Grendel e lo spirito dei tempi

Grendel e lo spirito dei tempi

I volumi di Grendel L'eredita' del demone e La vendetta del demone, dell'autore americano Matt Wagner, da poco editi in Italia dalla Magic Press, hanno resistito al passare del tempo, delle mode e delle "rivoluzioni" artistiche che hanno trasformato il mondo dei supereroi americani?

L'eredità del demoneIn Grendel le cose non sono mai chiare. Matt Wagner, autore americano di culto che creo’ questo personaggio e la sua mitologia ormai vent’anni fa, decise che con Grendel si sarebbe dovuto partire da lontano, per arrivare lontano. Cosa significa? Significa rincorrere le storie nel tempo, come un domino, per assistere all’eredità di questo antieroe per eccellenza nel corso dei secoli e della Storia, reale e fantastica. I racconti, i miti e le incertezze si sono così accumulate in questi vent’anni. Un’epopea che è parte integrante dell’evoluzione del fumetto indipendente americano, e che soltanto negli anni recenti ha iniziato ad apparire in modo più sistematico e ordinato anche in Italia grazie alle pubblicazioni della Magic Press.
Le vicende di Grendel hanno quindi a che fare con il Tempo. è questo un elemento critico da tenere bene in mente. Si sviluppano nella storia fantastica del mito del personaggio e contemporaneamente si legano strettamente all’evoluzione artistica complessiva del fumetto americano.
Ne è un esempio quel gioiello narrativo creato dalla coppia di artisti croati Darko Macan ed Edvin Biukovic dal titolo Grendel tales: Demoni e morti. La storia è ambientata nel 2588, ma è molto facile ritrovarvi riferimenti alle tragedie che hanno dilaniato la ex Jugoslavia. Il pretesto narrativo è la testimonianza. Il contesto, l’epopea dei Grendel. Ed infine, il linguaggio narrativo degli autori è coerente con i tempi in cui il lavoro è stato realizzato, ovvero la metà degli anni ’90.
Ogni storia degna di questo nome vive delle sollecitazioni culturali, politiche e sociali del periodo in cui viene creata. E ogni storia porta con sé la propria autobiografia, o meglio, l’autobiografia dell’autore. Ecco perché non è sufficiente analizzarla soltanto a partire dal proprio gusto e dal momento in cui la storia viene letta per la prima volta. E questo vale ancora di più per l’epopea di Grendel.

Con questo personaggio, l’ideatore Matt Wagner tento’ di creare qualcosa di nuovo, si confronto’ con il mondo dei comics americani in fermento nella seconda metà degli anni ’80, e si impegno’ a infrangere un po’ di regole non scritte del panorama fumettistico. In quel periodo nacquero le storie contenute nei due volumi recentemente pubblicati in Italia dalla Magic Press: L’eredità del demone e La vendetta del demone, con i disegni dei Pander Bros (i fratelli Pander, Arnold e Jacob). Insieme, questi due volumi presentano l’intera saga Grendel: Devil’s Legacy.
Per comprendere appieno il valore di queste storie si dovrebbe perciò esercitare un’attenzione critica fluttuante, in grado di passare dal punto di vista del lettore di oggi al punto di vista del lettore degli anni ’80. Lo stesso Daniele Brolli, curatore e traduttore dei volumi, sembra volerci avvisare di questo nell’introduzione a L’eredità del demone, quando afferma che negli anni in cui uscirono queste storie, i lettori e la critica di allora le paragonarono a opere quali Watchmen, di Alan Moore. Incredibile ma vero?
In effetti, sfogliando rapidamente questi volumi, quello che salta agli occhi sono i brutti disegni dei Pander Bros. A una lettura superficiale, anche la storia sembra possedere alcuni difetti importanti: il primo volume in particolare sembra essere eccessivamente lento e verboso, appesantito dalle didascalie del diario della protagonista. I temi trattati, dai vampiri alla vendetta ad opera di un antieroe qual è Grendel, sono ormai stati sfruttati fino alla nausea nel fumetto supereroistico americano. Non si trova, a prima vista, la necessità di operare il solito confronto con i capolavori milleriani e mooriani di quegli anni. A dire la verità, scomodare Alan Moore nell’introduzione può apparire un tentativo di Brolli di “mettere le mani avanti”, piuttosto che un ragionamento critico atto ad aprire un nuovo punto di vista. Conoscendo la professionalità di Brolli e il suo amore per l’epopea di Grendel, questo dubbio scompare in fretta, man mano che ci si immerge seriamente nella storia. Perché, malgrado le debolezze accennate, quelle storie hanno attratto la mia curiosità, mi hanno coinvolto e hanno coccolato la mia immaginazione.

Per capire immediatamente la sostanza di quelle storie, l’aspirazione autoriale originale che le muove, la volontà di cercare nuove strade e di sorprendere il lettore, potrebbe essere sufficiente leggere il secondo capitolo del secondo volume, che ne dà anche il titolo. Si tratta di una storia quasi muta che inizia con una didascalia a pag. 1: “per quanto riguarda la questione in sospeso con Dominic Riley…”,; e si conclude con la fine della didascalia a pag. 24: “…finì che lo ammazzai”. Nel mezzo, allo “sfortunato” commissario Dominic Riley ne capitano di tutti i colori, fino alla morte. Leggete questa storia in fumetteria, prima di acquistare il volume. Se vi convince, potete tranquillamente affrontare l’acquisto, perché sarete vicini alla sensibilità degli autori. In quelle ventiquattro pagine, libere dalle didascalie e dalle parole, anche i disegni dei Pander Bros sono incredibilmente migliori. Funzionano sotto molti aspetti: ritmo, precisione dei dettagli, pulizia, scansione della tavola, espressione dei personaggi. In questa storia Wagner utilizza anche l’ironia: nella sua ricerca verso una nuova forma di fumetto “supereroistico” c’é spazio anche per lo scherzo, per il paradosso; non è necessario prendersi sempre e troppo sul serio. Una lezione molto avanti rispetto ai tempi: le ricordiamo tutti le storie truci, dure, cupe figlie del revisionismo degli anni ’80?!

La vendetta del demoneNel complesso, le novità di questi volumi sono molteplici e sono significative, proprio perché, paradossalmente, alcune di esse si sono rivoltate contro l’opera stessa, risentendo molto del tempo passato. Non è la prima volta che opere di rottura, di sperimentazione, si trovino poi superate a causa di presunte ingenuità, che soltanto a distanza di anni diventano evidenti.
Per capire di cosa sto parlando, possiamo tornare ad analizzare i disegni. Dietro all’imprecisione e alla “scompostezza” delle tavole dei Pander Bros è possibile rintracciare il tentativo realistico di rappresentare ambienti, vestiti, abitudini sociali tipiche di quegli anni. L’effetto sul lettore di oggi è quasi ridicolo, ma la vicinanza con una certa cultura di quegli anni dovrebbe farci sorridere di meno, e aiutarci a ricordare: i personaggi sono tremendamente alla moda. Una ricerca in questo senso la si trova anche nel linguaggio, nei dialoghi, nei luoghi comuni. Il teatro giapponese negli Stati Uniti in quel periodo era forse quanto di più esotico (e “trendy”) ci potessimo aspettare in un fumetto di supereroi, senza doversi spostare in paesi stranieri immaginari e magici.
Le novità linguistiche si possono vedere anche nella concretezza con cui vengono riportate le emozioni dei personaggi, nella crudezza delle descrizioni di alcuni eventi, e nella discesa verso l’inferno della povera Christine Spar, che si illude di avere sempre la situazione sotto controllo mentre tutto le sfugge tra le mani. Il suo diario, che fa da telaio a tutta la vicenda, è il frutto di una ricerca da parte di Wagner di nuovi approcci alla narrazione. L’espressione “il resto a dopo” che chiude i vari pezzi di diario sono un tentativo coerente (ma che a lungo andare annoia) di giustificare il collegamento tra la narrazione e le vicende narrate. In pratica, in questo modo, Wagner ci suggerisce in quali momenti dell’azione Christine si sia annotata le vicende, le sue emozioni e le sue paure. Un artificio tecnico che rende più vivo il valore del diario e che ci aiuta a interpretare meglio la riflessività giornalistica della protagonista.
Il cattivo di turno è un vampiro sui generis, che non teme la luce del sole, che ha legami con la malavita locale, che si occupa di rapimenti di uomini asiatici per ricchi imprenditori perversi. Un tema tanto crudele quanto realistico. E altrettanto crudele è la scomparsa e la morte del figlio di Christine, che dà il via alla spirale di morte e vendetta di Grendel e alla dannazione della protagonista. Wagner non va per il sottile, ci rimanda tutto in faccia, senza pero’ perdersi in facili effettacci e scene voyeuristiche.

Non dimentichiamoci che stiamo parlando di un fumetto di supereroi. Wagner pubblico’ originariamente questa storia in comic book da ventiquattro pagine con l’etichetta indipendente Comico. Niente Comics Code; l’opera rientra a pieno titolo tra i lavori indipendenti di quegli anni. C’erano quindi altre regole rispetto ai lavori in casa DC Comics o Marvel. Eppure l’autore a mio avviso è bravissimo nel mantenere un buon equilibrio tra “underground” e “mainstream”, cercando di rinnovare il genere dall’interno, per così dire: proprio quello che fecero i vari Moore e Miller nello stesso periodo. I mezzi, tuttavia, erano diversi; quello che paga Wagner è forse proprio la scelta di creare il personaggio di Grendel nella scena indipendente, dove anche autori da poco (o forse semplicemente molto acerbi) come i Pander Bros potevano avere una possibilità. Non c’é dubbio che la forza narrativa di questi volumi risente pesantemente della povertà artistica dei disegnatori. Ma anche questo è fortemente condizionato dai tempi: sul piano tecnico, i disegnatori “indipendenti” di oggi sono molti passi avanti. Complessivamente, la perizia tecnica (a volte semplicemente spettacolare, anche fine a se stessa) degli autori negli ultimi dieci anni è vertiginosamente cresciuta. Anche l’assenza di editor importanti può aver influito sul risultato finale, in quanto una supervisione attenta avrebbe forse potuto smussare e limitare certe debolezze narrative complessive. Ma sto entrando in un campo poco interessante, che ha a che fare con i se e i ma, un campo che non mi interessa.

Rimane quella che è forse la novità più importante del fumetto, per quegli anni: la protagonista de “L’eredità del demone” e de “La vendetta del demone” è una donna. Credo di poter dire che si tratta del primo antieroe donna sulla scena a essere protagonista principale di una testata. Certo, Miller aveva già lavorato egregiamente su un personaggio affascinante come Elektra, sulle pagine di Daredevil, ma era appunto quest’ultimo il titolare della testata. In Grendel, la protagonista principale della serie è Christine Spar, donna, madre e vendicatrice. E non si tratta neppure di una femme fatale, perché il bravo Wagner dà il meglio di sé per rappresentarci un personaggio tridimensionale, con i suoi dubbi e le sue paure, con la sua tragica parabola di vita, e femmina per davvero. Il suo punto di vista è sostanzialmente diverso da quello di un uomo: per i suoi desideri di donna, per il suo amore e il suo dolore di madre, per la sua debolezza fisica rispetto a quella di un uomo. è una donna che si confronta con una tragedia più grande di lei, e che si trova costretta ad affrontarla con la forza dell’eredità violenta dei Grendel.

Dalla prima edizione di queste storie sono passati quasi vent’anni. Oggi le cose sono molto diverse, e potremmo cadere nella leggerezza di darle per scontate. Dopo i già citati Watchmen di Moore e Gibson, dopo i Devil, i Batman e i Sin City di Miller, dopo lo Stormwatch e l’Authority di Ellis, queste storie di Grendel possono apparire scontate, marginali, “inesatte”. Eppure, la forza e la profondità di certe “rivoluzioni” creative nel campo dei supereroi devono moltissimo anche a opere meno famose, più imperfette, ma non per questo meno significative e interessanti come queste. La costruzione di una nuova sensibilità creativa negli autori, di un nuovo gusto nei lettori, è passata anche attraverso di esse. Perché in fondo, tutte le serie citate, in epoche diverse, hanno condiviso davvero un approccio nuovo, fortemente autoriale e inedito al mondo dei comic book, hanno preso vita da un’esigenza di rinnovamento creativo che viveva dell’amore per i supereroi, che ne riconosceva la forza sul piano iconico, quanto la sterilità che ormai dominava il genere. Per tutte queste ragioni e per molte altre, il Grendel di Matt Wagner merita attenzione e una lettura non superficiale.

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