Nel dicembre 1987 Mondadori, all’epoca ancora licenziataria per i diritti di pubblicazione del fumetto Disney in Italia, mandò in edicola il primo numero di una nuova testata intitolata al vecchio zio di Paperino, che in quel mese compiva 40 anni di vita editoriale.
I primi anni
L’impostazione seguiva quello dell’americano Uncle $crooge, che agli inizi degli anni Cinquanta proponeva le prime avventure lunghe del personaggio, realizzate dal suo creatore Carl Barks, l’Uomo dei Paperi.
I primi numeri della versione italiana seguivano infatti il sommario degli analoghi albi USA, configurandosi come una vera e propria trasposizione fedele di quella collana. Le storie erano già arrivate in Italia a suo tempo, pubblicate su Topolino e ristampate poi su vari mensili come I Grandi Classici, Paperino ecc; ma in queste edizioni le avventure erano rimontate perché potessero rientrare nel formato pocket adottato nel nostro Paese, che mal si adattava alle quattro strisce con cui venivano invece concepiti i fumetti Disney in America.
Zio Paperone recuperava invece le dimensioni originali e si prefissava di proporre una versione filologicamente più corretta di quel materiale. In quest’ottica i balloon vennero anche ritradotti in modo più fedele rispetto a quanto fatto nei decenni precedenti, e furono presentate anche le cover degli albi originali.
Ogni numero veniva poi introdotto da una paginetta firmata dal critico Piero Zanotto: si trattava di contenuti piuttosto scarni, con una grafica praticamente inesistente (sfondo bianco, nessuna immagine) ma erano di fatto l’embrione di quei contenuti extra e degli editoriali che negli anni successivi avrebbero impreziosito edizioni Disney di questo tipo. Nella loro essenzialità, quelle brevi introduzioni costituivano un elemento senza precedenti e la prima volontà di intendere il fumetto disneyano come qualcosa di valore e degno di essere inquadrato come più che semplice lettura d’evasione.
La testata proseguì per un anno, pubblicando esclusivamente storie di Barks con Paperone protagonista assoluto, accompagnate dalle ten-pages con Paperino e dalle four-pages con Archimede, per poi fermarsi con il numero 14 a causa del passaggio di testimone da Mondadori a Disney Italia per i diritti sui fumetti di Paperi e Topi nel nostro Paese.
Riprese la pubblicazione con il quindicesimo numero nel dicembre 1990, con grafica rinnovata sia nella copertina che negli interni (più colorati e curati esteticamente) e proseguendo nell’importante compito di proporre il corpus barksiano in modo coerente a quanto fatto sotto Mondadori, anche se non in ordine cronologico. Dal ventisettesimo numero le cover – fino a quel momento riprese da quelle di Barks – vennero affidate al disegnatore Franco Bruna, dal tratto molto classico e suggestivo.
Arrivata al n. 69, la serie aveva pubblicato tutte le storie di Carl Barks.
La “serie bianca”
Un nuovo cambiamento per Zio Paperone arrivò con il n. 70 del luglio 1995, che inaugurò la cosiddetta “serie bianca” del mensile, nome dovuto al nuovo aspetto della copertina, dotata appunto di uno sfondo bianco costante sul quale si innestava un quadrato centrale che conteneva il disegno di turno, relativo a una delle storie contenute nell’albo.
L’illustrazione di copertina da questo numero in avanti fu opera di Marco Rota, valido artista milanese dotato di un tratto dal sapore internazionale evolutosi negli anni precedenti grazie alle sue prove su Topolino, e che avrebbe intrapreso poco dopo una prolifica carriera nel Nord Europa, presso la casa editrice Egmont preposta alla realizzazione e alla pubblicazione di fumetti Disney per i Paesi di area danese e scandinava.
La grande rivoluzione attuata da questo numero del mensile fu l’ampliamento del parco autori ospitato sulla testata: non sarebbe più stato proposto ai lettori solamente Barks, ma anche tutti quegli autori (sostanzialmente americani o nordeuropei) in qualche modo eredi della filosofia creativa barksiana, nella narrazione e/o nel disegno.
Il grande apripista di quest’operazione fu Don Rosa, fumettista del Kentucky autodidatta, che arrivò al fumetto Disney solo ed esclusivamente in virtù della sua immensa passione per le storie di Barks.
Proprio nel settantesimo numero di Zio Paperone prese il via la pubblicazione in Italia della $aga di Paperon de’ Paperoni, opera in 12 capitoli che ripercorre la vita del personaggio, accompagnata capitolo dopo capitolo da una nuova ristampa delle storie dell’Uomo dei Paperi collegate agli eventi narrati da Don Rosa nella sua biografia di Paperone.
Per l’occasione le storie vennero ricolorate con le moderne (per allora) possibilità digitali e riletterate da Diego Ceresa, uniformandole così al trattamento riservato alle storie degli altri autori ma ottenendo un effetto spesso involontariamente sgradevole, visto che certi “effetti speciali” o soluzioni cromatiche eccessivamente vistose sapevano di “finto” e di posticcio, quando applicate a un segno degli anni Cinquanta.
A Carl Barks e Don Rosa si affiancarono nomi come Daan Jippes, William Van Horn, Fred Milton, Vicar, Daniel Branca, Pat e Carol McGreal, Cesar Ferioli e lo stesso Marco Rota, tutti artisti molto attivi in Danimarca, Norvegia, Svezia e Paesi limitrofi ma pressoché sconosciuti in Italia (se non per la loro presenza sul mensile Mega 2000, che pubblicava solo storie estere ma senza accreditare sceneggiatori e disegnatori), insieme ad alcuni fumettisti americani coevi di Barks, quali Jack Bradbury, Walt Kelly, Paul Murry, Al Taliaferro, Al Hubbard e Tony Strobl.
Il valore principale di questo nuovo corso di Zio Paperone, comunque, si trovò nei redazionali: la direzione editoriale di Lidia Cannatella e gli articoli di approfondimento firmati da Luca Boschi e Alberto Becattini ripresero l’approccio tentato in punta di piedi negli anni immediatamente precedenti su alcuni numeri di Paperino Mese (sempre da loro tre) e su Paper Fantasy (grazie a Santo Scarcella), dove si iniziarono a inserire alcuni brevi articoli introduttivi che contestualizzavano le storie presenti negli albi, offrendo al lettore informazioni, curiosità e strumenti per comprendere con maggior consapevolezza quanto si apprestava a leggere.
Tale metodo (tornato in auge nel 2004 su I Grandi Classici Disney, che iniziarono ad ospitare una sezione dedicata a storie particolarmente rare o rinomate affiancate da un paio di paginette di introduzione, a cura di Boschi) venne quindi ripreso e ampliato per Zio Paperone, rendendo le pagine di analisi importanti tanto quanto quelle a fumetti e innescando un sistema che avrebbe portato in futuro ad altre iniziative di rilievo come I Maestri Disney, curata a partire dal 1997 dallo stesso team.
I pezzi erano spesso lunghi tre o quattro pagine, informavano e fornivano dettagli interessanti sul dietro le quinte delle storie, a volte contenevano perfino la traduzione di alcune dichiarazioni degli autori stessi ed erano accompagnati da un apparato iconografico piacevole.
Inoltre erano spesso presenti due pagine dedicate alla posta dei lettori, dove venivano fatte domande su edizioni, fumettisti, genesi di storie, scelte editoriali, confronti: si instaurava un dialogo ricco e cortese, anche quando le opinioni divergevano, in un’epoca dove navigare in Internet per cercare informazioni era ancora un’utopia.
Contaminazioni e declino
Inevitabilmente tale impostazione poteva durare solo fino a un certo punto: dopo alcuni anni ci si rese conto che la produzione di Don Rosa, quantitativamente piuttosto limitata nonostante fosse per molti motivo di principale attrazione verso la rivista, non poteva bastare a reggerne la mensilità.
Anche le storie di altri artisti esteri, spesso di non più di 10 pagine, risolvevano solo in parte il problema.
Si continuò a ristampare le storie classiche di Carl Barks, ma presto si dovette scendere a compromessi: si aprì quindi alla pubblicazione di avventure italiane realizzate a suo tempo per l’Almanacco Topolino (impostato su quattro strisce), scegliendo tra quelle disegnate da artisti di primo piano come Romano Scarpa e Giorgio Cavazzano.
Si arrivò anche a proporre storie americane dei decenni precedenti con protagonisti i Tre Porcellini, Lupetto e altri comprimari provenienti dall’animazione Disney che, insieme ad avventure di Paperi non proprio memorabili di quegli anni, resero l’andamento generale della rivista molto altalenante e poco appetibile. La mossa era pensata per privilegiare il valore filologico, riproponendo materiale non ristampato da molto tempo, a scapito però dell’effettiva qualità di quelle pagine.
Un errore fu probabilmente quello di non prendere quasi mai in considerazione, se non in casi fortemente eccezionali e rari, storie con protagonista Topolino, in eccessivo ossequio al nome “paperesco” della testata. L’inserimento di storie con il cast di Topolinia provenienti da Danimarca, Svezia, Norvegia e USA avrebbe arricchito il menù del giornale e permesso ai lettori di conoscere altri autori poco diffusi in Italia.
Con il n. 165 si cercò inoltre di dare una svolta proponendo una nuova storia a puntate, su cui la Egmont puntava molto e che arrivò su Zio Paperone pochi mesi dopo l’esordio in Danimarca: Dragon Lords, scritta da Byron Erikson e disegnata da un Giorgio Cavazzano nel pieno della forma.
La saga fantasy, per quanto gradevole e disegnata magistralmente, non raccolse grandi consensi tra i lettori della testata, testimoniando che qualcosa si era rotto nell’equilibrio del prodotto.
Successivamente ci si concentrò anche sulle opere di Scarpa come autore completo, intendendolo come uno degli eredi dello spirito barksiano. La scelta aveva una sua logica e avrebbe potuto rappresentare una buona soluzione per la sopravvivenza sensata di Zio Paperone, se non fosse arrivata troppo tardi e se avesse avuto una continuità maggiore: le storie del maestro veneziano venivano infatti pubblicate in maniera casuale e non in ogni numero, rendendo frammentaria e poco appetibile un’operazione potenzialmente vincente. Pubblicare le storie papere di Scarpa in ordine cronologico e consecutivamente, rendendo di fato l’autore il nuovo piatto forte del giornale dopo Barks e Don Rosa, avrebbe dato nuova freschezza e qualità al prodotto, che invece risultava ulteriormente indeciso e privo di una programmazione vera e propria.
Il duecentesimo numero, celebrativo, fu un’altra dimostrazione dei problemi presenti, visto che a dispetto dell’importante traguardo non si riuscì a festeggiarlo con materiale degno e interessante, mentre con il n. 205 la testata divenne bimestrale, a ulteriore dimostrazione dell’arrancamento generale.
Poco più di 10 albi dopo, con il n. 216 nell’agosto 2008, Zio Paperone arrivò alla chiusura, lasciando orfani molti appassionati che, nonostante tutto, erano rimasti fedeli al prodotto ma operando una scelta doverosa, anche in considerazione della decisione di Don Rosa di non realizzare nuovi fumetti.
Pochi mesi dopo sarebbe stato il turno di I Maestri Disney di concludere la propria corsa.
Negli anni successivi Disney Italia prima e Panini Comics poi, hanno provato a ricreare una succedaneo di queste due importanti testate, ma finora nessuna è riuscita a ricreare quel mix di approfondimento, calore umano e contenuti inediti che forniva Zio Paperone.
Per la stesura di questo approfondimento si sono rivelati utili queste recensioni d’archivio, ad opera di Gianluigi Filippelli: