Edizioni 9970 ha ripubblicato, in una Artist Edition in edizione limitata di pregio, una delle ultime opere di Magnus, il Lunario 1995 che uscì originariamente alla fine del 1994 per l’editore Granata Press.
Nella nuova Artist Edition l’opera rivive sotto forma di un volume di 92 pagine di grande formato (31 x 42 cm.), contenente le riproduzioni delle tavole originali dei 12 mesi e delle 5 storie presenti nella prima edizione, riportate alle dimensioni originali. Il libro contiene inoltre saggi critici di esperti e studiosi di fumetto (Luca Baldazzi, Fabio Gadducci, Michele Masini e Giovanni Nahmias). Le illustrazioni dei mesi sono infine accompagnate da brevi note di commento di alcuni tra i più importanti autori del fumetto contemporaneo: tra loro Igort, Davide Toffolo, Paolo Bacilieri, Giuseppe Palumbo, Sara Colaone e altri ancora.
Su gentile concessione dell’editore e dell’autore, pubblichiamo di seguito il saggio di Luca Baldazzi contenuto nel volume.
Fantasmi, folletti dei boschi, demoni notturni. E poi ancora: fate del monte e ninfe del fiume, spiriti animali di terra e d’acqua, gnomi, arcangeli e perfino un gigantesco drago. È senza dubbio l’incontro con il soprannaturale il tema comune che attraversa i cinque racconti e le dodici illustrazioni del Lunario 1995 di Magnus. Spettri, creature, presenze che irrompono a sorpresa nel quotidiano, ma in un contesto del tutto particolare: il mondo contadino della valle del Santerno (ritratto in varie epoche, dal Medioevo alla Seconda guerra mondiale), l’aspra e magnifica natura dell’Appennino tra Romagna e Toscana, le case coloniche, i borghi e i paesi come Castel del Rio, dove Roberto Raviola aveva scelto di vivere quelli che si riveleranno i suoi ultimi anni.
A Castel del Rio l’autore si era trasferito per fuggire da Milano e Bologna, “due città che – disse in un’intervista – mi rendono la vita impossibile”1. Del luogo apprezzava soprattutto la quiete: “Dove sto io il silenzio è grande e la notte è molto buia. È differente dalla città. Quando si apre la finestra il cielo è nero come il velluto con le stelle accese, accese come possono esserlo i lumicini delle favole”2.
È in questa atmosfera oscillante tra realtà e fabula che nascono le storie e le immagini del Lunario. Anche se i paesaggi e i panorami dell’Appennino tosco-emiliano Magnus li aveva già disegnati nella serie La compagnia della forca (nell’episodio Il reame di Bellorizzonte), nel ciclo Le femmine incantate e nell’albo gigante di Tex La valle del terrore a cui stava lavorando da anni, è proprio nel Lunario che questi elementi assumono una piena funzione narrativa. Perché l’artista si è innamorato del territorio (“Castel del Rio – dirà – è un luogo femmina, per la sua bellezza e dolcezza”3), e ne è divenuto un abitante a tutti gli effetti. Ne percepisce il carattere storico di zona di passaggio e di confine, ma ne avverte forse anche la funzione di soglia tra il mondo naturale e l’arcano: come la narrativa gotica e le leggende popolari ci insegnano, è nel folto dei boschi, lungo sentieri percorsi di notte sotto una tempesta di neve, oppure tra le rovine di antiche case abbandonate che più facilmente si manifestano fantasmi ed entità ultraterrene.
Di tutto questo ci parla il Lunario. E la fonte delle sue storie è duplice. Da un lato (come spiega il saggio di Fabio Gadducci contenuto in questo volume) Magnus attinge all’amata letteratura cinese, trasferendo nelle terre del Santerno alcune trame provenienti da I racconti fantastici di Liao. D’altro canto però, da lettore curioso e onnivoro, si immerge nelle cronache e nelle tradizioni popolari della Romagna appenninica. “Ho letto tutto quello che ho trovato sulla storia locale”4, dirà in un’altra intervista. E un recente ritrovamento tra le carte dell’artista ci permette per la prima volta di indicare con precisione alcuni materiali di documentazione di cui si servì per Le damigelle dell’arcobaleno, forse il più poetico dei racconti del Lunario. Si tratta di due volumi antologici di Lorenzo Raspanti, storico e militare in pensione nativo di Castel del Rio: I racconti del Ponte (1990) e Pietre vive (1993), entrambi pubblicati dalle edizioni Il Nuovo Diario Messaggero di Imola, così come un terzo libro, Il fiume racconta, uscito però nel 1997 (un anno dopo la morte di Magnus). Raspanti riporta con accuratezza e ricchezza di particolari i suoi ricordi di ragazzino durante gli anni della Seconda guerra mondiale, quando l’Appennino fu a lungo sanguinoso teatro degli scontri tra tedeschi e alleati sul fronte della Linea Gotica, ma anche episodi di vita quotidiana, ritratti di personaggi e antichi mestieri scomparsi, riti e leggende, usi e costumi delle comunità rurali dell’epoca, risalendo anche più indietro fino alla storia medievale. Memorie di un’intera cultura contadina in via di sparizione, che certamente colpirono l’attenzione del fumettista Raviola, così come il ricco corredo di fotografie che accompagna ciascun volume di Raspanti. Magnus ne aveva ritagliato diverse pagine, sulle quali compaiono in alcuni casi annotazioni di suo pugno.
Troviamo così nel libro Pietre vive la foto di Ca’ di Vestro, insediamento colonico che gli fece da modello per disegnare la casa del racconto Le damigelle dell’arcobaleno, dove il giovane tenente tedesco dall’animo gentile d’artista incontra sette bellissime ragazze in un’atmosfera sospesa tra realtà e sogno (Figura 1). E ancora da Pietre vive proviene la fotografia di una scritta murale che Magnus ha ridisegnato con precisione nella vignetta finale del suo racconto, evidentemente toccato dalle parole di Tagliaferri Piera, “poetessa traboccante” che rimpiange le montagne dove è nata (Figura 2). “Una testimonianza struggente – scrive Raspanti – tracciata a carbone sui muri della chiesetta di Pian dell’Aiara”5, un borgo di una ventina di case ora abbandonato e in rovina. Nel libro precedente I racconti del Ponte si trova invece una dettagliata cartina geografica del tracciato della Linea Gotica, con la descrizione delle forze militari in campo: mappa che Magnus riproduce fedelmente nel fumetto, simboli grafici compresi, semplificando appena alcuni particolari, ma aggiungendo l’indicazione del corso dei fiumi Santerno e Reno e del punto in cui la V Armata americana sfondò le linee tedesche al Passo del Giogo, così come raccontato da Raspanti (Figura 3). E sempre ne I racconti del Ponte si può leggere un intero capitolo dedicato all’usanza contadina della Vèggia (la veglia), festa notturna che si teneva in determinati periodi dell’anno nelle case coloniche del territorio. Una vivace descrizione che ritorna, a tratti quasi alla lettera, nel fumetto di Magnus: “I suonatori furono i primi ad arrivare… Eran suonati tresconi e quadriglie, con uno scalpiccio, un ciarlare e un ridere come se, dabbasso, ci fossero trenta o quaranta persone!… C’era uno strillare di bambini che correvano dall’aia alla cucina… Magari di sopra c’era anche qualche topo, ma c’erano dei gatti che andavano e venivano dalle gattaiole!”6.
Vero e proprio “pirata dell’immaginario”, come egli stesso si definì7, Magnus si diverte a inserire nel Lunario luoghi, frazioni e borghi della zona di Castel del Rio e dintorni (Tirli, Moraduccio con la storica “Locanda Crocetti”, Montefune, Rapezzo, il “ponte famoso” degli Alidosi, la chiesa d’Osta). Come ha annotato Gabriele Bernabei, “c’è veramente tutta la vallata del Santerno in quest’opera”8. Non solo: l’artista vi fa anche comparire persone reali ben conosciute nel territorio, come “Spuma” il marmista (illustrazione di Febbraio), il signor Nello e l’amico Francesco (illustrazione di Marzo). Sempre secondo Bernabei, si può ravvisare nell’ufficiale tedesco de Le damigelle dell’arcobaleno il ritratto di un giovane Bonvi, il fumettista grande amico di Magnus che spesso gli faceva visita all’Albergo del Gallo.
All’iperrealismo dei paesaggi e di alcune figure fa da contrappunto, in un’armonia tutta magnusiana, il modo fantastico del racconto. Il Lunario, come si diceva, è la storia di tanti incontri con il soprannaturale. Cosa che non deve stupire, perché la Romagna rurale e montanara in cui l’artista è immerso vanta una ricchissima tradizione di racconti popolari nei quali i morti, gli spettri, altre creature non umane compaiono a turbare la quiete dei vivi. “In Romagna – osserva lo scrittore e antropologo Eraldo Baldini, autore di diversi studi in materia – formula di rito nell’incontrare un’ombra, di notte, era: ‘A sì un om ad ste mond o ad cl’êlt?’, (Siete una persona di questo o dell’altro mondo?), dove appare con tutta evidenza una mentalità che considerava possibile e frequente, anche se non per questo meno temuto, l’incontro con ‘l’altra’ dimensione, quella dei trapassati, in una commistione, in una inquietante labilità di confini fra il regno dei vivi e quello dei morti”9. Così Magnus disegna in apertura del Lunario la Pellegrina, fantasma femminile protagonista di una nota leggenda del folklore romagnolo. Si tratta di un’anima vagante di donna defunta che si aggira senza pace nei campi, con un lume acceso sulla testa: un racconto che si ritiene collegato al fenomeno naturale dei fuochi fatui, e anche all’antica tradizione (presente nella Bassa Romagna ben prima dell’importazione di Halloween) di esporre zucche intagliate e illuminate dall’interno con luci e candele in occasione delle festività dei Santi e dei Morti10. Anche il Capitano di ferro, che compare minaccioso davanti a un impaurito Ubaldo in una stanza interna del Ponte Gobbo di Castel del Rio, si può probabilmente ricondurre alle numerose leggende della Romagna sulle apparizioni di “spiriti combattenti” e “spiriti guardiani”: santi e angeli armati di tutto punto, posti a difesa e protezione di luoghi sacri o particolari del territorio11.
La domanda che tutti i protagonisti del Lunario si pongono davanti a fantasmi e folletti è la stessa, ed è appunto: “Sarà un persona di questo o dell’altro mondo?”. Come il giovane Vivoli dopo l’incontro notturno con due piccole e grottesche creature del bosco, nel racconto Il signor Lelli, i personaggi di Magnus si trovano di fronte al soprannaturale e “non sapevano più se, addormentandosi, avessero sognato”. Siamo nel cuore della letteratura fantastica. Come scrive Todorov: “In un mondo che è sicuramente il nostro, quello che conosciamo, senza diavoli, né silfidi, né vampiri, si verifica un avvenimento che non si può spiegare con le leggi del mondo che ci è familiare… o si tratta di un’illusione dei sensi, di un prodotto dell’immaginazione, e in tal caso le leggi del mondo rimangono quelle che sono, oppure l’avvenimento è realmente accaduto, è parte integrante della realtà, ma allora questa realtà è governata da leggi a noi ignote. … Il fantastico occupa il lasso di tempo di questa incertezza: non appena si è scelta l’una o l’altra risposta, si abbandona la sfera del fantastico per entrare in quella di un genere simile, lo strano o il meraviglioso”12.
In tutto il Lunario non si offrono risposte, ma si celebra il canto di questa nostra umanissima esitazione di fronte al sovvertimento delle leggi di natura. C’è di più: nelle sue storie l’incontro con il soprannaturale è perturbante, come sempre, ma raramente l’esito è tragico. Magnus qui non spinge sul pedale delle emozioni violente e delle sensazioni forti dell’horror. Ubaldo sopravvive all’incontro con il Capitano di ferro, e anche la morte del tenente Richard, ne Le damigelle dell’arcobaleno, viene narrata da una semplice didascalia “fuori scena”. In un’opera precedente come La ragazza selvatica, parte del ciclo Le femmine incantate, lo spirito animale di una giovane e sfrontata Volpe conduce alla rovina l’intero feudo del Conte di Ning, in un cupo crescendo di lussuria e crudeltà, fino al granguignolesco massacro finale; qui invece la Volpe è vecchia, ha i tratti più bonari del “signor Lelli”, e cade vittima dei bocconi avvelenati del cacciatore.
Più che terrorizzarci, dunque, le presenze soprannaturali nel Lunario suonano come un monito. Un tono pacato di malinconica meditazione percorre tutti i racconti, ed è il discorso sulla caducità della bellezza, sulla fragilità delle passioni e sulla precarietà delle vicende umane. Un tema molto caro a Magnus, già sviluppato a partire dal sorprendente, intenso finale de Le 110 pillole, e inserito qui nel contesto di un microcosmo rurale e montanaro dove molti sono i borghi abbandonati e in rovina, testimonianze dell’inevitabile scorrere del tempo, e dove la cultura contadina ben conosce il ciclo naturale di vita, morte e rinascita che si sussegue con l’avvicendarsi delle stagioni. Risiede qui la profonda essenza del Lunario: trenta tavole e una manciata di disegni, una goccia nel mare sterminato della produzione dell’artista, ma forse il suo testamento filosofico più puro.
“Una vita per il fumetto”, intervista a Magnus di Domenico Errani per il settimanale Sabato Sera, Imola, 9 novembre 1991 ↩
“Il mio caro Tex”, intervista a Magnus di Fernando Pellerano, Il Resto del Carlino, Bologna, 17 settembre 1994 ↩
“Il caso Magnus”, intervista a Magnus di Edoardo Rosati e Andrea Plazzi per il magazine Sette del Corriere della Sera, Rcs, Milano, 22 giugno 1995 ↩
“I suoi anni a Castel del Rio”, articolo-intervista in ricordo di Magnus di Domenico Errani, Sabato Sera, Imola, 10 febbraio 1996 ↩
Lorenzo Raspanti, Pietre vive, Imola, Edizioni Il Nuovo Diario Messaggero, 1993, pag. 37 ↩
Queste le parole di Magnus ne Le damigelle dell’arcobaleno. Il racconto A Vèggia si trova in Lorenzo Raspanti, I racconti del Ponte, Imola, Edizioni Il Nuovo Diario Messaggero, 1990, pagg. 61 – 68 ↩
“Magnus, un autore di Orient Express”, intervista a Magnus di Giulio C. Cuccolini per la rivista Orient Express n. 2, ed. L’Isola Trovata, Bologna, luglio 1982 ↩
Gabriele Bernabei, Magnus il pittore di Castel del Rio, Imola, A & G Photo Edizioni, 2006, pag. 28 ↩
Eraldo Baldini, Fantasmi e luoghi “stregati” di Romagna, Cesena, Società Editrice Il Ponte Vecchio, 2021 (2° edizione), pag. 38 ↩
Eraldo Baldini, ibid., pagg. 27-29 ↩
Eraldo Baldini, ibid., pagg. 46-54 ↩
Tzvetan Todorov, La letteratura fantastica, Milano, Garzanti, 1977, pag. 26 ↩