Il cinema con la fidanzata del mese, sulla funzione della quale si può scherzare con ironia gentile e metanarrativa; l'affettuosa e un po' paternalistica apprensione di Bloch; la logorrea surreale di Groucho; il buon cuore di Dylan che, con eroico altruismo, si preoccupa per gli altri piuttosto che per se stesso; la riflessione conclusiva sui mostri… non mancano gli elementi classici e propri del personaggio e del fumetto creati da Tiziano Sclavi ne Il verme bianco, Dylan Dog Color Fest #44 pubblicato da Sergio Bonelli Editore in piena restaurazione della testata ammiraglia.
A firmarlo è Marco Galli, per l'occasione autore di copertina, soggetto, sceneggiatura, disegni e colori, mentre il lettering è di Riccardo Riboldi. Giocando con gli stilemi tipici del racconto dylaniato, senza spingersi a offrire una prova etichettabile come “autoriale”, il fumettista organizza la sua seconda incursione tra le pagine dedicate all'Indagatore dell'Incubo – la prima è raccolta nel Color Fest #16: Tre passi nel delirio con quelle di Ausonia e Akab – come un viaggio nei sotterranei di Londra, tra dedali di fognature e prigioni improvvisate. Un tour che ricorda in parte Èpos, con la differenza che Dylan non deve fare di tutto per tornare a casa prima dell'Apocalisse, ma lottare per sopravvivere ai deliri di un folle e mettere in salvo i suoi sventurati compagni di detenzione.
Ne Il verme bianco, Galli punta sulla solidità e sulla linearità: senza divagazioni, in un crescendo del ritmo, mette in scena i furti perpetrati da una baby gang, le sparizioni dei cittadini di cui nessuno si accorge, la caccia ai mostri a loro volta cacciatori e i propositi di una guerra alimentata dal fanatismo religioso. Quest'ultimo spunto è il più fecondo e si sviluppa in uno scontro tra il protagonista e il Profeta, vero antagonista del racconto, ancor più della creatura albina del titolo. I due personaggi si trovano quasi sempre separati dal punto di vista spaziale a causa talvolta della gabbia, dato che lo spazio bianco ne divide i primi piani mentre parlano, e talaltra delle sbarre che delimitano la cella improvvisata nella quale Dylan viene rinchiuso. Ma sono ancora più distanti sul piano ideologico, così lontani che non riescono a comunicare davvero poiché quando uno parla l'altro non ascolta, non prova neppure a muovere un passo verso l'interlocutore. Il carceriere si relaziona con il suo prigioniero sentendosi giudicato, ma a propria volta guardandolo dall'alto in basso, ed esprimendosi per slogan e in modo apodittico. Dal canto suo, Dog non vuole sentire ragioni. Mentre spesso si lascia attanagliare dal dubbio e diventa fragile, come sottolinea Sharon, la fidanzata dell'episodio, invece in questo caso è una sorta di cavaliere del Bene che non può permettersi esitazioni.
Restando nell'ambito delle parole, si nota come i balloon siano carichi di testo ma, nonostante questo, risultino sempre scorrevoli, con un'unica eccezione rappresentata da uno scambio di battute tra Bloch e Sharon: i due, riferendosi a Dylan, diventano didascalici, compilano su due piedi un bignami della loro conoscenza in comune.
Non mancano anche occasioni in cui regna il silenzio. È il caso delle sequenze mute distribuite a più riprese lungo il dipanarsi della storia e del viaggio. Una delle più significative s'incontra intorno a pagina quindici, quando il protagonista si ritrova avvolto dall'oscurità delle viscere londinesi. I colori acidi e un po' impastati, in particolare il rosso, il verde e il blu, spariscono quasi del tutto per alcune vignette, limitandosi a punteggiare il nero opprimente. La china che inghiotte l'eroe raggiunge anche il lettore e l'effetto di smarrimento risulta realistico. Successivamente tornano le tinte al neon e lo straniamento aumenta.
Chiaramente, con la luce è possibile osservare il lavoro compiuto da Galli sul character design. Se i margini di manovra sul cast abituale sono ridotti, è interessante notare la varietà di soluzioni estetiche a cui l'artista ha fatto ricorso per delineare gli elementi di novità. Tra questi spiccano il Profeta e le creature bianche del sottosuolo, che lasciano il segno sia perché rimandano a mostri stampati nell'immaginario collettivo sia perché appaiono fugacemente e scompaiono, creando un senso di inquietudine. Anche i personaggi di sfondo, come i comprimari e le comparse che popolano il mondo oscuro, meritano di essere guardati con cura per le fogge dei loro abiti, le loro acconciature e le loro posture.
Tutti questi sono segnali dell'impegno profuso da Galli per arricchire di dettagli un Color Fest meno autoriale di Tre passi nel delirio ma comunque valido e utile per ribadire che è sempre possibile raccontare una bella avventura di Dylan Dog.
Abbiamo parlato di:
Dylan Dog Color Fest #44 – Il verme bianco
Marco Galli
Sergio Bonelli Editore, febbraio 2023
98 pagine, brossurato, colori – 5,90 €
ISSN: 977197194700730044