elementi per esprimere il proprio stato, a partire, prima ancora che da un riconoscimento razionale, da una risonanza emotiva. L’immagine o la scena trovate nel fumetto materializzano al lettore il proprio stato o, meglio: nella sua percezione di quel momento, passaggio o trattamento narrativo il paziente/lettore ritrova lo stesso carico emotivo della percezione della propria esperienza.

In questo senso, possiamo quindi dire che il racconto per immagini è la porta (o la chiave?) a un canale empatico per l’espressione del sé. Questa efficacia è in ultima analisi una manifestazione della polisemia della forma espressiva “fumetto”: la debolezza strutturale dei suoi codici espressivi rende il racconto deformabile, manipolabile in forma di metafora, così da consentire al soggetto di ricondurlo a una situazione del proprio vissuto.

Per una visione del fumetto

Chiarito questo – e chiarito che non entriamo certo nel merito dell’approccio terapeutico – dal nostro punto di vista il primo spunto interessante delle esperienze proposte dalla Segre è la segnalazione del rischio di chi ha a che fare con le idee di “verosimiglianza” o “sincerità” narrativa, in particolare sul valore di queste caratteristiche mimetiche come prospettive di analisi dell’opera (ovvero porre come domanda significativa o sensata: “il racconto è sincero?”, “il racconto è vero?”).

Lo stesso valore funzionale/terapeutico, che sicuramente colpisce, è da considerare con cautela, poiché offre una ambigua, se non velenosa, tentazione a chi volesse promuovere la causa del valore del fumetto come forma di espressione, tramite considerazioni di utilità. Anche lasciando da parte il rovescio della medaglia (se giova terapeuticamente, può anche danneggiare: si pensi alle antiche polemiche su quanti ragazzi sarebbero stati spinti al suicidio dalle canzoni dei Joy Division o degli Smiths), il rischio di una simile impostazione è quello di ridurre l’opera a strumento di lavoro e la forma espressiva (fumetto) a disciplina indirizzata alla produzione di siffatti strumenti, siano essi di supporto alla psicoterapia, alla didattica, alla comunicazione, alla pubblicità e così via. Una simile prospettiva funzionalistica smarrisce il valore “espressivo” del fumetto, che viene considerato semplicemente per la sua valenza strumentale (performativa). Detto altrimenti: l’utilizzo del fumetto è il dito e non la luna.

La luna è nella capacità dell’opera di offrire elementi per l’elaborazione simbolica della realtà: l’applicazione che ne fa la Segre è un caso limite che fa emergere con particolare forza quella capacità, ma che dobbiamo considerare come caratteristica fondamentale del rapporto opera-lettore, rapporto che costituisce l’orizzonte di senso (o almeno uno degli orizzonti di senso) dell’opera stessa.

Come è facile notare, siamo passati da una considerazione sull’efficacia funzionale a una visione del fumetto. Una visione che assume una prospettiva che ha come punto focale la capacità di un’opera (un preciso artefatto, quindi, e non della forma espressiva in generale) di offrire al lettore un contatto con il mondo, di mediare un’esperienza o una riflessione attraverso uno sguardo problematizzante, che cioè faccia emergere da quanto osserva e mostra domande e dissonanze che riporta allo sguardo del lettore. In questa prospettiva, perdono innanzitutto di significato gli attributi (mimetici) di “sincerità” e “realismo” di un racconto, mentre diventano punti di attenzione le domande e le modalità di problematizzazione nei confronti del tema del racconto (che riguardano, ovviamente, anche i modi della realizzazione) utilizzate dall’opera.

Il lettore allo specchio

C’è un ulteriore caratteristica che rende questo saggio affascinante: il fatto che ogni lettore si può ritrovare nella descrizione del rapporto con il fumetto raccontato nei tanti casi. Io almeno mi ci sono ritrovato spesso, in particolare nel caso della paziente che si confronta con Marbles di Ellen Forley, allorché la Segre scrive:

A volte gli sembra di voler sapere tutto, ma poi si spaventano dei loro stessi sintomi. Allora leggono altre due pagine e poi lo posano. Poi ci ripensano, e ci tornano. Ma qualche pagina dopo c’è il resto della storia, il resto dei sintomi, degli effetti collaterali, dei problemi. Lo riposano, ma ci tornano. Il libro è la fonte e al contempo il memento di quello che potrebbe succedere, che è già successo, che sta per succedere. Non viene rimesso nello scaffale, staziona sul comodino o sulla scrivania per mesi” (p. 23).

È immediato vedere in questa descrizione il comportamento dell’appassionato (per non dire dello studioso) che si immerge nell’opera, scopre chiavi di lettura e cerca di far emergere l’architettura della costruzione, il suo senso all’interno della propria visione. Penso a tutte le volte che i vari elementi di un’opera si collegavano fra loro all’interno della mia visione, interagendo con essa, modificandola, affinandola: a volte in prima visione/lettura, più spesso in seconda o terza o addirittura attraverso le discussioni di redazione.

Tornare e ritornare sull’opera (a volte sulle opere), con l’umano patema che questa volta potemmo cogliere qualcosa che fa crollare i castelli finora edificati – perché, alla fine, è l’opera che nutre i nostri ragionamenti e non certo viceversa – questo è quello che in fondo fa ogni lettore consapevole.

Quindi, come chiosa finale, possiamo dire che le esperienze raccontate e condivise con leggerezza e ricchezza dalla Segre, da una parte, ripropongono il vecchio sospetto, secondo il quale la passione è una patologia; ma dall’altra, come emerge esplicitamente nelle schede dedicate a Betty Boob di Julie Rocheleau e a S di Gipi, confermano che quelle che chiamiamo con leggerezza patologie – ascrivendo loro una condizione di non normalità – sono solo una manifestazione particolare di passioni, quelle stesse che ognuno di noi manifesta nella vita quotidiana.

Segnaliamo, infine, che i casi presentati dall’autrice utilizzano sempre opere autoconclusive; chi fosse interessato all’utilizzo di fumetto seriale può consultare il volume collettaneo curato da Lawrence Rubin: Using Superheroes in Counseling and Play Therapy (Springer, 2007), che presenta casi di utilizzo di fumetto supereroico.

Abbiamo parlato di:
Il fumetto fa bene
Anna Segre
Comicout, 2018
110 pagine, brossurato, bianco e nero – 10,00 €
ISBN: 9788897926597

Sito di Anna Segre: www.annasegre.it

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