PREMESSA
Dall’inizio del 2008, LoSpazioBianco.it, in compagnia di Simone Rastelli, sta ripercorrendo la vicenda di Sandman, attraverso un articolo di approfondimento per ognuno dei nove cicli della saga che, lungi dal voler essere esaustivi, offrono spunti e chiavi di lettura seducenti e centrati.
La lettura che offre Rastelli è per lo più letteraria e si sofferma in particolare sulla parte testuale del fumetto di Neil Gaiman, la sua scrittura, con le numerose derive letterarie, appunto, e l’immaginario che il racconto del Signore dei Sogni assorbe, metabolizza, rivitalizza.
Inutile dire che non soffermarsi sulla parte grafica, visiva e iconografica di un fumetto può apparire quanto meno riduttivo, soprattutto se ha visto la collaborazione di autori straordinari, quali il copertinista (e molto più) Dave McKean, Sam Keith, Michael Dringenberg e il compianto Malcolm Jones III, per citare solo quelli del primo volume e tacere dei vari Michael Zulli, Charles Vess ecc.
D’altra parte, tra tanti, Sandman è forse il fumetto che più si presta a un’analisi letteraria, perché, come dice lo stesso Rastelli a chiusura del primo articolo,
“Al di là della loro (dei disegnatori, ndr) bravura e della efficacia delle loro interpretazioni, senza volere in alcun modo svalutare il loro ruolo (sarebbe paradossale, dal momento che “Sandman” è un fumetto!) merita sottolineare che il successo della serie, in particolare i numerosi riconoscimenti che le pioveranno addosso, scaturirà sostanzialmente dalla scrittura di Gaiman.”
Se questo è vero, è altrettanto importante ricordare che la perizia e l’inventiva dei tanti artisti che si sono succeduti su Sandman sono state essenziali per permettere alle idee di Gaiman di prendere vita e avere fiato. In definitiva, per imprimersi nella memoria e nell’immaginario dei lettori.
Con questo articolo, quindi, si intende avviare un ciclo di approfondimenti sulla parte visiva di Sandman, una sorta di compendio agli articoli di Rastelli.
I DUBBI DI KEITH
Sandman è stato graficamente realizzato, per la prima volta, da Sam Keith, a partire da schizzi di Dave McKean. Il suo Sandman è sgraziato, grottesco, parzialmente deformato negli equilibri anatomici, nelle espressioni, nella postura, mai perfettamente a fuoco. Il mondo grafico a cui Keith sembra fare maggiormente riferimento è quello dei fumetti horror degli anni ’50 e ’60. La composizione delle tavole è molto mossa, alla ricerca forzata di effetti visivi sempre nuovi. Il segno è carico di nero, e la messa in scena dei personaggi è spesso affollata.
Keith è intenzionato a realizzare un horror moderno, che reinventi le idee che furono il fulcro dei lavori di alcuni decenni prima. Ma Keith, per quanto dotato di grande talento, non ha ancora neppure una minima parte dello stile che lo avrebbe reso celebre decenni dopo, è alla ricerca di qualcosa che ancora non conosce. E Sandman sembra essere un ostacolo a questa sua ricerca. Lo dichiara lo stesso Gaiman: “Keith si sentiva come Jimi Hendrix nei Beatles”. In quegli anni, il disegnatore non aveva sviluppato il suo occhio onirico e graffiato, e la sua interpretazione del Signore dei Sogni appariva una forzatura. Col senno di poi, a confrontare i lavori di allora con quelli recenti (Four Women, Zero Girl, Ojo), il disegnatore statunitense non era lontano dalla sensibilità di Gaiman, ma sul finire degli anni ’80, sulle pagine di Sandman, fraintese in buona parte il progetto.
E ciò, malgrado il lavoro alle chine di Michael Dringenberg, più affine alla sensibilità dello sceneggiatore. Keith avrebbe quindi abbandonato la serie dopo il quinto numero. Eppure, in quei primi episodi che pongono le basi strutturali di una serie durata per ben settantacinque uscite mensili, ci sono momenti indimenticabili e affilati, che il talento di Keith sanno rappresentare magicamente.
Nel primo numero, lo sguardo in soggettiva del Signore dei Sogni, deformato dalla sfera in cui è imprigionato e l’attenzione cinica con la quale viene rappresentato il decadimento dei comprimari al passare dei decenni; nel secondo, la rappresentazione grafica di Caino e Abele, a sostegno di una delle più belle e ironiche rivisitazioni mitologiche di Gaiman; nel quinto numero, la capacità di umanizzare alcuni personaggi della Justice League International, cogliendone la conflittuale ambivalenza tra debolezze personali ed eroismo.
Al contrario, Keith non trova il giusto feeling nella passeggiata di Morfeo all’Inferno, nel quarto numero. La rappresentazione di Lucifero richiede la cura dettagliata di Dringenberg e le scene appaiono svogliate, confuse, dovute e per nulla evocative. Ma soprattutto Keith sembra a disagio proprio con Dream, di cui coglie solo in parte le molte sfumature, e sembra abbozzare piuttosto che definire.
I PRELUDI DI DRINGENBERG
L’abbandono di Sam Keith e la salita in cattedra di Dringenberg, dal sesto numero, coaudiuvato alle chine da Malcolm Jones III, avvengono nel momento giusto. 24 Hours, infatti, sarebbe stato un racconto impossibile per il Keith di allora, che non avrebbe saputo cogliere appieno le intuizioni di Gaiman. 24 Hours è infatti la storia che per prima segna la strada che avrebbe percorso Sandman: totale apertura nei contenuti, dove il genere (in questo caso l’horror) sarebbe stato pre-testo per raccontare l’umanità tutta, con le sue contraddizioni e debolezze.
Lo stile di Dringenberg, più pulito, ordinato, realistico ma non per questo freddo, offre nuova luce alla voce di Gaiman. 24 Hours è un gioco metanarrativo, è un esperimento di laboratorio mimetizzato in forma di fumetto, e la messa in scena di Dringenberg e Malcom Jones III permette al lettore di comprendere cosa c’è in gioco, di muoversi tra i tavolini del bar in cui tutto accade, vivendo il senso di chiusura e l’ossessione che avrebbe dovuto affrontare Dream.
I disegnatori riescono a creare partecipazione senza immedesimazione, trovando un equilibrio difficile tra il dentro (del bar/laboratorio e delle menti dei personaggi) e il fuori (delle notizie da tutto il mondo al telegiornale, dell’azione di Morfeo). Il segno è in buona parte ancora incerto, se confrontato per esempio con la decisione e la chiarezza delle inquadrature e della messa in scena dell’ottavo capitolo, The Sound Of Her Wings, ma ha una voce più in sintonia con quella di Gaiman, che mal si sposava con il grottesco in cui si muoveva Keith.
SANDMAN INIZIA A VOLARE
L’apice di Preludes and Nocturnes è senza dubbio l’ultimo capitolo, The Sound Of Her Wings, che vede la prima apparizione della sorella di Dream, la bella, luminosa e delicata Death. L’intuizione di Gaiman nel rappresentare la Morte come una ragazza dark sensibile e intelligente resta una delle trovate più riuscite di Sandman, in particolare quando si confronta con il fratello, più chiuso, auto compiacente e malinconico.
Le tavole di questo episodio segnano un cambiamento deciso. Grazie alla leggerezza di Death, all’ambientazione diurna (le precedenti storie hanno avuto per lo più ambientazioni notturne o in spazi chiusi), alla dilatazione degli avvenimenti, che portano grande attenzione al non verbale, alla recitazione dei personaggi, il fumetto di Sandman sembra aprirsi per la prima volta alla vita, sembra decodificare il proprio linguaggio in modo originale e frastagliato. Per l’equilibrio tra la sceneggiatura e i disegni The Sound Of Her Wings è ancora oggi una storia esemplificativa di un riuscito lavoro di gruppo, del potenziale del fumetto seriale e della forza innovativa che le idee della nascente casa editrice Vertigo di Karen Berger avrebbero sviluppato.
Questo episodio è utile anche a sfumare un pregiudizio che l’opera di Gaiman si porta con sé da sempre, ovvero il presunto intellettualismo e l’ambizione eccessivamente letteraria. L’esordio di Death è infatti un capolavoro a tutti gli effetti fumettistico, dove testi e disegni si alternano, accompagnano e fondono in un ritmo musicale. Gaiman pensa in termini visivi, riuscendo a dettare in modo puntuale i silenzi, i cambi di scena, la mimica dei personaggi. Dringenberg e Jones III, da parte loro, amplificano tali indicazioni attraverso un realismo non pedante (anche l’uso dei riferimenti fotografici appare funzionale al racconto) che sfuma nell’impressionismo nei passaggi più lirici.
Grazie a questo connubio magico, Gaiman prende coscienza piena del potenziale della sua serie, dei suoi personaggi e, in fin dei conti, della forza del proprio talento.
MATERIALI ONIRICI
Prima di chiudere questo primo compendio, è impossibile non parlare di Dave McKean, il graphic designer e cover artist di Sandman.
Se la serie ha dato vita a numerosi elementi di innovazione, quello più rappresentativo è senza dubbio l’approccio visionario, grafico e misto di McKean. Le copertine di Sandman sono veri e propri scrigni narrativi, preludi alle storie, che attraverso una sintesi iconica ricca di immaginazione, anticipano temi, atmosfere ed eventi, guidando i lettori attraverso il mondo onirico di Dream. McKean aveva chiara la necessità di trovare una voce originale, che da sola diventasse rappresentativa della serie, rappresentativa e riassuntiva. Mai come in questo caso, il materiale utilizzato per la copertina appare tanto distante stilisticamente quanto vicino emotivamente alla storia che racchiude.
Anche McKean non è ancora al pieno della propria maturità, anche lui sperimenta, alla ricerca di un proprio stile, mischiando tecniche e materiali, in mosaici compositivi obliqui. Ma la forza della sua narrazione è tale da lasciare ogni mese i lettori senza fiato. Le sue composizioni sanno mischiare antico e moderno, tracciando fili sorprendenti che collegano elementi iconici di antiche civiltà con visioni post-moderne. Sono segni che pescano dall’inconscio: uomini nudi sfocati su pareti di gesso dai quali escono parti elettroniche; braccia che si perdono nella notte, come appendici di fantasmi; volti sfocati; profili racchiusi in tinte cupe, tono su tono, circondati da foglie di edera; e ancora materiali su materiali evocati chissà da dove, come occhi di gatto, visi stilizzati su tessuto o sulla sabbia, radiografie, maschere africane, e così via.
McKean è l’alter ego visivo di Gaiman, e un punto di non ritorno per il concept delle copertine artistiche nel fumetto statunitense. Torneremo a parlarne nei prossimi approfondimenti.
NOTTURNI LUMINOSI
Se, come raccontato, Preludi e Notturni soffre dei difetti tipici degli esordi, esso mostra anche una freschezza narrativa e grafica che non sempre Sandman è riuscita a mantenere negli anni.
L’incertezza dei riferimenti, delle atmosfere e delle caratterizzazioni non offuscano l’energia che la curva nascente di Sandman possiede, anche a distanza di più di vent’anni.
Per molti versi, questo primo volume, embrionico, è monito dell’importanza di permettere agli autori di una nuova serie di sperimentare liberamente, di crescere e trovare, così, una propria voce. Un’attenzione che, nella seconda metà degli anni ’80, fu motivata dalla necessità di trovare una via di uscita da una crisi del mercato (di vendite e di idee) che mise in discussione tutto di quello che il fumetto seriale statunitense aveva rappresentato per decenni.
Lo sguardo di Gaiman e dei suoi artisti ha saputo affermarsi quasi per caso, o per necessità, grazie a una convergenza di forze (artistiche, editoriali, culturali) irripetibili, di cui Karen Berger, editor esecutivo della futura etichetta Vertigo, fu catalizzatrice e musa.