Il meglio di Braccio di Ferro, edito nella collana Nuvole Salani, richiama fin dalla copertina la grafica delle Edizioni Bianconi, che realizzarono dagli anni ’60 le storie italiane del personaggio. Il volume si apre con una contestualizzazione di Popeye a opera di Antonio Marangi, che rievoca le origini del personaggio creato dal fumettista americano Elzie Crisler Segar (1894-1938). Segar si avvicinò al fumetto dopo l’incontro con Outcault, il padre di Yellow Kid, iniziando con una striscia umoristica dedicata a Chaplin, nel 1916. Nel 1919 egli crea il Thimble Theatre, una sua strip collettiva sul cui palcoscenico di carta appare, nel 1929, il personaggio di Popeye, che ruba la scena agli altri imponendosi come protagonista e divenendo col tempo una delle più importanti figure della cultura pop. Dopo la precoce scomparsa di Segar nel 1938, il fumetto venne proseguito, fino al 1994, da Bud Sagendorf: nel 1933 intanto era stato trasposto anche in un cartoon dai fratelli Fleitscher, cosa che ne consolidò il successo.
Nel nostro Paese, il personaggio – diffuso col nome di Braccio di Ferro – vide dal 1963 al 2000 lo sviluppo di fumetti di produzione italiana sotto l’editrice Bianconi, che negli anni cambiò denominazione delle testate umoristiche da Edizioni Bianconi a Grafica Editoriale Metro e poi solo Editoriale Metro, fino alla chiusura definitiva. Fondata da Renato Bianconi nel 1952, pubblicava fumetti divenuti iconici come il diavolo Geppo (1954) e la forzutissima vegliarda Nonna Abelarda (1955). Pier Luigi Sangalli, sceneggiatore e disegnatore in forza alla Bianconi, si occupo di “italianizzare” Braccio di Ferro per renderlo congeniale al pubblico. Per quanto nelle avventure si parli di dollari come moneta corrente, lo scenario sembra quello della provincia nostrana, i personaggi hanno problemi quotidiani e benché resti il tema muscolare delle storie dell’eroe, c’è un certo ingentilimento di tutti i personaggi rispetto ai toni caustici del fumetto originario di Segar. Sandro Dossi affiancò presto Sangalli ai disegni, mentre giunse poi Alberico Motta – valido disegnatore – che si occupò in prevalenza delle sceneggiature.
Il volume raccoglie le storie per gruppi tematici: “Per cominciare” raggruppa le storie introduttive al Braccio di Ferro Bianconi, “La corte di Braccio di Ferro” introduce i comprimari, “I nemici” i più noti antagonisti. Il cast dei personaggi, come spiegano anche le agili ma efficaci schede informative del testo, è stato in parte ridotto nel fumetto italiano, concentrandosi sulla centralità dei ruoli principali: Braccio di Ferro, Olivia, Pisellino, papà Trinchetto, l’amico scroccone Poldo, la strega Bacheca resa madre di Bruto, divenuto Timoteo (non pensiamo abbia inciso il frate truffaldino della Mandragola ma sarebbe divertente crederlo).
Dopo le utili sezioni introduttive, appaiono interessanti le parti “Uno sguardo all’attualità”, che colgono come questo fumetto avesse spesso uno sguardo ironico sulla quotidianità del periodo, satireggiando la Nouvelle Cuisine come pure l’arte astratta, in una storia dove Popeye aiuta una sorta di proto-Fontana a operare i suoi “tagli” su tela bianca, ovviamente a suon di pugni. Gustose anche le parodie che introducono degli episodi crossover con celebrità del fumetto e della cultura pop, dal conte Dracula a Diabolik – rinominato Satanik, con un gusto simile all’analogo filone delle parodie Disney, e a quelle messe in campo nel mondo bonviano-silveriano (in tempi recenti eccelle Piero Lusso, di cui è citata Fumettopatica).
Uno degli elementi più evidenti è il politicamente scorretto, con situazioni che oggi non sarebbero più riproponibili. Un marchio di fabbrica della Bianconi, il punto di forza rispetto alla concorrenza delle storie disneyane, più complesse e raffinate nel segno e nella narrazione ma più edulcorate. Per fare qualche esempio: il popolo dei Ming minaccia di sciogliere Pisellino nella cera bollente, volano sganassoni come se piovesse, in modo spesso piuttosto gratuito, e talvolta anche a personaggi femminili. Non a Olivia: il meccanismo comico alla Archie e Petronilla implica che da lei il fortissimo Braccio possa solo prenderle; anche se in un numero, solo citato e non riportato, si stufa e la prende a sculacciate. Oltre alle botte da orbi, elemento costitutivo del personaggio, volano anche coltelli, lame e proiettili assortiti senza preoccupazioni. Del resto, la scorrettezza politica è in linea con lo stile di Segar, la cui sana cattiveria satirica viene qui ripresa e adattata al nuovo contesto. Nel sarcasmo brioso reso efficace dalla precipitosa rapidità delle storie si coglie anche tra le righe uno sguardo divertitamente conservatore coerente col il proprio personaggio, un bravo marinaio senza grilli per il capo e dalle maniere spicce, benché di buon cuore. Si tratta del resto di un utile espediente che fa da motore narrativo alle storie, dove invece spesso Olivia o Pisellino sono sedotti dalle mode di allora.
La giustapposizione di questo stile con quello della Disney è un tema diffuso tra gli appassionati: più complessi e raffinati la narrazione e il disegno del Topolino e affini di Mondadori, ma più libere le storie di Bianconi. Tuttavia, se questa contrapposizione in parte esiste, va detto che temi, formati e ritmi sono anche spesso analoghi, tanto che diversi autori passarono da un’editrice all’altra. Ma si tratta di un tema che meriterebbe più ampio approfondimento.
Appare interessante anche un esame del segno bianconiano, soprattutto in paragone con quello di Segar, che la versione italiana imita naturalmente nell’aspetto dei personaggi, ma che rende più definito e nitido, con un segno marcato e spesso, indubbiamente in parte più asettico, pur mantenendo un buon grado di espressività. La linea è in prevalenza chiara, con poche masse nere, per la colorazione delle storie, naturalmente, ma anche per un gusto di Bianconi per un tratto privo di chiaroscuri. Gli sfondi sono essenziali, anche per via dei ritmi di produzione intensi di queste storie. La necessità di una forte riconoscibilità del prodotto inoltre attenua in massimo grado le differenze tra il segno dei diversi autori – che comunque firmano i disegni nella prima vignetta, una quadrupla sormontata dal titolo. La griglia resta quella italiana, due vignette per tre con una classica griglia a mattoncino, nonostante il formato più piccolo degli albi originali rispetto alle storie topolinesche o bonelliane di analogo formato (ma la pagina, come detto, è molto meno affollata di segni e dialoghi, dando centralità a una azione più frenetica).
Il volume è quindi utile a una buona ricognizione sul fumetto bianconiano rivolto a chi non lo conoscesse, nell’impostazione di un prodotto pensato per un lettore nostalgico o un giovane lettore – o un lettore nostalgico che vuole proporre questi fumetti alle nuove generazioni. Le storie conservano una certa freschezza senza tempo e l’essenzialità del segno e la centralità di una frenetica azione comica sono oltretutto in linea con una certa tendenza del fumetto comico attuale portata anche dal fumetto social e dai suoi tempi rapidissimi di fruizione. L’impostazione scelta, efficace, esclude invece un approccio più filologico: le singole storie non sono datate e non si traccia una evoluzione “storica” del personaggio, limitandosi ad accennare a tentativi di modernizzazione negli ultimi anni di vita. In ogni caso, un bel recupero di un vasto patrimonio del fumetto italiano, che sarebbe interessante anche proseguire con altri prodotti autoctoni di Bianconi: su tutti, il diavolo Geppo, che in tempi di settecentenario dantesco sarebbe stato un ritorno azzeccato.
Abbiamo parlato di:
Il meglio di Braccio di Ferro
AA. VV.
Magazzini Salani, 2021
372 pagine, brossurato, bianco e nero – 16,90 €
ISBN: 978-8893679701