Nel 2004 lo scenario cinematografico mainstream era ben diverso da quello attuale, in particolar modo per un genere che ora domina i botteghini e fa parlare molto di sé, ma che 14 anni fa era ancora di là dall’esplodere nella connotazione odierna: i cinecomics di stampo supereroistico.
Gli esempi più fulgidi di supereroi dei fumetti portati al cinema, in quegli anni, erano gli X-Men (con il primo film uscito nel 2000 e il secondo nel 2003, che vedevano Brian Singer alla regia) e Spider-Man (con le prime due pellicole dirette da Sam Raimi nel 2002 e nel 2004), mentre Batman Begins di Christopher Nolan sarebbe arrivato nelle sale solo nel 2005.
È quindi in un contesto piuttosto vergine che si muoveva The Incredibles (in Italia Gli Incredibili – Una “normale” famiglia di supereroi), sesto lungometraggio realizzato dagli studi Pixar in collaborazione con la Disney. A scrivere e dirigere l’opera c’era Brad Bird, animatore e regista facente parte del gruppo iniziale dei creativi Pixar e dotato di una grande capacità narrativa.
Bird sapeva miscelare con equilibrio azione e cuore, abilità già dimostrata nel film animato Warner del 1999 Il gigante di ferro e riconfermata proprio con Gli Incredibili, un racconto piuttosto maturo che rifletteva sulla difficoltà nel gestire una famiglia e nel portare avanti una vita ordinaria, specie quando si sente di poter dare di più e il richiamo verso altri obiettivi è sempre più insistente.
Ma l’intelligente parabola della super-famiglia Parr sarebbe stata superata più di un decennio dopo dal suo sequel (che approderà nei cinema italiani il prossimo 19 settembre), nonostante esca in un periodo di sovraesposizione di questo genere sul grande schermo.
Stessi presupposti, nuovi sviluppi
Gli Incredibili 2 prende avvio dalle scene finali del primo film, in diretta continuità quindi con lo status quo che ricordavamo. Una scelta che per certi versi sorprende perché, non fornendo uno iato temporale importante rispetto alla pellicola precedente, viene meno la possibilità di focalizzare la nuova avventura su diversi presupposti, che fossero i figli cresciuti o un contesto differente per quanto riguarda la condizione dei supereroi nella società, che nel film del 2004 erano stati messi fuorilegge. Brad Bird dimostra però di avere le idee chiare e di crearsi da solo una sfida da superare: partire dalle stesse basi narrative per creare una storia nuova. E la vince.
Lo statuto che bandisce maschere e costumi serviva, nel racconto precedente, come punto di partenza per mettere in crisi la vita tranquilla e insoddisfacente di chi – come Mr. Incredibile, al secolo Bob Parr – è costretto a uniformarsi ma è frustrato dalla consapevolezza di avere altre capacità che è costretto a celare, e al contempo costituiva il meccanismo narrativo che permetteva lo sviluppo della trama.
Stavolta lo stesso spunto di partenza viene rilanciato grazie alla coppia formata dall’industriale Winston Deavor e dalla sorella Evelyn, mente tecnologica della loro azienda, che vogliono sponsorizzare con una campagna mediatica i vantaggi dell’esistenza dei supereroi per la società, cercando di convincere i potenti della Terra a revocare lo statuto.
Uno spunto senza troppi fronzoli ma funzionale e narrativamente coerente, una base solida sulla quale, non a caso, buona parte del film poggia senza incertezze.
Altra idea intelligente si rivela essere quella di mettere al centro Helen, la moglie di Bob, che nella sua identità di Elastigirl viene scelta come “supereroe-immagine” di questa operazione di rilancio presso l’opinione pubblica. Non solo – come da regola non scritta – il sequel dedica maggior spazio a uno dei protagonisti che nel primo film era stato un po’ in secondo piano, ma lo fa con una donna che già nel 2004 era profondamente orgogliosa tanto della propria femminilità quanto della propria indipendenza e delle proprie capacità. Lo sviluppo del personaggio risulta quindi coerente sia con quanto già sapevamo di lei che con l’attuale sensibilizzazione della società sul tema.
Non a caso l’amicizia tra Helen e Evelyn costituisce un elemento importante nell’economia della narrazione, e non a caso il “ribaltamento di ruoli” che vede Helen occupata con questo nuovo lavoro e Bob impegnato nella gestione della casa e dei figli non è oggetto di ironia gratuita: la comicità presente nelle difficoltà incontrate dall’uomo dimostra piuttosto che nessun compito è facile o scontato, all’interno di un nucleo famigliare, e che ciascuno dei componenti della coppia può cavarsela in tutti gli ambiti, quando necessario.
Le criticità a livello di racconto subentrano però quando viene introdotto un nuovo villain, che dà del filo da torcere a Elastigirl: l’Ipnotizzaschermi è un personaggio non privo di fascino, sia per modus operandi che per estetica, e soprattutto è usato dal regista per un monologo nel quale punta il dito sulla tendenza delle persone ad affidarsi ad altro da sé per deresponsabilizzarsi, confidando nei supereroi (e per estensione negli strumenti tecnologici e nei politici) che decidano per loro, gli tolgano l’incomodo di pensare troppo e possano essere accusati quando le cose non funzionano come dovrebbero.
Al di là di questo, però, la risoluzione del confronto tra lui e gli Incredibili appare scontato e con poco mordente. Non tanto per quanto riguarda le conseguenze delle azioni del criminale, quanto piuttosto nella prevedibile rivelazione sulla sua vera identità – che avviene peraltro in una scena piuttosto affrettata – e nella mossa sferrata contro i supereroi, un po’ scontata e infatti risolta in modo relativamente veloce per fare spazio alle ben più coinvolgenti sequenze action del finale.
Altro elemento poco ispirato è costituito dal gruppo di supereroi che Winston Deavor raccoglie dopo i primi successi di Elastigirl, che altro non è se non un insieme eterogeneo di freaks in costume che non possiedono particolare appeal e non hanno sufficiente spazio per poter essere meglio introdotti e delineati, men che meno durante la battaglia conclusiva, dove pure danno il loro contributo.
(Anim)azione
La cifra stilistica de Gli Incredibili 2 è senz’altro l’azione. L’importante tematica famigliare a cui si accennava e la riflessione sui ruoli e sulla maturazione che i membri compiono – comprendendo anche i figli Violetta e Flash – si incastra in modo naturale nel ritmo narrativo sostenuto, ma la cura estetica riservata a battaglie, scontri e inseguimenti è quella che resta maggiormente impressa allo spettatore, dimostrando ancora una volta la grande capacità registica di Brad Bird che già nel primo Incredibles e in Mission: Impossible – Protocollo fantasma era evidente. I movimenti della macchina da presa e la messa in scena dei momenti più sincopati (che comprendono, tra gli altri, corse in motocicletta, salvataggi di treni impazziti e una nave che rischia di infrangersi su una città) permettono grande coinvolgimento e divertimento, e anche la gestione del gruppo di personaggi funziona molto bene, dando a ciascuno il giusto spazio e compito a seconda dei propri poteri.
Ad accompagnare una narrazione così adrenalinica è presente la colonna sonora firmata (come nel film del 2004) da Michael Giacchino, che riprende il caratteristico theme della pellicola precedente con qualche variazione, rendendolo ancora più incisivo e trascinante, particolarmente adatto all’atmosfera generale.
Per quanto riguarda l’animazione, come spesso capita quando si tratta di Pixar siamo dalle parti dell’eccellenza. La computer graphic è sempre più sofisticata e permette movimenti credibili, fluidità e sfondi più particolareggiati. In particolare nei volti dei protagonisti si notano alcuni arricchimenti: pur innestandosi chiaramente sul character design preesistente, l’aspetto di nasi e bocche appare più marcato e netto, andando a smussare alcune eccessive rotondità che in The Incredibles trasmettevano a volte una sorta di “effetto bambolotto” per limiti tecnici dell’epoca.
La continua ricerca della Pixar si muove comunque sempre all’interno di una precisa scelta di campo per la figura umana, puntando su una resa caricaturale dei personaggi laddove invece i “cugini maggiori” dei Walt Disney Animation Studios cercano di avvicinarsi a un’estetica da disegno animato tradizionale, per quanto concerne visi e ambientazioni.
È apprezzabile infine la stilizzazione in 2D utilizzata per il logo della Disney a inizio film e per i titoli di coda, già presente nella prima pellicola e qui rilanciata regalando un feeling piacevolmente retrò, che esemplifica graficamente l’omaggio all’età d’oro dei supereroi che il regista compie con entrambi i film de Gli Incredibili.
La proiezione viene introdotta, come tradizione, da un cortometraggio inedito: Bao è una delicata favola in cui il tipico raviolo ripieno cotto al vapore della cucina giapponese prende vita dopo essere stato cucinato da una donna, che ne diventa la madre a tutti gli effetti seguendone la crescita. Non tutto funziona perfettamente nella storia scritta e diretta da Domee Shi, soprattutto a livello di sospensione d’incredulità, ma l’atmosfera è molto dolce e toccante, con una gestione ben integrata nel contesto di un sottile e paradossale umorismo, e lo sviluppo conclusivo non lascia indifferenti.
Gli Incredibili 2 sembra suggerire, dopo Coco dello scorso dicembre, una parvenza di rinascita per lo studio di Emeryville, che negli ultimi anni sembrava aver smarrito la via e forse anche un proprio senso artistico, tra film originali lontani dai fasti del passato e sequel poco ispirati. Impossibile dire se si tratti di una parentesi o meno, anche alla luce dell’insediamento di Pete Docter nel ruolo di direttore creativo della Pixar, subentrando a John Lasseter, anche se un quarto capitolo di Toy Story previsto per il prossimo anno genera più di qualche dubbio.
Abbiamo parlato di:
Gli Incredibili 2
Brad Bird (sceneggiatura e regia)
Pixar Animation Studios, settembre 2018
118 minuti, animazione, colore
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