Il Frankenstein (1818) di Mary Shelley è uno dei più influenti romanzi di sempre e, al tempo stesso, probabilmente uno dei meno conosciuti. Scritta agli albori dell’età contemporanea, dell’età industriale e del romanticismo gotico, quest’opera è considerata il testo seminale della moderna fantascienza, adattando la figura del mago faustiano in quella dello scienziato pazzo – e della sua mostruosa creatura – che avrà poi enorme fortuna nell’immaginario collettivo moderno.
Tuttavia, proprio il suo grande successo si lega anche alla ricezione spesso superficiale e inesatta. Lo stesso nome di Frankenstein, di fatto, si è traslato dall’indicare lo scienziato Victor a designare principalmente la sua creatura: ma, soprattutto, all’immaginario dell’opera originale si è gradatamente sostituito quello cinematografico, in particolare del film di James Whale del 1931 interpretato da Boris Karloff, e di lì in poi ripreso dalla stragrande maggioranza delle successive interpretazioni.
Talvolta il personaggio della Creatura diviene malvagio e aggressivo e anche quando conserva (come di solito avviene) un carattere patetico, si conferma dotato di una mente semplice, incapace di pensieri complessi, cosa che – assieme all’aspetto mostruoso – porta alla sua incomprensione. L’originale, invece, è una figura drammatica, rifiutata dalla società ma dotata di una notevole capacità di pensiero, in grado di leggere i classici e Paradise Lost ricavandone spunti sulla sua infelice condizione.
Sotto questo profilo, il fumetto ha inizialmente seguito la corrente maggioritaria, volta a una semplificazione – e falsificazione – della figura: una prima trasposizione avvenne in forma di cineromanzo (ovvero con foto al posto dei disegni) per la DC Comics nel 1939, come adattamento fumettistico del film Il figlio di Frankenstein in uscita in quello stesso anno. E dal 1940 al 1954 Frankenstein (il mostro) ebbe una sua testata omonima per la Prize Comics.
Bernie Wrightson illustra Mary Shelley
Bernie Wrightson (1948-2017) ha seguito una linea diversa nel suo approccio a questo archetipo. L’autore, noto in primis per essere il creatore, con Len Wein, di Swamp Thing (1971), deve infatti la sua fama a un personaggio che – pur con una storia ovviamente diversa – ha caratteri patetici simili a quelli dell’archetipo della creatura frankensteiniana.
Il presente lavoro di illustrazione del romanzo originario della Shelley, durato sette anni e pubblicato in origine dalla Marvel Comics (1982), accompagna il testo integrale con 47 illustrazioni in bianco e nero, pubblicate a tutta pagina. Lo stile adottato dall’autore cerca di rifarsi a quello delle incisioni ottocentesche, solitamente acqueforti dotate di una trama sottile e fittissima, e ricorda per certi aspetti la prima immagine della Creatura, ad opera di Holst e Chevalier, nell’edizione del romanzo del 1831.
Nella sua brillante prefazione all’edizione originaria, Stephen King (che aveva collaborato con Wrightson per una versione a fumetti di Creepshow) sottolinea invece, piuttosto, le corrispondenze con altri illustratori americani contemporanei: Reed Crandall, Jack Davies, Wallace Wood.
Wrightson dal romanzo illustrato al fumetto
Wrightson sarebbe poi tornato sul Frankenstein anche in forma propriamente fumettistica, molto più tardi: nel 2012, alcuni anni prima della sua recente scomparsa.
Frankenstein Alive, Alive! (pubblicato in Italia da Italy Comics), ipotetico sequel del romanzo scritto da Steve Niles, presenta fin da subito la creatura nel suo aspetto originario: essa non viene riconosciuta dal pubblico dell’era della Grande Depressione. I flashback ci chiariscono anche la sua profondità psicologica e, a un tempo stesso, accentuano e rendono problematica la sua natura patetica (gli omicidi che compie non possono essere derubricati a effetto di stolidità, ma la creatura ci è più vicina per la sua natura umana e sensibile).
Per quanto in una inevitabile continuità del segno, Wrightson è qui marcatamente fumettistico, rinunciando non solo al tratteggio in stile incisorio, ma anche a certi virtuosismi nell’impostazione della tavola, in favore di una dimensione più narrativa.
L’opera è comunque una riflessione sul senso di Frankenstein, sugli influssi che l’hanno ispirato e sulla sua misinterpretazione: l’inizio del secondo albo, con la creatura tramutata in una statua di roccia da una colata lavica, è un chiaro rimando al mito del Golem.
E nelle ampie schede finali, Wrightson chiarisce il suo rapporto con il Frankenstein, a partire dall’incontro cinematografico negli anni ’50 nel segno di una fascinazione meravigliosa, ma ingenua e deviante dal senso autentico dell’opera. I due approcci, illustrazione e fumetto, formano insomma un distico nel rapporto dell’autore.
La forza del lavoro di illustrazione di Wrightson deriva quindi proprio dall’incontro di queste due dimensioni dell’immaginario visivo messe in campo: la ripresa della tradizione classica del gotico illustrato ottocentesco, influenzata dal immaginario fumettistico e, specie in USA, supereroico. Un incontro di segni che rimarca anche – nei suoi modi specifici – l’esistenza di una continuità tra questi due ambiti.
Abbiamo parlato di:
Frankenstein
Mary Shelley, Bernie Wrightson
Traduzione di Simona Fefé
Oscar Ink, 2018
304 pagine, cartonato, bianco e nero – 24,00 €
ISBN: 9788804705901
Frankenstein Vive, Vive! #1-3
Steve Niles, Bernie Wrightson
Italycomics
32, 32, 24 pagine, spillato, colori – 3,50 € cada
ISBN: 9788865461709, 9788865461709