Giuseppe Palumbo ha iniziato a pubblicare a fumetti nel 1986 sulle pagine di riviste come Frigidaire e Cyborg, sulle cui pagine crea il suo personaggio più noto, Ramarro, il primo supereroe masochista. Dal 1990 opera anche come docente di disegno e fumetto. Nel 1994 incontra il fumetto popolare nel personaggio di Martin Mystère, con il breve (e anticonvenzionale) L’ora dei lupi (da lui interamente scritto, disegnato e colorato) che appare nel n. 115 della rivista Comic Art. A partire dal 1995 , inizia una costante collaborazione, come disegnatore, alle storie di Martin Mystere per cui disegna, in particolare, storie fuori serie (Storie di Altrove e Almanacco del Mistero). Nel 2001 ricostruisce, con la sceneggiatura di Alfredo Castelli, il numero uno di Diabolik, che viene pubblicato dalla Astorina, nel 2002, nel volume cartonato: Il re del Terrore: il remake. La sua collaborazione per Diabolik prosegue sino ad oggi. Nel 2005 è il copertinista di Desdy Metus, l’Insonne (notevole esempio di fumetto di realtà). Collabora inoltre con le case editrici BD Edizioni, Comma 22 e Rizzoli. Vive a Bologna, dove coordina il lavoro dello studio Inventario.
Palumbo credo che tu sia un autore che ha condiviso, ai tempi di Ramarro e delle riviste Frigidaire e Cyborg, l’illusione che attraverso il fumetto si potesse arrivare a una interpretazione più giusta del reale, con la pretesa di distribuire quelle visioni fra i lettori, percorrendo una logica di distribuzione popolare del prodotto artistico e al tempo stesso educando all’impegno civile. E magari c’era l’utopia che il fumetto potesse divenire per il lettore strumento per sovvertire una quotidianità, invece, ingiusta e oppressiva. Ti riconosci in questa descrizione? E se sì: cosa credi che sia rimasto, in te e nel fumetto in genere, di quegli anni, e di quelli illusioni?
Non concordo con il tuo punto di partenza. Nessuna illusione per quanto mi riguarda! Ramarro, il supereroe masochista, che imperversava su Frigidaire e Cyborg, è il simbolo della crisi che ha segnato il passaggio dalla metà degli anni Ottanta al Duemila. Disilluso è quasi un eufemismo per definirlo. Frigidaire (e Cyborg, in maniera minore) ha segnato uno snodo importante nella cultura e nel modo di fare e percepire il fumetto, sull’onda lunga partita negli anni Sessanta negli Stati Uniti; come si diceva aveva alzato il livello dello scontro, portando il fumetto a essere considerato un linguaggio di pari livello con altri linguaggi più “blasonati” e soprattutto aveva portato il fumetto ha un livello di maturità e consapevolezza nell’interpretare il reale, che prima aveva avuto solo pochi eguali…
Un ciclo si è chiuso perché i tempi cambiano. Nessuna illusione in ogni caso. Tutto cambia e quindi cambiano anche le modalità dello scontro.
Oggi, attraverso il lavoro che porto avanti ormai da diversi anni con il collettivo Action30, formazione ibrida che, sul tema sempre attualissimo delle nuove forme di razzismo e di fascismo, integra l’indagine di filosofi e grafici, attivisti sociali e registi, musicisti, autori di fumetto come me e Squaz o Giacon e Ponchione, attraverso tutto ciò posso dire che non ho nessuna illusione inevasa alla spalle. Continuo, da disilluso, cinicamente, a portare avanti il livello dello scontro, in forme diverse e con risultati diversi. Un tempo una rivista come Frigidaire accorpava attorno a se una vasta area di lettura e discussione; ora in edicola niente del genere è più possibile. Ora è il tempo del digitale, di internet e del video. Con le performance live, il blog e il canale YouTube, provo con Action30 a non interrompere l’attiva disillusione che dagli anni Ottanta muove il mio fare fumetti.
Seppure il tuo segno è stato sempre iperrealistico sei passato dalla realizzazione di un personaggio potentemente ironico e surreale come Ramarro, a personaggi collegati a un immaginario avventuroso realistico e tradizionale. Riesci a trovare un collegamento, anche in termini di evoluzione e crescita artistica, fra Ramarro e gli altri personaggi su cui hai poi lavorato, Martin Mystère e Diabolik?
Non concordo ancora una volta: il mio disegno non è mai stato iperrealistico. Da Ramarro in avanti ho sempre portato avanti una ricerca su uno stile che avesse al centro una figurazione corretta, se vuoi canonica, ma sempre molto espressiva. Il dinamismo, i chiaroscuri violenti che sempre ho cercato di imprimere alle mie figure hanno poco a che vedere con una riproduzione fedele del reale. E questo mi ha permesso di entrare in sintonia con personaggi anche non miei, come Martin Mystère e Diabolik, dandogli allo stesso tempo una impronta nuova, personale.
Tanto per dirla fuori dai denti, non amo molto la tendenza attuale, derivata forse da Alex Ross, di un fumetto quasi “fotografico”. Il disegno d’avventura, vuoi che sia Ramarro, vuoi che sia Diabolik, si nutre sì di precisione del dettaglio e di una figurazione precisa, ma vuole anche interpretazione, stile ed eleganza. La ripetizione quasi accademica di ogni singolo muscolo o materiale, uccide, a mio avviso, il senso di mistero e di avventura che invece è necessario.
In fondo è possibile trovare delle connessioni fra Ramarro e Diabolik. Entrambi sono supereroi, supereroi italiani. Diabolik non ha superpoteri ma indossa una calzamaglia, come i suoi coetanei d’oltreoceano, dediti però al bene invece che alle imprese criminose del nostrano re del terrore. Quali relazioni troveresti fra il tuo Ramarro e il Re del Terrore?
Sì sono personaggi se vuoi ascrivibili alla tipologia “supereroe”, ma Ramarro ne è chiaramente l’antitesi, la nemesi, e Diabolik, a parte la tuta, ha veramente poco altro del supereroe. Sono violenti e portatori di una propria etica; sono entrambi mossi dall’ossessione, Ramarro quella masochistica, anzi masoardimentosa, e Diabolik per la sfida del furto. Non è poco per parlare di relazioni, ma neanche molto, in fondo.
Non è possibile dimenticare il tuo contributo nell’operazione di remake del primo numero di Diabolik: Il Re del Terrore: il Remake, sceneggiato da Alfredo Castelli.Nella tua prima prova come disegnatore del personaggio creato dalle sorelle Giussani ci regali un incredibile lavoro in cui il tuo segno particolarissimo non si sovrappone, bensì ricostruisci le atmosfere del tempo che il primitivo anonimo disegnatore senza talento (tale Zarcone) a stento tentava di trasferire sulle pagine del primo Diabolik. Questo sforzo di ricostruzione, direi filologico-archeologica, da quali motivazioni trae forza?
Il Remake è stata una bella impresa. Il lavoro di ricostruzione degli ambienti è stato meticoloso e divertente da fare; sì, Zarcone mi aveva lasciato ampi spazi di manovra… Se penso che il lavoro che ho fatto è tornato utile per i successivi dieci anni di lavoro, più o meno, posso dire di aver investito bene il mio tempo. Fai bene a parlare di attitudine filologico-archeologica: fa parte della mia formazione e l’archeologia, in particolare, mi ha insegnato come ogni oggetto sia significante ai fini di una ricostruzione complessiva, di un ambiente e degli uomini e donne che lo hanno abitato. Come spesso dico agli esordienti, che troppo spesso si concentrano sui personaggi e la loro recitazione a scapito delle scenografie, una scena ben costruita vale quanto un buon personaggio al suo interno.
Diabolik è fra i pochi personaggi del fumetto italiano a muoversi in ambientazioni nostrane, seppure con toponimi d’oltralpe. Tutti gli altri autori del fumetto avventuroso preferiscono gli scenari del far west ai più modesti scenari urbani di casa nostra. A cosa credi si debba attribuire l’esterofilia che accompagnerà la storia del fumetto italiano sino ai giorni nostri?
L’avventura vuole mistero e atmosfera, esotismo direi. Anche l’Italia che tu giustamente vedi in Diabolik si finge spesso Costa Azzurra, Provenza… insomma cambia pelle, cerca un surplus di esotismo che altrimenti spegnerebbe la magia che l’intrattenimento richiede. E detto questo, non credo che sia un fenomeno solo italiano. Quando la Kodansha mi commissionò storie a fumetti per Morning, chiese esplicitamente una ambientazione italiana perché per loro era esotica!
Credi che la storia italiana, passata e presente sia in grado di offrire scenari dove si possano muovere agevolmente personaggi d’avventura completamente italiani?
Senz’altro, perché il passato indossa già questo manto magico che occorre alla narrazione, come dicevo… Per il presente della nostra storia, invece, penso a un altro tipo di fumetto, sicuramente non di intrattenimento, ma di denuncia. Ma è una mia opinione. Chissà, magari le regole del genere (che so, l’horror, il noir…) possano ancora essere una chance per il fumetto italiano…
In quale scenario storico di ambientazione italiana ti piacerebbe far muovere un tuo probabile personaggio?
Mi sono divertito molto con Il Colore, la storia in mostra, e quindi con il Risorgimento. Ma in vista ci saranno storie cinquecentesche (una già in uscita) e novecentesche (una rielaborazione dello Scotellaro in mostra…).
Ci puoi anticipare qualche tuo progetto futuro?
Diabolik, o meglio DK, una sorta di reboot del personaggio, sta dominando questi mesi e i prossimi del mio lavoro. Tutti gli altri progetti, e ce ne sono molti, sono ancora lontani.
Il prossimo “mio” libro, scritto e disegnato da me, intendo, sarà Aleametron – Il mistero del cambio, per Comma22, creato per Palazzo Strozzi, Firenze, e in cui torna Chimera, uno dei personaggi di Eternartemisia. Non dico altro. Per scaramanzia.
ramarro
10 Ottobre 2012 a 14:16
fatelo fuori!
La redazione
10 Ottobre 2012 a 16:27
Ramarro ci legge? Adesso si che dobbiamo preoccuparci!!